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La pandemia cancellerà le sfilate? Le Fashion Week sono in crisi, ma il Covid non c’entra

Dopo un anno e mezzo di pandemia si tornerà a sfilare come prima? Da anni ormai molti designer si sono allontanati dal calendario ufficiale, decidendo autonomamente quando e dove sfilare. Nell’era dei social, il sistema tradizionale delle Fashion Week non regge più: chi vorrebbe aspettare sei mesi per comprare qualcosa che desidera?
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A cura di Beatrice Manca
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La storia della moda potrebbe essere riscritta prendendo come spartiacque l'anno 2020: avanti Covid e dopo Covid. La pandemia è stata un terremoto per il sistema moda: negozi chiusi, abitudini di consumo stravolte, produzione riconvertita e ovviamente, sfilate solo virtuali. L'arrivo della pandemia in Italia – alla fine di febbraio 2020 – ha coinciso con la Milano Fashion Week: quella è stata l'ultima volta che il capoluogo lombardo è stato invaso da buyer, giornalisti, eventi e feste legati al mondo della moda. Ora che grazie ai vaccini e all'allentamento delle restrizioni la nostra vita sta lentamente tornando alla normalità, dovremo aspettarci nuovamente sfilate affollate come prima? Una cosa è certa: il Covid ha cambiato molte dinamiche del settore – dalle sfilate in streaming allo shopping online – ma il calendario della Settimane della Moda aveva mostrato segni di cedimento già da tempo, pressato da un pubblico sempre più impaziente, dall'onnipresenza dei social e dalla fast-fashion.

Perché si sfila due volte all'anno

Il sistema moda tradizionale, dal dopoguerra a oggi, si è organizzato intorno alle Fashion Week, o Settimane della Moda: durante questi appuntamenti si concentrano le sfilate dei designer, richiamando la stampa e i buyer. Le principali sono a New York, Londra, Parigi e Milano. Questo sistema ormai va declinato al passato, ma proviamo a spiegarlo. Semplificando, ogni brand disegna ogni anno due collezioni Haute Couture e due collezioni prêt-à-porter. Le prime si riferiscono ai vestiti fatti su misura, le seconde ai vestiti già confezionati, già "pronti da indossare". Due perché tradizionalmente le collezioni si dividevano in uomo e donna: un'altra distinzione parzialmente saltata, ma ci arriviamo. Negli anni si sono aggiunte le collezioni Pre-Spring e Pre-Fall: nascono come abiti "fuori stagione" pensati per chi in inverno va in vacanza in un posto esotico, ma per la maggior parte dei brand le collezioni pre-fall e pre-spring servono anche ad avere pezzi "vendibili", di largo consumo, pronti da mandare nei negozi. Un modo, insomma, per colmare la distanza che c'è tra una sfilata e l'altra.  Gli abiti infatti arrivano nei negozi circa sei mesi dopo essere apparsi in sfilata. Tradizionalmente, a febbraio viene presentato l'abbigliamento invernale dell'anno successivo e a settembre l'estivo dell'anno successivo. La stampa presente ne parlerà nelle riviste di settore e intanto i brand avviano la produzione. Alla fine dell'estate i capi visti a febbraio e pubblicizzati nelle riviste arriveranno nei negozi, e così via.

Dior Cruise Collection 2021, Lecce
Dior Cruise Collection 2021, Lecce

Il sistema del See Now, Buy Now

Questo calendario così lento e macchinoso è stato messo in crisi da diversi fattori: uno su tutti è l'arrivo della fast fashion, che ha abituato il pubblico a capi sempre nuovi nei negozi (spesso proprio copiando le sfilate viste in passerella). I brand del lusso hanno iniziato a aumentare la produzione per stare al passo attraverso le già citate collezioni cruise e pre-fall, oppure tramite capsule collection, limitate a pochi pezzi particolari, subito disponibili. Un altro fattore che ha cambiato le regole del gioco è l'ingresso degli influencer (eredi dei fashion blogger) seduti in prima fila alle sfilate, accanto alla stampa tradizionale. Che piacciono oppure no, è innegabile che abbiamo allargato la platea di persone "virtualmente" presenti alle sfilate, democratizzando il sistema. I social network hanno accorciato la distanza tra pubblico e passerelle, aumentando il desiderio. Ma nel mondo della gratificazione instantanea, chi vorrebbe aspettare sei mesi per poter comprare qualcosa che gli piace? Alcuni brand hanno sperimentato le collezioni "See Now, Buy Now", capi subito disponibili online dopo la sfilata. Pioniere in questo senso è stato Burberry, seguito da brand come Tom Ford, Tommy Hilfiger e Moschino. Il brand guidato da Jeremy Scott ha sperimentato il sistema per la prima volta nel 2014, dopo l'enorme successo della collezione dedicata a Barbie, diventata virale sui social.

