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Laura Boldrini: “Difendiamo le donne polacche da chi vuole portare indietro le lancette della storia”

In Polonia si battono per il diritto all’aborto, in Bielorussia per la piena democrazia. Le piazze dell’Europa dell’Est si sono riempite grazie alla lotta quotidiana di donne coraggiose. Ma anche nel resto del mondo sembra essersi risvegliata una coscienza femminista nuova. Laura Boldrini, onorevole del Pd ed ex Presidente della Camera, ne ha discusso con Fanpage.it e avverte: “I diritti delle donne ovunque sono sotto attacco dell’Internazionale sovranista”
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A cura di Giulia Torlone
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Dal 22 ottobre le piazze e le strade di Varsavia, Cracovia, fino ad arrivare a quelle di Bydgoszcz, Poznan e Breslavia sono occupate dalle donne. La decisione della Corte Costituzionale polacca di inasprire ancor di più l’accesso all’interruzione di gravidanza, di fatto rendendola impossibile, ha ottenuto l’effetto di un’onda d’urto che appare inarrestabile. La stessa onda che continua a invadere la Bielorussia che, dopo le elezioni del 9 agosto, ogni sabato e domenica diventa il teatro della rivendicazione del diritto alla democrazia e quello di chiudere il capitolo, durato oltre 25 anni, di dittatura di Lukashenko. In entrambi i Paesi, seppur con le dovute differenze, le donne sono le reali protagoniste delle piazze. In Italia, a portare l’attenzione su queste tematiche, che sono il cuore pulsante dei diritti umani e civili europei, è l’onorevole Laura Boldrini che, in più occasioni, ha espresso pubblicamente la necessità che la politica dell'Ue si faccia carico di queste battaglie. A Fanpage.it racconta di come le donne stanno cambiando il volto dell'est Europa.

Onorevole, lei si è schierata in prima linea con le battaglie dei movimenti per la libertà e l’autodeterminazione dei cittadini della Bielorussia prima e poi della Polonia. Il minimo comune denominatore delle proteste è l’assoluto protagonismo delle donne. Cosa sta succedendo in Polonia?

Le donne polacche si stanno dimostrando delle leonesse. Hanno coinvolto compagni, amici e colleghi in questa battaglia di libertà che portano avanti ormai da mesi, ma che ora è diventata imponente. La sentenza della Corte Costituzionale del 22 ottobre è un affronto, una minaccia alla salute delle donne, perché di fatto le obbliga all’aborto clandestino. Basti pensare che dal ’93, in Polonia, sono stati autorizzati solo un migliaio di interruzioni di gravidanza l’anno, mentre i dati dicono che sono circa 150mila le donne polacche che ricorrono all’aborto volontario. Ho abbastanza anni da ricordare di quando ero ragazza, di cosa significasse l’aborto clandestino. Ricordo la cronaca sui giornali, i racconti di ragazze che ricorrevano alle cosiddette “mammane”, morendo poi per infezioni. È una pratica feroce, brutale, che pensavamo di non dover vedere più in Europa e che invece rischia di aumentare a seguito di queste restrizioni. Io mi sono sentita in dovere di presentare un’interpellanza urgente, che presenterò in aula venerdì mattina, per chiedere al Governo come intende reagire rispetto alla richiesta del Primo Ministro polacco di invocare l’intervento dell’esercito per reprimere queste manifestazioni di donne.

La Polonia è parte integrante dell’Unione Europea, a differenza della Bielorussia. Le restrizioni sull’aborto, quindi la differenza così marcata di valori all’interno dei Paesi di una stessa comunità, possono coesistere? Non dovrebbero esserci dei punti fermi su cui ci si impegni politicamente a non tornare indietro?

