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Opinioni

Uccide la moglie, assolto: perché non è più tollerabile parlare di “delirio di gelosia” nei femminicidi

Antonio Gozzini nel 2019 aveva ucciso nel sonno la moglie perché, secondo l’avvocato difensore, in preda a un “delirio di gelosia”. L’espressione, utilizzata verso un individuo che è stato dichiarato totalmente incapace di intendere e di volere è fuorviante e pericolosa. Quando si parla di violenza sulle donne i media hanno il dovere di scegliere con cura le parole da utilizzare. Mettere nella stessa frase i termini “gelosia” e “femminicidio” non è più accettabile.
A cura di Giulia Torlone
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Le parole sono importanti e chi le usa ha il dovere di farlo con cautela. Che ci si trovi in un’aula giudiziaria o su una pagina di un giornale, bisogna maneggiare con cura le parole che legittimamente si sceglie di dire. O di non dire. In questo caso particolare, che ci porta a scrivere un pezzo come questo, è l’utilizzo della frase “delirio di gelosia”, scelto per indicare il movente secondo cui Antonio Gozzini ha ucciso sua moglie, Cristina Maioli, un anno fa.

L'incapacità di intendere e di volere o gelosia?

A Brescia nell’ottobre 2019, Gozzini, 80 anni, tramortisce e ammazza la partner nel sonno: un colpo di mattarello sulla testa mentre lei dormiva, poi l’accoltella alla gola. La decisione della Corte d’Assise è arrivata ieri, Gozzini è assolto. Durante la detenzione dell'uomo, la Procura lo aveva sottoposto alla perizia psichiatrica, dalla quale si è dedotta inizialmente la motivazione del gesto omicida: il delirio di gelosia. Ieri però, dopo due ore di Camera di Consiglio, i giudici hanno convenuto che Gozzini abbia "un totale vizio di mente", allargando dunque lo spettro del gesto inconsulto a una malattia di lungo corso e rigettando la richiesta di ergastolo formulata dall'accusa. Quello che si evince, mancando ancora la motivazione della sentenza e stando alla relazione della Procura, è che l'uomo "al momento dell'omicidio era affetto da un disturbo delirante tale da escludere totalmente la capacità di intendere e volere". Questo avrebbe portato il Tribunale a optare per l'assoluzione in quanto il vizio totale di mente, secondo l'art.90 del codice penale,  non può essere punito per legge.

Gelosia e femminicidio non esistono nella stessa frase

L’esito potrebbe far saltare dalla sedia chiunque, ma a leggere la sentenza con più attenzione (di cui si attendono ancora le motivazioni complete) la chiave per capirne il senso sta più nell’utilizzo di parole fuorvianti che nel merito. Il cortocircuito dell’intera vicenda sta nell'utilizzo, da parte dell'avvocato della difesa e inizialmente anche dalla Procura, della frase "delirio di gelosia" che, come previsto, ha sollevato sdegno e incredulità.  Usare questa espressione per descrivere un uomo in preda a un delirio psicotico completamente dissociato dalla realtà, già vittima di una depressione, può creare una pericolosa normalizzazione della gelosia come motivo per compiere un omicidio. Chi non ha gli strumenti adatti per capire il linguaggio psichiatrico (che francamente risulta un po’ agée per i non addetti ai lavori) può facilmente credere che la possessione possa giustificare un accoltellamento di una donna nel sonno. Si può discutere sull’opportunità o meno di questa decisione, ma certamente non abbiamo né le competenze né il potere per farlo. Se le sentenze si rispettano, è legittimo poi esprimere un disaccordo. Quello che però non è più tollerabile è utilizzare parole scorrette e un linguaggio fuorviante quando si parla di violenza di genere. Mettere nella stessa frase il termine “gelosia” e "femminicidio" è pericoloso e tossico, soprattutto quando poi questo accostamento viene riportato dalle agenzie di stampa, viene rimbalzato sui giornali e poi passa di bocca in bocca senza specificare il riferimento a un quadro clinico complesso. La psichiatria utilizza anche l’espressione “Sindrome di Otello” per definire quello stato di alterazione psicotica secondo cui chi ne soffre ha un disturbo delirante che lo porta alla convinzione ossessiva del tradimento del proprio partner. Ma questa è una malattia da curare, non è la gelosia comunemente conosciuta.

Utilizzare parole sbagliate non è più tollerabile

Quanto può diventare pericoloso accostare la malattia mentale al senso di possessione? Molto, moltissimo. Perché non esiste l’attenuante della gelosia verso chi compie femminicidio. Non è esistito in questo caso specifico e non potrà mai esistere. Bisogna essere molto accurati quando si parla di violenza sulle donne, perché il cambio di marcia lo si fa attraverso una narrazione accurata e una scelta dei termini da utilizzare che deve essere precisa e che non può più essere fatta in base alla fretta editoriale. Il delirio di gelosia non esiste, esistono uomini che ammazzano le proprie donne senza alcuna giustificazione valida. C’è poi anche la malattia mentale, come in questo caso, che va curata nelle sedi opportune e con i modi che la giurisprudenza riterrà più consoni. Noi abbiamo il dovere di raccontare il quadro completo senza fare sconti e senza sbagliare la narrazione dei fatti.

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Trent’anni, giornalista professionista, si occupa di politica e questioni di genere tra web, carta stampata e tv. Aquilana di nascita, ha studiato Italianistica a Firenze con una tesi sul rapporto tra gli intellettuali e il potere negli anni duemila. Da tre anni è a Roma, dedicando anima e cuore al giornalismo. Naturalmente polemica e amante delle cose complicate, osserva e scrive per capirci di più, o per porsi ancora più domande. Profondamente convinta che le donne cambieranno il mondo. 
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