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Cos’è la povertà mestruale: alcune donne rinunciano agli assorbenti perché non possono permetterseli

La period poverty, cioè la povertà mestruale, indica l’impossibilità economica di provvedere all’acquisto di prodotti per l’igiene nei giorni del ciclo mestruale. Tamponi e assorbenti, infatti, sono cari e le donne più povere non riescono a far fronte a questa spesa. E invece questi dispositivi andrebbero considerati per ciò che sono: prodotti di prima necessità, dunque da non pagare come fossero un bene di lusso.
A cura di Giusy Dente
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Il fatto che in molti Paesi, Italia compresa, i prodotti per l'igiene femminile non siano considerati beni di prima necessità, fa sì che assorbenti e tamponi abbiano costi elevati. Nel caso italiano, viene applicata un'Iva del 22%, che più volte si è cercato di far abbassare, senza successo. L'unica piccola conquista è stato far portare l'Iva al 5% su coppette mestruali e assorbenti biodegradabili, che certamente hanno un impatto minore sull'ambiente, ma dall'altro lato sono comunque prodotti di nicchia, non presenti in tutti i supermercati e costosi, nonostante l'agevolazione fiscale. Tutte le donne hanno le mestruazioni eppure c'è di base una disuguaglianza che non dovrebbe esserci, a seconda del dispositivo che si intende usare. E dei prezzi così alti, purtroppo, gravano soprattutto sulle donne povere. Queste ultime non potendo far fronte a questa spesa finiscono col farne a meno. Si parla di period poverty (povertà mestruale): un fenomeno che riguarda da vicino anche l'Italia.

Le mestruazioni non sono un lusso

Le mestruazioni non sono una scelta: sono parte fondamentale dell'essere donna, una componente biologica da cui non si può prescindere. Assorbenti e tamponi devono essere per forza acquistati, di mese in mese, per anni interi di vita: non si può scegliere di rinunciarvi come si potrebbe fare con qualsiasi altro bene non fondamentale. E invece in Italia i prodotti femminili non sono considerati beni di prima necessità. Nulla di più lontano di quanto avviene invece in Scozia. Questo Paese è stato il primo al mondo a eliminare la tampon tax e a obbligare associazioni benefiche, autorità locali e società sportive a distribuire assorbenti a titoli gratuito. Questo non solo aiuta nel processo di normalizzazione del ciclo mestruale, che continua a essere vissuto come un tabù, ma incide positivamente anche in ottica di uguaglianza sociale, abbattendo la period poverty.

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L'ingiustizia dietro la period poverty

Facciamo un calcolo rapido: una donna consuma circa 6 assorbenti al giorno, per un totale di 30 ad ogni ciclo (360 all'anno). Moltiplicati per i circa 40 anni che trascorrono tra la prima mestruazione e la menopausa, diventano 14.400. Economicamente equivale a una spesa di circa 60 euro all'anno, quasi 2000 euro totali. Ovviamente sono dati variabili: la durata del ciclo mestruale così come il cambio degli assorbenti sono del tutto soggettivi e cambiano anche di stagione in stagione, se si pratica o no sport, se si ha un flusso più o meno abbondante. E quindi non è una somma che tutte possono permettersi, soprattutto se c'è da scegliere tra un pacco di tamponi e del cibo. La period poverty ossia povertà mestruale è proprio la condizione di impossibilità di acquisto di prodotti per l'igiene, di fatto necessari, ma a cui si finisce col rinunciare a causa del prezzo elevato. Si tratta di una piaga sociale non da poco, che ha ripercussioni serie sulla salute stessa delle donne. Quelle che non possono far fronte all'acquisto di prodotti igienici gestiscono il flusso mestruale con mezzi di fortuna (stracci, carta igienica, fogli di giornali), rinunciando alla scuola e al lavoro per il senso di vergogna che ne consegue. Certo, esistono le coppette mestruali, che dopo una sola spesa iniziale consentono poi di non dover più mettere in programma spese mensili (e rispettando l'ambiente). Ma su questo fronte scarseggiano sensibilizzazione e informazione. E in ogni caso, ciascuna donna dovrebbe poter scegliere il dispositivo a sé più adeguato, senza essere penalizzata e pagando di più rispetto a chi fa una scelta diversa.

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Un problema economico e uno stigma sociale

I dati di una ricerca del 2016 condotta da Plan international UK su un campione di 1000 ragazze tra i 14 e i 21 anni parlano chiaro: il 14% ha dichiarato di aver chiesto assorbenti alle amiche perché troppo cari, il 15% ha ammesso di non riuscire ad acquistarli, una ragazza su dieci ha detto di aver dovuto improvvisare degli assorbenti fai da te (non potendoli comprare) e una su cinque è passata a un prodotto sanitario qualitativamente inferiore, ma dal prezzo più basso. Ed è un problema di stigma, oltre che economico. Dalla stessa ricerca è emerso anche che il 48% delle intervistate prova imbarazzo per il proprio ciclo mestruale e addirittura il 71% si sente in imbarazzo quando acquista assorbenti.

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La povertà ci riguarda da vicino

La parola povertà non deve far pensare solo ai Paesi del Terzo Mondo, perché è una piaga sociale che riguarda da vicino anche i Paesi più sviluppati, riguarda anche l'Italia come dimostra l'Istat. E la pandemia ha peggiorato le cose, visto che ha gravato tra l'altro proprio sulle donne: sono loro ad aver perso il lavoro e a versare nelle condizioni economiche peggiori, attualmente. Secondo le stime preliminari della povertà assoluta per l’anno 2020, si è toccato il valore più alto dal 2005: 2 milioni di famiglie e 5,6 milioni di individui vivono in questa condizione, che obbliga le donne a non poter comprare gli assorbenti. In Italia la discussione sul tema è ferma. Il primo passo, invece, è proprio parlare apertamente di certe tematiche per non lasciarle nell'ombra del tabù. Le mestruazioni sono qualcosa di normale e i prodotti necessari in quei giorni sono beni di prima necessità, che non dovrebbero gravare sulle tasche delle donne come fossero prodotti di lusso. Ogni governo dovrebbe assicurarsi che le proprie donne e ragazze possano gestire il proprio ciclo mestruale con dignità, senza doversi limitare né provare vergogna.

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