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La sostenibilità ambientale è donna: vivere in maniera bio si può, ma attenti al greenwashing

Sui social è conosciuta come Carotilla e alla sua community parla di sostenibilità dal 2016. Camilla Mendini è una designer ed esperta di moda sostenibile, e attraverso Instagram sensibilizza gli utenti agli acquisti consapevoli dove etica e basso impatto ambientale devono andare a braccetto. In occasione della Giornata della Terra, Fanpage.it ha discusso con lei di slow fashion, buone pratiche e femminismo green.
A cura di Giulia Torlone
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Ecosostenibile, biologico, green: negli ultimi anni questi vocaboli sono entrati con forza nella nostra narrazione quotidiana. Piano piano, e non senza fatica, i temi del giusto impatto ambientale hanno preso forza nel dibattito pubblico e sui social network, aprendo una discussione sulla possibilità di vivere in maniera sana ed etica, senza per forza rinunciare alle comodità a cui le vecchie generazioni erano abituate. Proprio sui social, anche su questo tema, è iniziata una nuova consapevolezza, rendendo un argomento considerato di nicchia alla portata di tutti.

Carotilla, quando la sostenibilità diventa social

Una delle prime ad interessarsi al tema della sostenibilità sui social è stata Camilla Mendini, aka Carotilla, imprenditrice e divulgatrice con più di 66mila follower, premiata come Top Green Influencer. In occasione della Giornata della Terra, Camilla ha raccontato a Fanpage.it la sua storia.

"Dei temi green si è sempre sentito parlare, ma in maniera sporadica e confusa: i politici discutevano di crisi climatica, ma non si sapeva se potesse essere vero o meno. Ho iniziato a parlare di sostenibilità sei anni fa su social, quando nessuno lo faceva, partendo dalla fast fashion. Si iniziava a capire il problema dopo gli incidenti del Rana Plaza (il crollo di una fabbrica tessile in un distretto di Dacca, Bangladesh, dove morirono 1.129 persone, ndr) ad aprile del 2013. Le notizie c’erano, ma erano tutti scollegate tra loro. Piano piano, grazie a Greta Thunberg e ai social, gli utenti sono aumentati, ho iniziato ad avere le prime interviste e lì ho capito che il tema interessava ed interessa sempre di più. C’è stato un boom enorme, improvviso".

Camilla ha iniziato il suo percorso proprio dalla moda, dalla consapevolezza che i marchi che producono a basso prezzo e con materiali e pratiche ad alto impatto ambientale dovessero e potessero avere dei clienti consapevoli, se solo fossero messi nelle condizioni di conoscere cosa c’è dietro al famoso “maglioncino da cinque euro”. E da lì è partita quando ha avuto l'idea di creare il suo marchio d'abbigliamento, Amorilla, che è all'insegna della slow fashion. "La fast fashion produce una collezione a settimana, 52 all’anno, invece che le classiche due. Questa velocità va a braccetto con quella della produzione. Negli ultimi anni, con l’aumentare della consapevolezza e del desiderio da parte del pubblico di maggior sostenibilità, hanno inventato anche la tecnica del riciclo. Si è poi visto, in realtà, che non riciclano nulla, perché per farlo si ha bisogno che le fibre siano pure e non miste come nella maggior parte dei casi. Un meccanismo che non era sostenibile sin dal principio, ora diventa solamente greenwashing (ecologismo di facciata, ndr): dicono di essere sostenibili perché utilizzano cotone biologico, la pelle di ananas, materiali nuovi che possono essere sì ecologici, ma non rendono un marchio o un sistema moda veramente sostenibile".

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Oltre alla sostenibilità esiste l'etica

Il rischio concreto, quando un argomento diventa mainstream, è che passi di bocca in bocca senza conoscerlo veramente e, nel caso del fashion, che diventi solo marketing e greenwashing per dare lustro all’immagine del marchio. Anche perché, quello che non va dimenticato, è che la sostenibilità deve essere sì ambientale, ma non può prescindere da un altro valore, che è quello dell’etica. Non può quindi non tenere in considerazione le condizioni di lavoro di chi produce quel determinato capo. "L’etica non viene fuori abbastanza. Possiamo renderci conto se un materiale rispetti o meno l’ambiente, ma non sappiamo se dietro la produzione di quel capo ci sia sfruttamento del lavoro o meno. È difficile portare alla coscienza che dietro il basso prezzo c’è un alto prezzo pagato da qualcun altro. Al giorno d’oggi ci sono tantissime alternative, c’è stato un boom di marchi che propongono capi veramente sostenibili, parlo di tutto: dalla moda all’alimentazione. Il second hand, per esempio, è davvero una soluzione ottima e con un mercato in forte crescita".