La collezione Moschino Spring/Summer 2015 dedicata a Barbie
La collezione Moschino Spring/Summer 2015 dedicata a Barbie

Sarà la fine delle Fashion Week?

Le settimane della moda nascono da un'esigenza pratica: concentrando le sfilate nel giro di pochi giorni si garantisce la massima copertura della stampa. I giornalisti americani o i buyer giapponesi, per fare un esempio, in un unico viaggio a Milano possono vedere tutte le sfilate che interessano loro, concordare gli ordini e magari stringere anche relazioni personali e professionali agli eventi. Con un tale afflusso di persone nel tempo la Settimana della Moda ha rappresentato anche un gigantesco afflusso di denaro per le città che la ospitano. Il Covid ovviamente ha spazzato via in un colpo solo questo sistema: impossibile viaggiare e aggregare persone.

la sfilata Dior Couture Cruise Collection 2020 a Marrakech
la sfilata Dior Couture Cruise Collection 2020 a Marrakech

La crisi della moda non dipende dal Covid

Il Covid ha sicuramente rappresentato un punto di rottura nel calendario del sistema moda. Ma mettendo in fila tutti i vari fattori – influencer, social network, fast fashion, streaming – si capisce che probabilmente la pandemia è stata solo l'ultima (torrenziale) goccia che ha fatto traboccare un vaso già pieno. Insomma, l'ultima spallata a un sistema già in crisi da tempo. Ben prima della pandemia molti stilisti si erano sfilati dal calendario ufficiale della Fashion Week, decidendo autonomamente tempi e luoghi in cui presentare i propri abiti. Gucci ha scelto di crearsi un percorso artistico indipendente, sfilando a Firenze e a Roma. Anche Bottega Veneta ha slegato le sue sfilate da Milano: la collezione Primavera/Estate 2021, ad esempio, è stata presentata in un teatro a Londra lo scorso ottobre. L'ultimo, in ordine di tempo, è stato Versace. Ma è un problema che interessa tutte le passerelle: la stampa statunitense dà periodicamente per spacciata la New York Fashion Week, da cui sono progressivamente fuoriusciti tutti i designer più importanti.

Sfilata Gucci Cruise 2020, ai Musei Capitolini di Roma
Sfilata Gucci Cruise 2020, ai Musei Capitolini di Roma

Le sfilate esclusive in location mozzafiato

Anche oltralpe accade la stessa cosa da tempo: per riaffermare l'idea di "esclusività" in un mondo ormai aperto a tutti, i brand di alta moda hanno iniziato a scegliere location mozzafiato per le collezioni Cruise. Ghiacciai, campi di grano, castelli, deserto: luoghi dove poteva accedere solo un pubblico ben selezionato. Chanel, che ha sempre sfilato in calendario a Parigi per le collezioni pret-à-porter, per le collezioni Cruise ha preferito sfondi esotici: nel 2016 per esempio volò a Cuba e l'anno dopo in Grecia. Dior invece ha ambientato la collezione Cruise 2018 nel deserto di Santa Monica, in California, con una mongolfiera gigante sullo sfondo. Nel 2019 ha scelto Marrakech, per un emozionante sfilata notturna e nel 2020 la direttrice creativa Maria Grazia Chiuri ha voluto omaggiare la Puglia con una sfilata evento a Lecce, tra i ballerini di Taranta. Saint Laurent invece ha scelto di ambientare le sue sfilate dell'epoca Covid prima tra le dune del deserto e poi tra i ghiacciai di Islanda. 

Dior Cruise 2018, nel deserto di Santa Monica, California
Dior Cruise 2018, nel deserto di Santa Monica, California

Come cambierà la moda dopo la pandemia

Il fatto di potersi vedere la sfilata comodamente in streaming, dal proprio pc o cellulare, toglie sicuramente un po' di magia all'evento e al prestigio sociale di "esserci". Ma rappresenta anche una comoda soluzione per i giornalisti, che devono fare i conti con budget ridotti e l'impossibilità fisica di spostarsi dalle proprie redazioni. Lo stesso vale per i buyers e gli addetti ai lavori. La pandemia ha anche rimesso in discussione la sfrenata produzione di nuove collezioni: un sistema compulsivo che ha costi insostenibili per l'ambiente. Giorgio Armani è stato tra i primi a esprimere la necessità di rallentare, e anche Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, lo scorso maggio ha detto che la moda ha bisogno di tempo. "Ho deciso di costruire un percorso inedito, lontano dalle scadenze che si sono consolidate all’interno del mondo della moda – ha scritto in un post su Instagram – soprattutto, lontano da una performatività ipertrofica che oggi non trova più una sua ragion d’essere". Impossibile prevedere come sarà il futuro della moda: sicuramente però un sistema così accentratore e rigido era totalmente inadeguato per il mondo attuale, rapido e liquido. Il Covid potrebbe anzi aver aperto nuove strade, verso una moda più digitale, inclusiva e sostenibile.

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