Da più di quarantacinque anni se c’è un volto di donna che rappresenta le battaglie civili e sociali del nostro Paese più di chiunque altro, è senza dubbio Emma Bonino. Esponente di spicco dei radicali, deputata, ministro del commercio prima e degli affari Esteri poi, eurodeputata e attualmente senatrice, è stata in prima linea nelle discussioni e nel lungo sentiero dell’emancipazione femminile, che lei ha contribuito a tracciare. Questo 8 marzo, giornata delle donne, è proprio con Emma Bonino che Fanpage.it ha voluto ripercorrere anni di battaglie italiane verso la parità di genere. Cercando di analizzare anche il presente.
Emma Bonino: quando il personale è politico
L’impegno politico di Emma Bonino non nasce per caso, ma parte da un fatto personale che lei ha reso pubblico per farne l’inizio di un cammino di libertà. “L’aborto clandestino a cui ho dovuto ricorrere da ragazza è un episodio che mi ha profondamente umiliata. Dentro mi è scattato qualcosa che mi ha fatto dire ‘mai più’. Non solo per me, ma per nessun altro”. Correva l’anno 1975 e da quell’episodio, in un’Italia in cui l’interruzione di gravidanza era un reato, è iniziato il suo impegno politico incontrando i Radicali e la Rete per la non violenza.
È una stagione che si era aperta già con la vittoria nel referendum sul divorzio, proseguita poi, nel 1978, con quella sull’aborto. Una fase di grandi diritti civili conquistati: la riforma dello stato di famiglia, il diritto di voto ai diciottenni, l’obiezione di coscienza. C’era un enorme fermento femminile quando io sono entrata in politica.
Proprio gli anni Settanta hanno segnato delle grandi vittorie che hanno cambiato il volto dei diritti femminili nel nostro Paese. Fino a quel momento una donna rischiava il carcere per aver interrotto una gravidanza, era costretta a restare in un matrimonio ormai fallito, non poteva accedere alla contraccezione.
Questo impegno è proseguito per alcuni anni, poi il movimento femminile e femminista viene silenziato dai partiti, che si inventano le sezioni femminili come se fossimo una categoria da proteggere invece che persone da promuovere. Le donne si sono come sedute un po’ e io mi sono sentita piuttosto sola. A fine anni Ottanta c’è stato il periodo delle Veline, un fenomeno televisivo e culturale molto pervasivo in cui bastava apparire. Magari uno non sapeva né ballare né cantare, semplicemente doveva apparire vestita in modo improbabile, mentre i presentatori erano col loro tuxedo.
La mappa dei diritti delle donne di oggi
Quella tracciata da Emma Bonino è una parabola degli ultimi quarant’anni, tra lotte civili e scomparsa di rivendicazioni. Oggi, però, c’è una rinnovata sensibilità da parte delle donne che sono tornate ad essere intransigenti e meno disposte a fare deroghe in tema di diritti.
Tutto è iniziato quando, finalmente, sono iniziati ad emergere il fenomeno del femminicidio e della violenza domestica. Sono stati finalmente riconosciuti nel nostro Paese, perché per molto tempo erano stato negati. Gli stupri venivano attribuiti ai rom e agli immigrati, fino a scoprire che no, la maggior parte della violenza domestica avviene in famiglia. E proprio a causa di questo fenomeno siamo tornate in piazza, me compresa. Oggi c’è un pullulare di associazioni che si occupano di violenza di genere, di tutte le forme di violenza e non solamente quella fisica.
Una grande vittoria di oggi, infatti, è che iniziamo a riconoscere che la violenza non è solamente una, ma innumerevoli. Figlia di un’impostazione culturale, questa violenza è silenziosa e mai come oggi si è fatto lo sforzo di promuovere modelli differenti, dentro e fuori la famiglia. Il Covid, poi, ha mostrato le fragilità delle politiche a sostegno delle donne
Le battaglie che si stanno portando avanti oggi sono trasversali. Sia nel Recovery plan, con l’azione decisiva promossa dal Giusto mezzo, sia per quanto riguarda le presenze, ancora non soddisfacenti, nei ruoli decisivi. È chiaro che il Covid abbia impattato molto di più sulle donne e ci ha fatto scoprire dei buchi importanti sia sul sistema sanitario, sia sull’assenza di politiche di cura. Siamo molto concentrati sui bambini, ma questa società che (per fortuna) sta invecchiando, necessita un’attenzione particolare agli anziani per la sua composizione sociologica, che invece normalmente vengono lasciate, si dice, alla cura della famiglia, ma in realtà alle donne della famiglia. Per cui a mio avviso, nonostante siano del tutto insoddisfacenti, ci sono dei passi avanti anche su questo versante.