Dobbiamo ricordare che la Polonia è oggetto di una procedura d’infrazione avviata dalla Commissione Europea per la legislazione proprio sulla magistratura, perché il Governo polacco non ne rispetta l’autonomia e l’indipendenza. E poi è stata attivata la procedura dell’art. 7 del trattato sull’Unione Europea per la violazione dello stato di diritto. Siamo di fronte a un Paese già in mora, e l'Europa deve prendere le distanze rispetto a quanto sta accadendo. È necessario poi capire se ci sono meccanismi per condizionare lo stanziamento dei fondi in riferimento al rispetto dello stato di diritto.

L’Ue sembra non aver spaventato molto la Polonia con le procedure d’infrazione…

Noi dobbiamo capire che in questo momento storico i leader sovranisti fanno del loro maschilismo e dei diritti delle donne  un utilizzo politico. C’è la gara a chi vuole limitare di più i nostri diritti  e decidere per noi. La donna viene vista come un complemento dell’uomo, come l’angelo del focolare. Non devono decidere, ci sarà qualcuno che decide per loro. Questa è la mentalità tradizionalista nei confronti della quale bisogna rilanciare un modello sociale totalmente diverso, evoluto e progressista. Cioè la donna protagonista della società, dell’economia, della politica, che non tollera che nessuno decida per lei. Abbiamo fatto decenni di battaglie femministe e non siamo disposte ora né a rinunciare né a farci da parte.

Un maschilismo fortissimo che ritroviamo, in maniera estrema, nella Bielorussia di Lukashenko. Anche qui, le donne sono le protagoniste di un tentativo di riscatto dopo anni di dittatura

La risposta più netta al machismo e al sessismo di Lukashenko è stata quella di aver deciso di presentare alle scorse elezioni tre donne leader: Svetlana Tikhanovskaya, Veronika Tsepkalo e Maria Kolesnikova. Il dittatore ha sempre manifestato con molta chiarezza il suo punto di vista: che la politica non fosse una roba da donne, irridendo chiunque ci provasse. Ma quelle piazze, che dal 9 agosto si riempiono ogni weekend, stanno dando molta credibilità a queste tre donne leader. Manifestano nonostante il regime utilizzi metodi di repressione brutali. Sfidano il Governo con un messaggio chiaro e incontrovertibile: Lukashenko se ne deve andare, deve liberare i prigionieri politici e deve consentire nuove elezioni. Lui non è il Presidente della Bielorussia, si è solo autoproclamato tale.

Il 1° settembre ha incontrato a Vilnius Svetlana Tikhanovskaya, una netta presa di posizione sulla legittimità delle elezioni bielorusse

Nel vedere l'impegno quotidiano di quelle piazze verso il raggiungimento della libertà ho pensato che dovessimo sostenere questa leadership al femminile. Per questo io e la collega Lia Quartapelle abbiamo deciso di visitare Svetlana Tikhanovskaya a Vilnius, dando seguito, al rientro, a un’iniziativa politica in cui abbiamo voluto convogliare anche la società civile: da Amnesty International alla FNSI e Articolo 21 tra gli altri, per riuscire a tenere alta l’attenzione sul Paese. Abbiamo anche istituito un Comitato nazionale per la democrazia in Bielorussia, in questo caso coinvolgendo anche la comunità bielorussa in Italia e le organizzazioni sindacali italiane, che sono in contatto con i sindacati indipendenti della Bielorussia.

Aveva anche intenzione di andare a Minsk, ma è stata bloccata a Fiumicino…

Avevamo deciso di partire con una delegazione in occasione della manifestazione, ma quelli di noi che si erano espressi contro il regime sono stati bloccati in aeroporto e sono potuti andare solo i colleghi Orlando e Pollastrini. Quartapelle, Fiano ed io siamo rimasti in Italia, non c’è stato concesso di partire.

La Bielorussia è un Paese con cui l’Unione Europa intrattiene rapporti, soprattutto dopo gli accordi bilaterali del 2016. Un mese fa l’Ue ha approvato delle sanzioni per il regime dittatoriale di Lukashenko congelando le attività di una quarantina di persone, tra cui il presidente. È una risposta abbastanza incisiva secondo lei?

