Magre, magrissime, troppo magre. Le sfilate della Settimana della Moda di Milano non erano ancora finite che già la polemica infuriava: dopo anni di bei discorsi sulla body positivity e l'orgoglio curvy, le passerelle sono piene di ragazze filiformi, taglia zero. Certo, le eccezioni ci sono, come Precious Lee per Versace, Jill Kortleve per Etro, MaxMara e BOSS, Elisa D'Ospina per Mario Dice. Ma, appunto, sono eccezioni. Il tributo all'inclusività è stato pagato con qualche modella con la vitiligine, o con una protesi, per il resto le passerelle sono tornate a proporre quei corpi così magri da essere irreali, senza tenere conto che il mondo oggi ha una nuova, democratica idea di bellezza. Ma le sfilate sono solo la punta dell'iceberg: il problema è a monte. La moda non è pensata per tutti i corpi. Provate a fare un giro su un sito di shopping online e guardate le taglie della couture: a fatica troverete una 48, in alcuni casi nemmeno la 46. La moda ha un problema con il peso, è vero: ma non in passerella, nei negozi.
Le passerelle di Milano sono inclusive?
Le nuova parola d'ordine della moda (oltre alla problematica sostenibilità) è inclusività: tutti, dalle riviste di moda ai designer, sono pubblicamente a favore dell'idea di celebrare i corpi di tutte, senza discriminare nessuna. Negli ultimi anni le passerelle hanno fatto uno sforzo verso la diversità, aprendosi lentamente a persone di ogni etnia, alle modelle transgender, alle particolarità che una volta venivano chiamate difetti. Le passerelle milanesi includevano tutto questo, ma a piccolissime dosi. Nella scelta del cast i piccoli brand – da Alessandro Vigilante a Marco Rambaldi, passando da Act N°1 – si sono dimostrati più attenti delle grandi firme alla nuova sensibilità sociale. Tra i big invece la corporatura dominante era ancora quella esile, sottile e slanciata che da vent'anni a questa parte attira le critiche del pubblico. Non che alla Paris Fashion Week – in corso in questi giorni – le cose siano diverse. Eppure il pericolo ce l'abbiamo chiaro da anni: glorificare la magrezza eccessiva crea ansie e insicurezze tra le ragazze (e i ragazzi) più giovani, spingendoli nei casi più gravi a disordini alimentari come l'anoressia e la bulimia.
Perché continuano a sfilare solo donne magre
Prima dell'epoca delle top model, che hanno elevato le indossatrici al ruolo di star, le modelle erano indossatrici, mannequin: i loro corpi servivano "solo" a far camminare gli abiti in passerella, con tutta la grazia possibile. Manichini, appunto. Tanto più erano standard, meglio era: tutti gli abiti taglia campionario dovevano cadere allo stesso modo. Insomma: si doveva guardare l'abito, non la donna. Peccato che la moda nel suo insieme – dalle sfilate alle campagne pubblicitarie – faccia molto di più: propone un modello estetico e contribuisce a plasmare l'idea di bellezza condivisa da una società. Per questo portare un cast più variegato durante le sfilate è necessario: significa permettersi a tutte di riconoscersi nei canoni di bellezza di una società, sentirsi rappresentati. Ma quello, risponderanno dall'altra parte, è solo uno show. Infatti il vero problema è endemico, e l'idea che l'haute couture sia solo per corpi magri pervade tutta la filiera, dal cartamodello fino agli abiti appesi nei negozi.
È ora di ampliare le collezioni dei brand
Le sfilate sono la punta dell'iceberg: provate a entrare in una qualsiasi boutique di lusso e chiedere una 52. Anzi, una taglia 48. Farete fatica già con la 46. Spulciando i siti di shopping online vi accorgerete che alcuni abiti arrivano fino alla 42, altri fino alla 44. Certo, magari il problema è l'assortimento dei siti, ma è singolare che restino disponibili sempre solo le taglie piccole e non viceversa. Non sono le sfilate il vero problema dell'industria della moda. Il problema è che una donna formosa, se vuole, non può acquistare gli stessi abiti di una donna magra. La rappresentazione è importantissima, ma il punto è quando una taglia 48 entra nei negozi raramente troverà quel bel vestito visto in passerella nella sua misura. E se si parla di moda inclusiva è da qui che bisogna partire.