3 donne su 10 non hanno un proprio conto corrente: la psicologa Camussi ci spiega il perché
Gestiscono la casa, si occupano della spesa e del pagamento delle bollette e fanno quadrare il bilancio tra entrate e uscite. Eppure più di tre donne su dieci non hanno neanche un conto in banca. I dati che arrivano dall'indagine Episteme del 2017 ci fanno capire quanto il rapporto delle donne con l'economia sia ancora problematico. "Alla base di questi numeri ci sono almeno due considerazioni da fare: la prima è che spesso molte donne non hanno un reddito (al Sud, sempre secondo l'indagine Episteme quasi una donna su due non ha un reddito personale ndr) oppure ce l'hanno molto basso o peggio non dichiarabile (ma non per loro scelta)" ha spiegato a Fanpage.it la professoressa Elisabetta Camussi, docente di Psicologia sociale all'Università di Milano Bicocca e membro del Comitato di esperti in materia economico-sociale per la task force di Fase 2. L'altro aspetto pratico riguarda invece il cattivo rapporto di molte donne con la tecnologia e con le pratiche bancarie. "Hanno poca confidenza con app e servizi online e non considerano la possibilità di fare investimenti o richiedere prestiti".
Le donne e il cattivo rapporto con il denaro
Ma al di là degli aspetti pratici c'è un altro motivo per cui le donne hanno difficoltà ad aprire un conto in banca. "Credono che sia qualcosa che non appartenga alla loro sfera di competenze. E questo è un elemento da tenere sotto controllo e da non sottovalutare. Molte donne non pensano di poter prendere decisioni autonome su questi temi perché non sono mai state abituate a farlo". Alla base c'è un problema culturale: "La maggior parte delle donne italiane non ha ricevuto un'educazione finanziaria. Difficilmente si insegna loro come gestire e avere una visione progettuale in relazione ai redditi, bassi o alti che siano". Non aprire un proprio conto in banca, a meno che i soldi non si nascondano sotto la mattonella, vuol dire affidare i propri risparmi al partner e questo, anche nella più solida e equilibrata delle relazioni pone in una condizione di dipendenza. "Dietro il fatto di affidare al proprio marito o compagno il denaro, c'è un patto simbolico e concreto al tempo stesso che prevede una suddivisione dei compiti. La donna dedita alla cura e alla riproduzione e l'uomo alla produzione. Si tratta di una visione stereotipata e anche molto pericolosa dei ruoli di genere. All'interno di una relazione è necessario che viga la parità. Una dipendenza economica, anche se solo temporanea o in un patto che sembra buono per entrambe le parti, è sempre molto pericolosa per la coppia e soprattutto per la donna".
Il gender pay gap
A influenzare il cattivo rapporto delle donne con il denaro ci sono anche altri due aspetti che riguardano più strettamente il lavoro. Il primo riguarda il divario di stipendi, ne sentiamo parlare sempre più spesso, ma perché a parità di competenze un uomo guadagna di più di una donna? I contratti non si scrivono certo tenendo conto del genere e prevedendo stipendi più alti se a firmarli sono degli uomini. "Per capire cosa significa gener pay gap dobbiamo partire dall'assunto per cui, nel mondo del privato, non si retribuisce l'ora di lavoro di una persona pagandola per il lavoro che effettivamente la persona fa, ma la si paga sulla base della sua storia professionale. Pensiamo al part-time svolto nella maggior parte da donne e che non prevede forme di premialità a differenza di chi lavora full-time, oppure pensiamo al fatto che le donne devono usufruire di molti più congedi rispetto agli uomini, per la gravidanza, la maternità, la cura dei parenti anziani. È da queste situazioni che scaturisce il divario di genere in busta paga".
Il secondo stipendio
L'altro aspetto riguarda il fatto che ancora oggi il lavoro delle donne, all'interno di una famiglia, è considerato il secondo lavoro, quello meno importante e di cui si può anche fare a meno. E la pandemia ce l'ha proprio sbattuto in faccia visto che il 98% di chi ha perso il lavoro nell'ultimo anno è una donna. "Purtroppo – spiega la professoressa Camussi – Il lavoro delle donne, anche a causa anche del gender pay gap, è sempre peggio retribuito. Spesso lavorano part-time o in settori essenziali per la vita ma che non vengono adeguatamente valorizzati". Il fatto che le donne siano impiegate in alcuni tipi di professioni è frutto di una mentalità secondo la quale è il genere a definire gli spazi di espressione e gli ambiti più adatti al lavoro delle donne. "Si tratta di un problema grave e per contrastare questa mentalità sarebbe necessario che in questi spazi riservati principalmente alle donne iniziassero a comparire anche gli uomini in modo da creare un gender balance. E incentivare la presenza di donne in ambiti di lavoro a netta prevalenza maschile. Pensiamo ai grandi investimenti che si faranno sul recovery fund, sulla digitalizzazione e sulla green economy: se quando si pianificheranno gli investimenti non si terrà conto del lavoro delle donne rischiamo che la crescita sia tutta al maschile".
La mancanza di autonomia e la violenza domestica
La mancanza di autonomia economica si riflette in maniera particolarmente grave anche sulle donne vittime di relazioni violente. Non avere un conto corrente o una carta di credito personale le rende due volte vittime del loro partner. Rendendo impossibile per loro una via di fuga. "Nel momento in cui si rinuncia al proprio stipendio, si rinuncia a una partecipazione pubblica, la donna si espone a una dipendenza molto rischiosa che può diventare psicologica e poi concreta. La violenza economica è una forma di violenza di genere ed è anche una delle cause per cui molte donne permangono all'interno di contesti di violenza". La mancanza di autonomia concreta, la mancanza di possibilità di pagare un albergo o un affitto di una casa per abbandonare la propria, ingabbia le donne. "Il denaro assume però anche un valore simbolico: una carta di credito, un bancomat danno un valore riconoscibile nella società alla vittima. Nelle situazioni di violenza di genere manca la stima di sé e il denaro invece è uno strumento con cui si può tutelare la propria autostima. Possedere un conto vuol dire avere la possibilità di tutelare sé stesse e anche i propri figli da quella relazione e vuol dire non essere costrette a restare".
L'educazione finanziaria nelle scuole
La scuola come sempre è la risposta a questo tipo di problemi. Nel luogo dove si parte da zero, dove si può lavorare per abbattere vecchi sistemi culturali e per costruirne di nuovi, si può insegnare anche l'educazione finanziaria. "Bisogna insegnare a bambine e bambini a ragionare su sé stessi, insegnare a vedere sé stessi nel futuro, a costruire progettualità – suggerisce la professoressa – Andrebbe costruito un piano di contrasto agli stereotipi di genere. L'educazione finanziaria e l'educazione alla cura andrebbero insegnate sin dalla scuola dell'infanzia. Bisogna che inizino a pensarsi da subito come soggetti autonomi, in grado di prendersi cura di sé stessi e degli altri". Educazione finanziaria non vuol dire insegnare ai bambini e alle bambine a diventare imprenditori: "Vuol dire spiegare loro l'importanza di avere un reddito e cosa si può fare con quel reddito". Insegnare la progettualità e la cura per sé stessi e per gli altri, abbattere qualsiasi stereotipo di genere e in particolar modo quelli legati al mondo del lavoro, spiegare la necessità di essere autonomi, nel 2021 è più urgente che mai.