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La moda veste donne normali con la taglia 46 e punta sulla sostenibilità: è etica o puro marketing?

Il pubblico chiede alla moda di cambiare passo: accettare ogni corpo e rispettare l’ambiente. E la moda ascolta: i social infatti sono una formidabile cassa di risonanza, in grado di far partire boicottaggi e mettere in crisi la reputazione dei brand nel giro di poche ore. Che sia per marketing o per etica, il settore sta veramente cambiando.
A cura di Beatrice Manca
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La campagna pubblicitaria di Dolce&Gabbana con Vanessa Incontrada protagonista è stata accolta come un ottimo esempio di body positivity, cioé di accettazione del proprio corpo a prescindere dalla taglia. Il brand ha infatti deciso di allargare la propria offerta di taglie e vestire anche donne che portano dalla 46 in su. La body positivity è uno dei valori che il pubblico chiede con più fermezza alla moda: basta ritocchi e modelle esageratamente magre, è ora che il fashion business accetti ogni corpo. E possibilmente che l'industria della moda scelga anche strade più sostenibili per il pianeta e per chi ci lavora: insomma, una moda con un'etica.

Vanessa Incontrada nella nuova campagna di Dolce&Gabbana
Vanessa Incontrada nella nuova campagna di Dolce&Gabbana

La moda etica è solo una strategia di marketing?

Quando i brand hanno iniziato a sposare le cause ambientaliste e i diritti delle donne i commentatori avevano lanciato messo in guardia contro il greenwashing, cioé la tattica di puntare sui valori dell'ambiente solo per vendere di più, senza poi cambiare una virgola delle proprie politiche ambientali. Spacciare per verde qualcosa che verde non è affatto, come i prodotti delle multinazionali con un prezzo eccessivamente basso. Adesso la domanda resta legittima: la moda sta cambiando davvero o è solo una strategia per "rifarsi una verginità" dopo decenni di campagne con modelli di bellezza irraggiungibili? Zara per esempio tre anni fa finì nell'occhio del ciclone per una campagna dal titolo "Love Your Curves": peccato che le ragazze degli scatti siano entrambe molto magre.

La campagna Zara I Love Curves
La campagna Zara I Love Curves

Le controversie di Dolce&Gabbana

Neanche Dolce&Gabbana è estranea al bodyshaming: uno dei due co-fondatori, Stefano Gabbana, ha sollevato numerose polemiche per aver commentato in modo poco lusinghiero l'aspetto di celebrità come Selena Gomez e Lady Gaga (in particolare la pancia "morbida"). La vicenda più clamorosa che ha coinvolto lo stilista però risale alla fine del 2018: per promuovere una sfilata in Cina Dolce&Gabbana aveva lanciato una serie di video con delle modelle che mangiavano cibo italiano con le bacchette: sono stati considerati razzisti, stereotipati e sessisti. La situazione è definitivamente degenerata quando DietPrada, un account satirico di Instagram, ha pubblicato uno scambio di messaggi con Stefano Gabbana in cui il designer si esprimeva in modo offensivo contro la Cina. Risultato: la sfilata è stata annullata e il brand ha subito ingenti perdite.

Il video di scuse di Dolce&Gabbana
Il video di scuse di Dolce&Gabbana

Il peso dell'opinione pubblica e la paura del boicottaggio

Il caso di Dolce&Gabbana e il flop cinese dimostra soprattutto il peso che i social network possono avere sulla fortuna o sfortuna di un brand. Molte campagne di boicottaggio (nel mondo della moda e fuori) sono partite esattamente in questo modo. La rete ha creato un'immensa cassa di risonanza per l'indignazione del pubblico: una voce critica può arrivare da una parte all'altra del globo in tempo record, raccogliendo moltissime persone lungo la strada. Masse di persone, che decideranno se acquistare o no. Nessuna sorpresa dunque che la "reputazione" digitale dei brand sia così preziosa: basta una gaffe sui social o una campagna pubblicitaria sbagliata che il lavoro dei anni può essere incrinato e compromesso.

La moda ha veramente cambiato rotta?

Che sia solo una strategia di marketing o un sostanziale cambio di rotta alla fine non importa: qualunque sia la motivazione è innegabile che la moda sia diventata più inclusiva, democratica e sostenibile. Molti brand come Prada, Armani e Burberry hanno scelto di rinunciare alle pellicce o di ridurre la propria impronta ambientale, come Gucci: innegabilmente hanno sfruttato l'onda dei movimenti ambientalisti per avere un ottimo ritorno di immagine, ma il risultato è comunque un danno minore per l'ambiente. Far sfilare donne diverse per età, conformazione fisica ed etnia contribuisce fa sentire rappresentate fasce di popolazioni sempre maggiori, non solo donne giovanissime e magrissime. Allo stesso modo, il fatto che Dolce&Gabbana abbia aumentato l'offerta di taglie (fino alla 54 italiana) significa che le donne che vogliono acquistare un loro capo non debbano rinunciarci solo per una questione di taglia: ed è questo ciò che conta davvero.

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