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La violenza che non si vede: l’omotransfobia è fatta anche di parole sbagliate

Oggi è la Giornata mondiale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia. La violenza però non è fatta solo di calci e pugni: passa anche dagli sguardi, dalle parole, dalle domande solo apparentemente innocenti. Fanpage.it ha intervistato Giovanna Cristina Vivinetto, poetessa trans, per sfatare alcuni pregiudizi, dall’aspetto fisico alla sterilità.
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A cura di Beatrice Manca
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Gli sguardi, le risatine, i pregiudizi. Lo stigma sociale. Le difficoltà burocratiche e le discriminazioni sul posto di lavoro. La violenza non è fatta solo di calci e pugni, la violenza è fatta anche di parole sbagliate che lasciano lividi difficili da cancellare. Oggi è la Giornata mondiale contro l'omofobia, la bifobia e la transfobia. Fanpage.it ha contatto Giovanna Cristina Vivinetto, 27 anni, insegnante e poetessa trans, per parlare di tutte quelle forme di violenza psicologica che si mettono in atto anche senza rendercene conto. La sua prima grande, devastante esperienza con la transfobia è avvenuta quando la scuola privata in cui lavorava decise di licenziarla: “Se uno per strada mi urla trans di merda onestamente non mi fa né caldo né freddo, ma se uno mi estromette dal mio incarico perché sono trans…allora lì non ci vedo più”. Giovanna parla anche di tutti quei pregiudizi duri a morire, dall’aspetto fisico mascolino delle donne trans alla sterilità. L'ultima copertina dell'Espresso, con un uomo con il pancione, ha riacceso il dibattito sulla possibilità e sull'opportunità di diventare genitori per le persone trans. “Ti dicono che se inizi un percorso di transizione devi rinunciare ad avere figli – sottolinea la poetessa – Ma non è vero

Licenziata perché trans

Giovanna ha iniziato il suo percorso di transizione quando si è affacciata ai vent’anni: lì è partito il suo viaggio alla scoperta della transessualità e la trafila burocratica per cambiare i documenti. “Io non vedevo un futuro nella mia vita se non avessi avuto il coraggio di diventare Giovanna”. Un percorso lungo e a volte frustrante: “I documenti non coincidono più con il tuo aspetto e la tua identità e quindi devi sempre precisare, spiegare. Immagina all’università ogni volta che si faceva l’appello”. Tutto sommato, dice, durante il suo percorso ha incontrato sempre supporto e comprensione, fino al giorno in cui la scuola privata dove lavorava non l'ha licenziata: "Quella è stata l’esperienza peggiore, perché mi ha colpita come professionista, oltre che come persona". Ha raccontato le sfaccettature della transizione in versi in due libri di poesie: Dolore Minimo (edito da Interlinea) e Dove non siamo mai stati (Rizzoli).

La poetessa Giovanna Cristina Vivinetto
La poetessa Giovanna Cristina Vivinetto

L'omotransfobia nasce dall’ignoranza

Omofobia, transfobia, bifobia: tutti i termini che hanno come desinenza la ‘fobia’ sono delle paure e dei timori irrazionali – spiega la poetessa – che derivano da un errore di valutazione: quello di credere che una persona transessuale o diversa da noi costituisca una minaccia e quindi un pericolo. Questo accade in maniera del tutto inconscia o imprevedibile”. Questo meccanismo, aggiunge, scatta nel momento in cui non conosciamo l’altro e si alimenta con l’ignoranza. “A volte l’ignoranza è per partito preso, per motivi ideologici, perché non si vuole conoscere: essere transfobici significa voler perseverare nell’errore”.

La bandiera con i colori e il simbolo delle persone trans
La bandiera con i colori e il simbolo delle persone trans

Deadname e misgendering: la violenza invisibile

La violenza contro le persone trans può assumere molte forme, e non tutte visibili. Anzi. Anche le parole possono ferire. Paradossalmente, sottolinea Giovanna, sono le cose che sembrano più innocue a fare più male. Una cosa che molte persone fanno (anche involontariamente) è chiamare le persone trans con il nome sbagliato, cioè il nome che avevano alla nascita e non riconoscono più come loro. Questa pratica ha un nome: deadnaming. “In questo modo stai annullando la persona e invalidando la spinta coraggiosa di auto affermazione – spiega Giovanna – Io pensavo: a voi cosa costa usare il nome giusto? Pensate quanto è costato a me”. Anche i pronomi contano: se una persona trans o fluida si identifica come donna deve essere nominata al femminile, o al maschile se si identifica come uomo. Non c’è nulla di complicato, o di confuso. Ma la domanda peggiore rimane: “Ma tu sei maschio o femmina?” Giovanna prova a spiegarlo così: “È come se io incontrassi una persona cisgender e chiedessi: ma tu cosa hai tra le gambe? Non sto dicendo che parlare di genitali sia scandaloso, dico che non è il contesto adatto: magari in confidenza ne parliamo anche, ma non può essere la prima domanda”.

Un'attivista trans con un cartello
Un'attivista trans con un cartello

 “Non sembri trans” e altri stereotipi sul corpo

Sul tema dell’identità di genere c’è ancora molta confusione: una cosa è il sesso biologico assegnato alla nascita, un’altra cosa è il genere, un’altra ancora l’orientamento sessuale (qui una piccola guida) Oltre alla confusione, sulle persone trans pesa anche il diffuso stigma sociale che associa la transessualità unicamente alla prostituzione. In realtà non è più così, anche se le persone trans fanno molta fatica a trovare lavoro e sperimentano continue discriminazioni. Un altro stereotipo diffuso riguarda il corpo e l’immagine che una donna trans “dovrebbe avere” nella percezione collettiva. “Sapessi quante volte mi sono sentita dire che non somiglio a una trans!”, racconta Giovanna. “Una donna transessuale nell'immaginario comune sarà sicuramente un travestito o una prostituta, sicuramente sarà un maschione con il vocione e le manacce e ovviamente, se ti distrai un attimo, non perderà tempo per approcciarsi sessualmente”. Il corpo femminile invece assume migliaia di forme diverse, e così il corpo delle donne trans. Due esempi? L'attrice Indya Moore e Victoria Sampaio, la prima modella trangender ad apparire sulla copertina di Vogue.

Anche le persone trans possono diventare genitori

Il dibattito sulla capacità biologica delle persone trans di diventare genitori si è  riacceso con la copertina dell’Espresso di domenica 16 maggio, disegnata dall’artista trans FumettiBrutti: un uomo con il pancione su cui spicca la scritta “Diversità è ricchezza”. Sfatiamo un mito: non è vero con la transizione sessuale si perda la capacità di riprodursi. Succede quando ci si sottopone all’operazione di rimozione e di ricostruzione dei genitali, ma non è una tappa obbligatoria per tutti i trans. “Non tutti decidono di farlo perché è un percorso molto impegnativo e non sempre produce i risultati sperati”, spiega Giovanna. Lei ad esempio non l’ha fatto: “Il mio essere transessuale non è riguardo a un corpo, ma riguardo a un’identità”. Quindi, a meno che non si decida di sottoporsi a un intervento di riassegnazione del sesso, non si perde la propria capacità di riprodursi. “Sospendendo temporaneamente gli ormoni che assumiamo il corpo ripristina velocemente le normali funzioni biologiche”. Questo vale anche per chi intraprende la transizione FtoM, da donna a uomo, come nel disegno di FumettiBrutti. “Non è vero che le persone trans sono sterili – conclude Giovanna Vivinetto – Ma poi quante donne cisgender non possono avere figli? Significa allora che sono meno donne?”.

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