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Sterilizzazioni e aborti obbligati sulle donne Uigure: perché non si parla degli orrori della Cina?

Rinchiuse in campi di rieducazione, operate contro la loro volontà per renderle sterili, costrette ad abortire. Nella regione di Xinjiang, a nord ovest della Cina, le donne della minoranza musulmana degli Uiguri subiscono tutto questo dal Governo centrale cinese e nell’indifferenza generale dei Paesi Occidentali. Un’inchiesta dell’Associated Press ha fatto luce sulle inquietanti condizioni di queste donne.
A cura di Giulia Torlone
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Si dice spesso che quanto più i fatti accadono lontano geograficamente, meno faranno notizia. Sarà per questo che la vita, la quotidianità e le brutalità a cui sono sottoposti gli Uiguri sono passati quasi inosservati nei media occidentali, relegando la notizia a pochi cenni qua e là. Per comprendere a pieno cosa succede a questa minoranza asiatica è importante mettere a fuoco chi sono e cosa rappresentano per la super potenza che li tiene in scacco, la Cina.

La minoranza degli Uiguri

Gli uiguri sono una minoranza che vive nel nord ovest della Cina, nella provincia dello Xinjiang, di religione musulmana e parlano una lingua di origine turca. Quella che dovrebbe essere una regione autonoma, in realtà è sotto l’egida comunista cinese, che controlla questa minoranza etnica attraverso gli oltre 300 campi di rieducazione. I cittadini subiscono quotidiani controlli da parte della polizia, riconoscimenti facciali, intercettazioni telefoniche: la privacy è totalmente inesistente. Ma questo sembra essere, assurdo dirlo, il male minore. Sono proprio quei centri di detenzione a far paura per l’orrore che vi viene perpetrato. In un’inchiesta pubblicata dall’Associated Press, infatti, risulta chiaro l’intento del Governo cinese: quello che gli esperti definiscono un “genocidio demografico”.

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Torturate, sterilizzate: la vita delle donne Uigure

Ma andiamo per gradi: perché la Cina sta tentando in tutti i modi di annientare la minoranza uigura? La risposta è semplice: le spinte indipendentiste degli ultimi anni, la loro religione musulmana mal vista dal regime, ha portato Pechino a utilizzare ogni tipo di nefandezza. E tutto l’orrore, ancora una volta, si sta consumando sulle donne. Da quanto abbiamo appreso grazie al lavoro di AP, le uigure vengono sottoposte alle pratiche di sterilizzazione forzata. La posizione ufficiale del governo cinese è che nei loro territori, dal 2015, è stata istituita la legge che permette ai cittadini di avere un massimo di due figli, mentre gli abitanti delle zone rurali è concesso di averne tre. Per le donne uigure, però, la realtà è che anche quando hanno un solo figlio, si spalanca l’inferno. Vengono impiantati a forza i contraccettivi intrauterini, nei campi di rieducazione dove vengono rinchiuse sono sottoposte ad aborti contro la loro volontà o a sterilizzazioni forzate.

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La Cina nega e l'Occidente sta a guardare

Adrian Zenz, antropologo tedesco, ha ottenuto dati inquietanti: le donne uigure rese sterili nel 2016 era lo 0,4 per mille ed è arrivato al 2,5 per mille nel 2018. Il tasso di natalità nella regione di Xinjiang è crollato oltre il 60 per cento e continua a precipitare. Questo dato non è frutto di una libera scelta della donna, è frutto di una violenza quotidiana, di un orrore sistematico che il Governo cinese compie su queste donne. Proprio la Cina, in un report pubblicato lo scorso anno sulla minoranza uigura, ha parlato di un grande risultato ottenuto nella regione di Xinjiang. Negando di fatto i campi di detenzione, mostrandoli come quartieri residenziali, nel documento è scritto nero su bianco che Pechino si ritiene “soddisfatta di aver sradicato l’estremismo religioso delle donne uiguri e aver, quindi, ottenuto una forte emancipazione femminile”. Sembra uno scherzo di cattivo gusto, eppure non lo è. La violazione del corpo delle donne, le torture, vengono fatti passare come un normalissimo percorso verso l’empowerment delle donne che, autonomamente, scelgono di non avere figli. E tutto questo è stato ribadito anche in sede delle Nazioni Unite, dove la parità di genere è (o dovrebbe essere) uno dei punti cardine del programma condiviso tra i Paese membri. L’ennesimo esempio di come il controllo politico e sociale passi dall’abuso del corpo delle donne. Possiamo continuare a guardare in silenzio questo scempio?

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Trent’anni, giornalista professionista, si occupa di politica e questioni di genere tra web, carta stampata e tv. Aquilana di nascita, ha studiato Italianistica a Firenze con una tesi sul rapporto tra gli intellettuali e il potere negli anni duemila. Da tre anni è a Roma, dedicando anima e cuore al giornalismo. Naturalmente polemica e amante delle cose complicate, osserva e scrive per capirci di più, o per porsi ancora più domande. Profondamente convinta che le donne cambieranno il mondo. 
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