L’8 marzo è anche la festa di Martina, che per un corpo da donna ha dovuto lottare un po’ di più
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Inadeguatezza, disprezzo, dolore, incomprensione: c'è stato un tempo in cui per Martina Panini guardarsi allo specchio era una tortura, perché il riflesso che vedeva dinanzi a sé non corrispondeva realmente al suo modo di essere. Il suo corpo non combaciava con la sua anima e la difficoltà di capire come questo potesse essere possibile andava di pari passo con quella di spiegarlo agli altri e farsi capire. Rendendosi conto, già da piccola, di avere un corpo da uomo ma di sentirsi a tutti gli effetti una donna, si è dovuta mettere una corazza addosso per affrontare le violenze fisiche e verbali che scaturivano dal suo essere una ‘diversa'. A 5 anni sapeva già di appartenere al mondo femminile anche se per l'anagrafe era Marco, ma a 3 le avevano diagnosticato una sordità. Dunque ha vissuto la sua sessualità come una sorta di ‘ennesimo problema' per molto tempo. Poi ha deciso di appropriarsi della propria felicità. A Fanpage.it ha raccontato cosa significa per lei aver conquistato finalmente ciò che aveva sempre desiderato: un corpo da donna, corrispondente alla sua vera natura.
Essere una donna nel corpo di un uomo
Oggi nella vita di Martina non c'è più spazio per l'inadeguatezza e il dolore, anche se ha dovuto farci i conti per anni: «Ho avuto un passato difficile, umiliata per il fatto di essere un maschio, ma molto femminile» ha raccontato. La sua ‘diversità' l'ha sempre resa vittima di discriminazioni nella vita di tutti i giorni: «Mi chiamavano frocio e finocchio, mi dicevano "Crepa", "Fai schifo", "Ma perché respiri?", "Sei figlio del diavolo, muori!"». E anche per questo accettarsi non è stato facile all'inizio: «Provavo tanto disprezzo, mi sentito inadeguata. Da piccola vedevo solo dolore e depressione davanti a me, perché nessuno mi capiva e quindi mi nascondevo. Fingevo di sorridere, ma ero morta dentro». Per rinascere, ha scelto di affrontare tutto il percorso di transizione e di sottoporsi all'operazione che l'ha resa finalmente donna "ufficialmente".
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La liberazione, dopo l'intervento definitivo
Per diventare una donna a tutti gli effetti Martina è volata fino a Bankok: «Il primo pensiero al risveglio è stato: "Finalmente!". La cosa più bella è stata la lacrima che ho sentito scendere sul mio viso, è stata la gioia più grande della mia vita: vivere serenamente come una donna. La prima cosa che ho fatto è stata indossare il costume, ma senza vergogna, senza dovermi più nascondere mettendo i pantaloncini. Quella è stata una liberazione, sia mentale che fisica». Nel suo percorso c'è stata sempre stata la nonna al suo fianco, unico punto di riferimento e vero e proprio pilastro di vita: «Mi ha sempre sostenuto, mi ha sempre amata per quella che ero e per quella che sono, fino a quando è venuta a mancare». Oggi Martina è una donna serena, ma soprattutto fiera di sé, perché sa che la felicità se l'è dovuta conquistare lottando duramente e attraversando tanto dolore. E anche quei difficili trascorsi l'hanno resa la donna forte che è oggi.
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Uguaglianza prima di tutto
L‘8 marzo si festeggiano le donne, le loro battaglie, le loro conquiste. E di passi da fare ce ne sono ancora tanti, soprattutto in materia di uguaglianza, visto che la vera parità è ancora lontana dall'arrivare. Come ogni donna, anche Martina avverte il peso di certe etichette, di certi stereotipi con cui deve fare i conti: «Una donna va rispettata, deve avere gli stessi diritti dell'uomo, compreso uno stesso stipendio e non meno soldi solo perché donna! Detesto poi chi etichetta una donna come persona debole a prescindere: noi siamo forti e possiamo affrontare di tutto, ogni cosa! La donna non nasce dalla costola dell'uomo per essere calpestata, ma amata. E deve poter vestire anche in modo appariscente senza essere chiamata "puttana"».
La paura del diverso è solo ignoranza
La sessualità è ancora un argomento tabù, un ambito da cui sradicare pregiudizi, stereotipi ed etichette è particolarmente difficile. Tutto ciò che viene percepito come ‘diverso' fa paura e viene emarginato, se non perseguitato. Soprattutto le nuove generazioni andrebbero educate a una maggiore accoglienza, a un'apertura, alla sensibilità verso il prossimo. Tutte queste cose nel passato di Martina sono sempre mancate, per questo oggi cerca di fare quanta più informazione possibile: «Parlo spesso di sessualità, di identità di genere: ci sono molte cose da sapere, ma senza giudicare e sempre con rispetto. Nella vita quando c'è un tabù c'è un blocco mentale che fa vedere solo il peggio, come se fosse una mancanza di rispetto verso la società».
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L'8 marzo festeggiamo tutte le donne o solo alcune?
Le femministe radicali trans-escludenti non considerano donne le trans, non essendo nate con cromosomi XX e organi genitali femminili. La posizione genera un certo dispiacere in tutte coloro che continuano a essere considerate "donne di serie B". La stessa Martina si sente offesa dal fatto che continuino a esistere tutte queste etichette, questo bisogno di categorizzare: «Essere donna non dipende dalla biologia, né dall'aver fatto o meno l'operazione: conta l'animo, non sempre e solo il corpo perché l'apparenza inganna sempre e ci porta a sbagliare. Nessuna persona può giudicare la scelta un'altra». La scelta di Martina per esempio è stata essere se stessa, lottare per qualcosa che la natura le aveva in qualche modo sottratto: «Quando mi guardo allo specchio ora vedo davvero me stessa, piena di difetti ma veramente io. Sono felice di essere arrivata a questo punto con tanta sofferenza: è stato un incubo, ma non ho mai mollato. Nella vita bisogna essere positivi: le battaglie si vincono col sorriso, anche quella contro i pregiudizi». Quindi oggi è anche la sua festa: la festa di una donna coraggiosa, che è rinata dalle proprie ceneri e che a una vita di bugie e vergogna ha preferito una vita all'insegna della verità. Ogni donna sperimenta il peso dei giudizi, delle aspettative, del confronto, in un modo o nell'altro. Ma l'augurio, soprattutto l'8 marzo, è che ci si riesca a liberare da tutte queste gabbie ed essere donne libere.