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Opinioni

Se la Turchia ti getta tra le braccia del tuo aguzzino con il matrimonio riparatore

Una legge che obbliga la vittima di violenza a sposare il suo carnefice è in discussione nel Parlamento di Ankara, mentre in piazza centinaia di donne protestano in nome della giustizia. In una Turchia sempre più conservatrice, i diritti femminili sono pericolosamente a rischio.
A cura di Giulia Torlone
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Immaginate di essere una ragazza giovane, bella, libera. Un sabato sera con le amiche, una cena per scambiare due chiacchiere, magari un cinema a seguire. A serata finita salite su un bus dirette verso casa. Lo aspettate con ansia alla fermata, fuori è freddo e dannatamente buio. Lo aspettate con la solita ansia che accompagna ogni donna sola, quando arriva la notte. Una volta arrivato salite a bordo con le cuffie alle orecchie, è piuttosto deserto, solo tre o quattro persone. Un uomo vi fissa in maniera insistente, voi cercate di tenerlo d’occhio senza darlo a vedere, il battito accelera. Qualche passeggero scende, ma la vostra fermata ancora non è arrivata. Quell’uomo si avvicina ancora e continua a fissarvi, mentre voi nervosamente prendete il telefono per distrarvi con Instagram. Alla fermata giusta scendete dal bus, ma quell’uomo scende con voi. Resta due passi indietro, vi segue, la strada verso casa è ancora lunga.

"Sposa il tuo carnefice in nome della legge"

È un racconto di fantasia, una fantasia talmente reale che l’epilogo lo conosciamo. È una storia che macchia la cronaca quotidiana non solo italiana, ma globale. Perché la violenza sulle donne è un fenomeno che non conosce nazionalità. Nel nostro Paese denunciamo, non in tutti i casi ma lo facciamo, ci affidiamo alla giustizia e alle associazioni che tendono una mano verso tutte quelle donne che hanno subito uno stupro o una molestia. Immaginate, invece, se la legislazione del vostro Paese vi obbligasse a sposare quell’uomo che non avevate mai visto prima di salire su quell’autobus. Che vi ha seguito fino al portone di casa, che vi ha messo una mano sulla bocca per non farvi urlare e nel buio di un sabato sera ha abusato di voi. Un incubo. Eppure succede ancora, nel 2020, a due passi da noi, in Turchia. Qualche giorno fa, il partito conservatore di ispirazione religiosa del presidente Recep Tayyip Erdogan, ha rilanciato in Parlamento la proposta di legge del cosiddetto “matrimonio riparatore”. In poche parole: sposa il tuo stupratore, basta che la differenza di età tra voi non superi i dieci anni. Non è la prima volta che il partito Giustizia e Sviluppo cerca di far passare questa legge, il precedente è del 2016, ritirata poi dalla discussione dopo le accese proteste dell’opinione pubblica. Ora ci riprovano, forti dei consensi che Erdogan ha ricevuto in seguito alle sue posizioni in politica estera, tra repressione curda in Siria e il pugno di ferro in Libia. Se passasse questa norma, così come è stata concepita dalla maggioranza, salverebbe dalle conseguenze penale chiunque si sia macchiato di violenza sessuale convolando a nozze con la vittima. Che non avrebbe scelta.

Le donne turche si prendono le piazze 

Questo disegno di legge è stato portato all’Assemblea di Ankara all’interno di un pacchetto di riforme più ampie, legate all’ambito giudiziario. Le deputate dell’opposizione hanno fatto fronte comune alzandosi dagli scranno parlamentari e cantando a gran voce quello che è diventato l’inno cileno contro la violenza sulle donne “El violador en tu camino, el violador eres tu”. In men che non si dica il centro di Istanbul si è riempito di giovani donne che sono scese in piazza per ribellarsi contro questo scellerato provvedimento, mentre le associazioni laiche sono in stato di allerta. In Turchia, i dati sulla violenza contro le donne sono allarmanti. Secondo la piattaforma “Fermiamo i femminicidi”, nel 2019 sono state uccise 474 donne. Secondo degli studi delle Nazioni Unite il 38 per cento delle turche ammetta di aver subito una qualche forma di violenza da parte di un uomo. Dall’insediamento della maggioranza d’ispirazione religiosa è anche difficile far emergere dei numeri certi, dato che il Governo ha smesso di rendere noti i dati ufficiali.

Franca Viola, il coraggio di non dimenticare

Il matrimonio riparatore è la violenza definitiva che si somma alla violenza. È l’ipocrisia di cancellarla attraverso la normalizzazione e la legalizzazione dello stupro. È cancellare l’identità di una donna, la sua consapevolezza, il suo diritto di autodeterminazione. È la mostruosità dell’uomo che si fa diritto. E mentre guardiamo verso est, non possiamo non ricordare il coraggio di Franca Viola, quando il nostro Paese non era tanto diverso da quello di Erdogan. Franca a diciassette anni è stata rapita, violentata, sequestrata per giorni e lasciata a digiuno dal suo ex fidanzato Filippo Melodia, nipote del mafioso Vincenzo Rimi. Nel 1965 il nostro codice penale prevedeva l’obbligo alle nozze, per salvare l’onore della donna molestata e della sua famiglia secondo l’articolo 544. Franca Viola ha rifiutato di sposare il proprio aguzzino, si è ribellata, ha avuto la forza di voltare le spalle alla barbarie a cui la costringeva il proprio Paese. Sembra una storia di secoli fa, eppure il matrimonio riparatore, in Italia, è stato eliminato dal codice penale nel 1981. Solamente ventinove anni fa.

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Trent’anni, giornalista professionista, si occupa di politica e questioni di genere tra web, carta stampata e tv. Aquilana di nascita, ha studiato Italianistica a Firenze con una tesi sul rapporto tra gli intellettuali e il potere negli anni duemila. Da tre anni è a Roma, dedicando anima e cuore al giornalismo. Naturalmente polemica e amante delle cose complicate, osserva e scrive per capirci di più, o per porsi ancora più domande. Profondamente convinta che le donne cambieranno il mondo. 
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