La donna come individuo, non come madre
Spesso la donna, anche nella politica, viene riconosciuta solo in quanto madre. I fondi dedicati, l’accesso al welfare, sembrano metterla al centro solo in quanto parte di una famiglia.
È un problema culturale italiano. Anche una parte femminile si è adeguata a questo schema, mentre un’altra ha cominciato a ribellarsi. La donna è ovviamente anche altro rispetto all’essere madre, quindi è evidente che non tutte hanno bisogno di asili nido o di accudire i propri figli. Molte, ad esempio, necessitano di accudire i nonni o i padri. Per questo motivo ci sono delle ipotesi valide e concrete messe in campo. La possibilità di avere dei voucher alla francese, cioè per i servizi alla persona, da utilizzare a seconda delle proprie necessità. Qualcuna li userà per gli asili, certamente, ma altre magari per portare il suocero a fare la dialisi. Ci tengo a sottolineare che io non ho nulla contro gli asili nido, ma nella struttura della nostra società i fondi per la famiglia non coprono i bisogni delle donne nella loro completezza. Anche nell’attuale Recovery, sono più viste come famiglia che non come persone. Siamo sempre lì: insisto che la società è cambiata e ci sono vari tipi di famiglia, ci sono milioni di donne senza famiglia e altre che hanno bisogno di badare agli anziani.
La maternità come opzione, non come tappa obbligata. Una scelta libera e senza condizionamenti
Penso che essere madri sia una bellissima cosa, io non ho mai avuto il coraggio. Implica innanzitutto un dirsi “Per sempre” e io, che pure sono una piuttosto costante, non sono mai riuscita a dirmelo.
Aborto, contraccezione, quei diritti non ancora acquisiti
Proprio sulla maternità e il decidere del proprio corpo sembrano esserci le vere battaglie degli anni Settanta incompiute. L’aborto, la contraccezione, sono dei diritti che vengono messi in discussione sempre più spesso
Se mi guardo indietro, a quando avevo vent’anni, questo Paese non lo riconosco. E lo intendo in meglio. E mi dispiace che le ragazze d’oggi danno tutto questo per scontato. Molte delle riforme che abbiamo ottenuto cinquant’anni fa sono applicate solo a metà, o non sono applicate affatto. Penso alla legge 194, che spesso non applicano per via di un’obiezione di coscienza generalizzata. Io non ho niente contro l’obiezione di coscienza di nessuno, ma penso che le strutture debbano attrezzarsi per applicare le leggi dello Stato. Quello che è inaccettabile in uno Stato di diritto è che sia proprio lo Stato a non applicare le sue leggi. La pillola abortiva RU486, che è usata in tutto il mondo, da noi no. Eppure è una tecnica medica a tutti gli effetti, solo meno invasiva. Non parliamo poi della pillola del giorno, in cui c’è stata l’assurdità anche dell’obiezione di coscienza dei farmacisti. Ne abbiamo viste e continuiamo a vederne di tutti i colori. Il problema è solo non farsi spaventare e ricominciare sempre da capo. Tutte le volte bisogna trovare e inventare una nuova strada. Le nuove generazioni devono capire che i diritti conquistati non sono scritti come i dieci comandamenti, possono tornare indietro e ti svegli una mattina e non ci sono più. Questo provo a dirlo, ma con fatica.
Le battaglie politiche femminili di oggi partono anche da alcune precise indicazioni dell'Unione Europea e del trattato di Istanbul che pone obiettivi precisi. L'Ue è in qualche una ciambella di salvataggio per i diritti civili?
L’Europa è sempre stata un ancora di salvataggio sui diritti sociali e civili. Ricordo nel 1975, durante la battaglia sulla legalizzazione dell’aborto, furono i Paesi nordici e Simone Weil, che pure era ministro della Sanità in un Governo di destra, a far passare la legge sulla legalizzazione dell’aborto. Fu molto utile perché eravamo prese per pazze, come coloro che volevano distruggere la famiglia. La solidarietà di persone rispettate del nord Europa ci ha aiutato ad affermare un dato di credibilità. Come a significare: "non siamo pazze, siamo solo in un Paese arretrato". Questo mix tra Paesi nordici e Paesi mediterranei è stato sempre un mix favorevole, che si è rivelato progressista e non reazionario. Cambiare si può: è faticoso, è lento, nessuno ti regala niente. E se cambiare si può, tentare si deve, sapendo che è una strada in salita. A me è capitato, e capita ancora, di dire basta. Poi però mi riprendo e continuo la battaglia.