Il Parlamento europeo ha assegnato all’opposizione bielorussa il premio Sakharov e questo è un ottimo segnale. In più l’Ue non ha riconosciuto Lukashenko come leader e ha applicato delle sanzioni: queste mi sembrano mosse importanti. Dopodiché credo che l’opposizione democratica bielorussa vada supportata, trovare dei modi di sostegno affinché possa effettivamente tenere in vita questa protesta. Svetlana Tikhanovskaya fa un immenso lavoro, ma lo fa con le sue forze e questo non può bastare nel medio periodo. L’Ue dovrebbe agire presso Putin, fargli pressione, dato che è l’unica persona a cui Lukashenko risponde al telefono.

In zone dell’est Europa si battono per diritti come la democrazia e il libero accesso all’interruzione di gravidanza. Eppure, anche nell’Europa occidentale dove quei diritti sembrano assodati, sembra essersi risvegliata un nuovo movimento femminista. Cosa lega, secondo lei, queste nuove coscienze femminili in ogni parte del mondo?

È l’attacco che c’è verso i diritti delle donne, ovunque. Ed è un attacco strutturato. C’è una nuova Internazionale sovranista che ha in agenda la limitazione dei diritti delle donne. Non possiamo dimenticare, due anni fa a Verona, il Congresso delle Famiglie dove si vendevano i feti come gadget. Presenziavano all’evento anche esponenti dell’allora Governo. Personaggi che tutto hanno fuorché una famiglia tradizionale, ma che vorrebbero, per gli altri, riportare indietro le lancette dell’orologio. Questi gruppi, queste lobbies, si muovono ovunque nel mondo e hanno un’agenda chiara: rivedere le legislazioni in materia di divorzio, di aborto e di diritti civili cancellando il progresso degli ultimi decenni.

In Usa e Nuova Zelanda Kamala Harris, Alexandria Ocasio Cortez e Jacinda Ardern hanno ribaltato il paradigma secondo cui in occidente il potere è uomo. I partiti politici oltreoceano sono più coraggiosi o i cittadini sono più pronti?

Le due cose vanno un po’ insieme. I partiti politici non possono non prendere atto dell’evoluzione della società e laddove la società è più evoluta, le donne hanno un ruolo più preponderante. Se in alcuni Paesi le donne non hanno ruoli di vertice è perché il tema non è stato sviluppato a sufficienza e nel modo più appropriato. In Italia il tema dell’uguaglianza di genere non è mai stato preponderante nell’agenda politica, il tema del sessismo non è mai stato affrontato seriamente, ma sempre come se fosse una questione di goliardia. La poca consapevolezza su queste tematiche rallenta il processo sociale. Noi viviamo un ritardo che si vede dal fatto che non abbiamo mai avuto una Presidente della Repubblica donna, cosi come una Presidente del Consiglio. Io sono stata la terza presidente della Camera. Il fatto che non si abbiano ancora questi ruoli declinati al femminile è perché queste tematiche, che riguardano il 51 per cento della popolazione, sono sempre state considerate marginali. C’è stato un sistematico tentativo di sminuire tutto quello che riguarda il femminile. Alle donne è chiesto molto di più di quanto è richiesto agli uomini: devono essere sempre “super” per poter essere considerate all’altezza. Se non sei eccezionale non sei adeguata. Ma quanti uomini non sono eccezionali senza che nessuno metta in dubbio la loro adeguatezza? Solo mettendo l’uguaglianza di genere al centro dell’agenda politica, investendo le risorse, valorizzando quello che le donne fanno, possiamo fare uno scatto in avanti reale.

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Trent’anni, giornalista professionista, si occupa di politica e questioni di genere tra web, carta stampata e tv. Aquilana di nascita, ha studiato Italianistica a Firenze con una tesi sul rapporto tra gli intellettuali e il potere negli anni duemila. Da tre anni è a Roma, dedicando anima e cuore al giornalismo. Naturalmente polemica e amante delle cose complicate, osserva e scrive per capirci di più, o per porsi ancora più domande. Profondamente convinta che le donne cambieranno il mondo. 
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