Dopo aver plasmato uno standard di bellezza impossibile per la maggior parte delle donne, Victoria's Secret archivia definitivamente il capitolo "angeli" e tenta il più ambizioso – e spudorato – rebranding della storia. Non più modelle con gambe chilometriche e vitini da vespa, ma un collettivo di donne scelte in base ai loro successi e al loro background: modelle trans e plus-size, atlete, fotografe, imprenditrici. Dalla calciatrice Megan Rapinoe all'attrice Pryanka Chopra, le nuove testimonial avranno anche un ruolo di consulenza nella "nuova" Victoria's Secret, più in linea con lo spirito dei tempi. L'obiettivo è ambizioso: ridefinire l'idea di "sexy" e vendere lingerie che piaccia più alle donne che agli uomini. Tra il MeToo e una nuova sensibilità delle clienti – molto più attente alla diversità, all'inclusione e alla questione LGBTQ+ – le vendite del marchio erano crollate a picco: siamo sicuri che le buone intenzioni del colosso di lingerie non siano solo l'ultima carta da giocarsi per sopravvivere?
Victoria's Secret non era più al passo con i tempi
Tra la fine degli anni Novanta e l'inizio degli anni Duemila, il brand di lingeria americano ha raggiunto uno straordinario successo in tutto il mondo. La biancheria firmata VS era pensata per la donna supersexy che non ha paura di mostrare il corpo: reggiseni colorati, push-up, slip animalier e babydoll in pizzo e in piume. Ma la chiave del successo non era tanto nei prodotti, quanto nell'immagine scintillante che il brand aveva costruito attraverso le sue testimonial, gli "angeli" di Victoria's Secret: Adriana Lima, Tyra Banks, Miranda Kerr, Gigi Hadid. Non solo erano bellissime: dovevano essere perfette. Capelli vaporosi, fisici asciuttissimi scolpiti a suon di allenamenti e diete estenuanti. E poi ovviamente, le sfilate: show spettacolari in biancheria intima con performance dal vivo, trasmessi addirittura in tv.
Quell'immagine di donna lì – smagliante, sorridente e sensuale – andava bene negli anni Duemila. Poi, la finta perfezione sbandierata dalle campagne pubblicitarie ha smesso di rappresentare il sogno irraggiungibile delle donne. A dirla tutta, le donne si erano anche un po' stufate di vedere solo corpi di plastica. La moda – chi prima, chi dopo – se n'è accorta e ha iniziato a cambiare i canoni estetici in base a cui selezionava le modelle, coinvolgendo donne diverse per età, taglia, fisico. Victoria's Secret no: ha continuato a far sfilare "il sogno", allontanandosi sempre di più dal comune sentire e dalle reali esigenze delle donne. Insomma, ha continuato a ballare e a banchettare mentre fuori dal suo palazzo dorato le donne facevano la rivoluzione. Poi è arrivato il MeToo, che ha gettato numerose ombre su una cultura aziendale misogina e sessista. Insomma: le vendite sono crollate a picco e la festa è finita.
Un cambiamento arrivato troppo tardi
Nell'annunciare la nuova strategia di marketing, Victoria's Secret si è affrettato a spiegare che il cambiamento è strutturale: nel nuovo consiglio di amministrazione siederanno più donne e anche le linee di intimo diventeranno più funzionali e inclusive. Un cambiamento necessario e atteso, ma arrivato indiscutibilmente troppo tardi. Fare rebranding ora – con i conti in rosso – somiglia molto a un tentativo di in extremis di fare ammenda per riconquistare clienti. Victoria's Secret ha conquistato il mercato vendendo biancheria super sexy per ragazze che volevano sentirsi "angeli" almeno per una notte. Ora che genere di lingerie venderà per andare incontro alle donne? Un brand che nel 2015 si vantava di far sfilare donne con meno del 18% di massa grassa in corpo è credibile nel proporre biancheria plus-size? L'ultima parola, come sempre, spetta ai clienti: basterà una campagna di marketing ben riuscita a evitare la chiusura?