Cambiare le proprie abitudini di consumo o di vita, non è semplice. Bisogna mettere in discussione pratiche di acquisto, comportamenti privati e acquisire una consapevolezza che ha bisogno del giusto tempo. Quello che è certo, però, è che non sempre è vero che biologico vuol dire caro prezzo. È necessario fermarsi e capire quanto superfluo acquistiamo e quanto invece potremmo puntare sulla qualità piuttosto che sulla quantità. "La sostenibilità costa tanto? È perché siamo abituate al consumo veloce e all’acquisto di cose di cui non abbiamo bisogno. Ognuno deve fare la propria parte, siamo chiamati a farlo. Io sono partita dalla moda, poi con il plastic free e ora sto diventando vegana, ma ho impiegato sei anni per farlo. Il processo è lungo, ma la scelta diventa semplice se riconosciamo quale sia la strada giusta".

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Il Bio è donna

La sensibilità ambientale, numeri alla mano, sembra essere appannaggio delle donne. Un dato interessante riportato dall'Ansa nel 2018 fa notare che il 71 per cento delle donne adotta comportamenti per vivere in modo più etico, comparato con il 59 per cento degli uomini. Anche nel caso della community di Carotilla, il trend sembra confermarlo: "Il mio pubblico è al 97 per cento formato da donne, quindi so per certo che loro sono le prime a interessarsi a questo argomento. Eppure non parlo solo di moda, ma comunque gli uomini sono meno interessati al tema". C'è un filo rosso che unisce il femminismo con la moda etica, ed è proprio quello di rispettare le condizione di vita e di lavoro delle lavoratrici, che nella quasi totalità dei casi sono donne. "La mia battaglia etica si lega al femminismo perché l’80 per cento di chi produce fast fashion sono donne, quindi è un problema femminile. Siamo noi donne che compriamo fast fashion e sono le donne che dall’altra parte del mondo lo producono in condizioni precarie e con una paga misera, spesso anche molestate sessualmente sui luoghi di lavoro".

La quotidianità green, a partire dal ciclo mestruale

Dando uno sguardo al profilo Instagram di Camilla, è chiaro che non ci sia soltanto la moda. Il suo è un vivere in maniera rispettosa dell'ambiente in ogni ambito, soprattutto con le buone pratiche quotidiane. Dalla raccolta differenziata all'abolizione della plastica, dal riciclo creativo all'utilizzo di saponi biologici, dalla sua casa in Florida Camilla dà consigli e suggerimenti alla sua community. Anche il ciclo mestruale, tema prettamente femminile, può avere un approccio sostenibile. "Coppette, assorbenti lavabili, mutande assorbenti. Ormai le alternative sono decine e tutte molto funzionali e comode. La spesa iniziale è sicuramente più alta, ma ricordiamoci che una coppetta può durare anni e che gli assorbenti tradizionali hanno comunque dei costi gonfiati dalla famosa tampon tax". Il comportamento del singolo può fare la differenza, anche quando a livello politico non si è ancora pronti per una vera transizione ecologica. Proprio per questo, Carotilla e la sua community hanno lanciato l'hashtag #rifiutairifiuti invitando chiunque sia a passeggio, di contribuire a pulire l'ambiente da rifiuti incontrati lungo la strada. Cambiare si può, basta avere uno sguardo all'ecologia e all'etica, due valori che non possono non camminare di pari passo.

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Trent’anni, giornalista professionista, si occupa di politica e questioni di genere tra web, carta stampata e tv. Aquilana di nascita, ha studiato Italianistica a Firenze con una tesi sul rapporto tra gli intellettuali e il potere negli anni duemila. Da tre anni è a Roma, dedicando anima e cuore al giornalismo. Naturalmente polemica e amante delle cose complicate, osserva e scrive per capirci di più, o per porsi ancora più domande. Profondamente convinta che le donne cambieranno il mondo. 
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