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Alice Merlo, attaccata perché testimonial dell’aborto: basta colpevolizzare le donne per le loro scelte

La 27enne è diventata testimonial di una campagna sull’aborto farmacologico per ribadire un messaggio semplice: nessuno può dire alle donne come vivere questa esperienza. Ma gli insulti ricevuti dimostrano che troppe volte non siamo padrone dei nostri corpi: ci sarà sempre qualcuno che si scandalizza se ci mostriamo, se ci copriamo, se decidiamo per noi.
A cura di Beatrice Manca
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Di aborto in Italia si parla troppo poco e troppo male. Alla disinformazione sull'interruzione volontaria di gravidanza (Igv) si aggiunge troppo spesso la colpevolizzazione collettiva e un discorso mediatico che lo racconta come un trauma, una cicatrice che segnerà per sempre chi decide di farlo. Per molte è così, ma non per tutte. Per questo Alice Merlo, 27 anni, ha deciso di metterci la faccia: dopo aver terminato serenamente una gravidanza nel 2020 ha raccontato la sua esperienza su Facebook, sfatando stereotipi e pregiudizi sulla pillola RU 486. A quel punto è entrata a far parte della campagna della Uaar – Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti sull'aborto farmacologico. Il suo volto è comparso in tutte le città d'Italia per lanciare un messaggio semplice e chiaro: "Io ho abortito e sto benissimo". Neanche a dirlo, è stata ricoperta di insulti e attacchi da parte dei movimenti anti-choice e da chi semplicemente non la pensa come lei.

"Bisogna superare lo stigma intorno all'aborto"

Alice ha deciso di metterci la faccia proprio perché era sicura e serena della sua scelta, e aveva una rete di affetti che l'ha supportata incondizionatamente. Troppo spesso la narrazione mediatica intorno all'aborto è intrisa di dolore e sensi di colpa. Intendiamoci: l'aborto non è una scelta facile e per molte donne è un dolore. Ma non deve essere necessariamente vissuto così: il senso di colpa imposto dalla società è un peso che aggrava inutilmente una decisione già delicata di suo. Il messaggio di Alice è chiaro: non devono dirti gli altri come vivere un aborto. Può essere una decisione sofferta, ma può anche essere una decisione presa con consapevolezza e vissuta senza drammi, come lo è stato per Alice. E in entrambi i casi, nessuno deve far sentire una donna in colpa per aver esercitato un diritto previsto dalla legge. "Non solo va difesa la Legge 194, bisogna superare lo stigma intorno all'aborto, perché molto spesso l'inferno dell'aborto sono gli altri", dice Alice in un video condiviso sul suo profilo Instagram. La scelta di abortire non dovrebbe essere ostacolata né dagli obiettori di coscienza (che in molte strutture praticamente impediscono l'accesso all'interruzione volontaria di gravidanza) né tantomeno dal giudizio altrui, che colpevolizza la donna: anche con il massimo senso di responsabilità nella contraccezione, gli incidenti capitano.

Le donne non sono ancora padrone del proprio corpo

La storia di Alice, insultata per aver condiviso una sua esperienza, non solo dimostra che la conquista dell'aborto non deve essere data per scontata. Dimostra anche le donne non sono ancora pienamente padrone del loro corpo e di decidere per loro stesse: ci sarà sempre qualcuno pronto a giudicare senza ascoltare, pronto a condannare senza poter capire. La cronaca ci dimostra che nel 2021 le donne non sono veramente libere di decidere sui corpi. Quando si parla di femminicidi o di violenze sulle donne, troppo spesso si tende a suggerire alle vittime di modificare il proprio comportamento. Che ci faceva da sola di notte per strada? Che aveva fatto lei per provocarlo? O peggio ancora: che cosa indossava quando è stata stuprata? Ma gli esempi si applicano anche a ambiti ben meno gravi: Belén Rodriguez indossa un abito che lascia intravedere i capezzoli e il pubblico si scatena: le donne e gli uomini hanno i capezzoli, ma quelli femminili per qualche motivo sono un'inesauribile fonte di scandalo. Chiara Ferragni mostra con orgoglio il pancione sui social e zac, legioni di donne la insultano tirando in ballo il marito Fedez, come se sposandosi avesse trasferito i suoi diritti al partner e dovesse chiedergli il permesso. Mettiamocelo bene in testa: il corpo delle donne appartiene solo alle donne, che hanno il diritto di gestirlo, mostrarlo e coprirlo come meglio credono. Hanno il diritto di scegliere se e quando diventare madri. Hanno il diritto di terminare una gravidanza indesiderata senza sentirsi in colpa e senza aggiungere un carico di dolore non necessario. Quello di autodeterminarsi è un diritto imprescindibile delle persone: grazie Alice, per avercelo ricordato.

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Nata a Roma nel 1992 e cresciuta a pane e libri a Viterbo, sono giornalista professionista dal 2019. In tasca una laurea in Editoria e un master in giornalismo alla Scuola Rai di Perugia. Lavoro a Fanpage nella sezione Stile e Trend. Mi occupo di questioni di genere e di moda, con un occhio di riguardo alla sostenibilità ambientale. Prima al Fattoquotidiano.it e Fq Millennium.
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