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Opinioni

Donne mortificate anche nell’omosessualità: le lesbiche sono ancora invisibili o stereotipate

Lunedì 17 maggio è la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia. La cronaca sta registrando un preoccupante tasso di violenze e discriminazioni fatte sulla base dell’orientamento sessuale. Ma a differenza di trans e gay, decisamente più esposti, delle lesbiche non si parla mai. Sembrano del tutto invisibili, scarsamente rappresentate e considerate. Si tende a occultare e a non dare pieno riconoscimento a questo universo proprio perché si ha ancora difficoltà ad accettare che la donna possa discostarsi dallo stereotipo della moglie e della mamma.
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A cura di Giusy Dente
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Sono confuse: le lesbiche sono quelle a cui piacciono le donne perché non hanno mai incontrato un vero maschio virile oppure ne hanno incontrato uno che le ha fatte a tal punto soffrire, da convincerle a orientarsi in modo diverso. O sono mascoline: sono quelle coi capelli corti, che non si truccano, non seguono la moda, non curano l'aspetto fisico. Le chiamano camioniste e sono amiche con le idee poco chiare sui loro sentimenti. Grande classico è il problema mentale, il trauma infantile, la famiglia disfunzionale alle spalle. Dalla madre anaffettiva alla figura paterna assente che ha fatto scaturire una sorta di odio represso verso la figura maschile: un qualunque incidente di percorso, insomma, capace di deviare una sessualità normale in una anormale. Perché dai, non vorrai mica dirmi che sia normale questa cosa dell'omosessualità? In fondo il mondo va avanti perché gli uomini si accoppiano con le donne, altrimenti ci estingueremmo. Questa serie di cliché gettonatissimi nasce dal fatto che la cosiddetta "anormalità" fa talmente tanta paura che necessita a tutti i costi di essere inquadrata in schemi facili da identificare tanto quanto la comoda e rassicurante "normalità".

Dopo Saffo, dove sono le lesbiche?

Nelle motivazioni che hanno portato Ellen DeGeneres a ricevere la Medaglia presidenziale della libertà si legge: "Ha fatto la storia della TV quando il suo personaggio ha rivelato di essere lesbica. Nel suo lavoro e nella sua vita è stata un'appassionata sostenitrice dell'uguaglianza". La popolarissima conduttrice televisiva, infatti, ha fatto coming out attraverso il personaggio che interpretava in una sitcom, una trovata originale che non si era mai vista e che le ha permesso di raggiungere un pubblico enorme. L'immediata reazione fu la storpiatura del cognome DeGeneres in DeGenerate (degenerata): era pur sempre il 1997. Sarebbe bello poter fare un esempio italiano di altrettanto coraggio e incisività, ma in effetti non c'è nella nostra televisione né nei nostri media in generale: né tornando indietro di vent'anni né scavando nell'attualità. È una realtà del tutto  , ma non solo in Italia. La verità è che da Saffo in poi c'è sempre stato un certo silenzio sull'omosessualità femminile. Anche quando si cominciava a dare visibilità ai gay, non c'era parallelamente altrettanto spazio per le lesbiche. Di fatto sono inesistenti e ancora oggi devono faticare di più per imporre la loro presenza, andando oltre lo scoglio dell'eterosessualità obbligatoria e di una precisa idea di femminilità. Di fondo c'è un fortissimo obbligo culturale e sociale: lo stereotipo della donna mamma e moglie durissimo da scavalcare.

Dallo stereotipo nasce la discriminazione (sociale e linguistica)

A differenza dei gay e dei trans, che sono iper-visibili, le lesbiche sembra che esistano al massimo nelle fantasie erotiche dell'eterosessuale medio. Sono quasi escluse dai discorsi così come dalla rappresentazione mediatica. E anche un'analisi linguistica fa emergere questo elemento. Solitamente si usano le parole gay o omosessuale, due termini maschili utilizzati come neutri al posto della parola lesbica, che ha quasi un connotato negativo, offensivo, al pari di una parolaccia. E infatti mentre esistono un'infinità di offese volgari riferite ai gay, non ne esiste neppure una per le lesbiche: l'offesa sta già in questa stessa parola. Si tende a occultare e a non dare pieno riconoscimento a questo universo proprio perché si ha ancora difficoltà ad accettare che la donna possa avere un orientamento sessuale "diverso". Lo stereotipo che domina la percezione resta quello della moglie e della mamma e una lesbica incarna tutto ciò che non dovrebbe essere: non sposerà mai un uomo né con lui metterà al mondo dei figli. Sacrilegio! Sono queste due etichette a condizionare molto le donne nella loro realizzazione e autodeterminazione, perché hanno molti più catene a tenerle in gabbia. Aspirare a certi settori lavorativi e fare il capo è difficile: roba da uomini. Portare avanti carriera e famiglia pure: la precedenza ce l'hanno i figli e una volta nati non deve esistere altro. E a quanto pare non basta: persino quando si tratta di orientamento sessuale le donne sono quelle meno visibili e più discriminate, non libere di essere se stesse.

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Oltre le etichette esistono solo persone

Tutto ciò che si discosta dall'etichetta di moglie-mamma che le donne si portano dietro da millenni è additato come sbagliato. Lasciare che le persone siano semplicemente ciò che sono, senza categorie e stereotipi, significherebbe riconoscere una varietà e una moltitudine di colori che necessiterebbero di molta più sensibilità, parecchio più impegno. Invece avere delle categorie rende tutto più facile, perché ti spacchetta il mondo in porzioni facili da riconoscere. C'è il normale e l'anormale, da un lato ciò che è giusto e dall'altro ciò che è sbagliato: dentro o fuori insomma, nero o bianco senza sfumature. E per forza di cose ciò che è diverso è ciò che resta escluso, perché andrebbe conosciuto, capito e accettato. Alcune lesbiche sì portano i capelli corti, ma tante altre sono perfettamente aderenti a quella femminilità che parrebbe dover essere propria solo dell'eterosessuale. Non ci si capisce di più né c'è necessariamente più sintonia in una relazione tra lesbiche, rispetto a una tra uomo e donna, proprio per lo stesso motivo: perché è una relazione tra due individui, ciascuno col proprio carattere e la propria personalità. Le lesbiche esistono e sono solo due persone che si amano, sono semplicemente donne.

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Giornalista dal 2018, laureata in Lettere ed Editoria e Scrittura, consegue al termine degli studi universitari il master in Critica giornalistica presso l'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica Silvio d'Amico di Roma. Qui, oltre a portare avanti la formazione accademica e a fare esperienze di redazione, coltiva la passione per la radiofonia, collaborando con emittenti web e seguendo corsi di dizione e conduzione. Attualmente a Milano scrive per Fanpage.it, nell'area Stile e Trend, occupandosi prevalentemente di storie e interviste, questioni di genere, storie di donne.
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