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Perché dimentichiamo il nome di una persona appena conosciuta? Che cosa è l’attenzione alternata

Crolla il mito del multitasking: come spiega il professor Iannoccari, il nostro cervello non è in grado di seguire più processi contemporaneamente. La novità è il multishifting.
Intervista a Prof. Giuseppe Alfredo Iannoccari
Neuropsicologo, docente di Scienze Umane all'Università Statale di Milano e Presidente dell'associazione Assomensana
A cura di Francesca Parlato
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Abbiamo sempre creduto di essere multitasking, di essere in grado di fare due, tre e anche più cose contemporaneamente, eppure se siamo alla guida dell'auto con la radio accesa e dobbiamo parcheggiare in un posto piuttosto stretto oppure se ci troviamo a percorrere una strada nuova, automaticamente abbassiamo il volume. Se ci presentiamo a una persona sconosciuta, dopo pochi minuti faremo fatica a ricordare il nome. Se stiamo camminando con un amico e la conversazione prende una piega piuttosto seria quasi sempre ci fermiamo per guardare negli occhi il nostro interlocutore. Questo dimostra che no, più di due cose contemporaneamente che richiedono un certo livello di attenzione non riusciamo a farle. Al massimo possiamo compiere un gesto o un'azione che richiede la nostra concentrazione e affiancarla a un'altra che facciamo col pilota automatico: possiamo parlare al telefono e girare una minestra sul fuoco, possiamo guidare l'auto per andare verso casa e ascoltare un podcast che ci piace. "A differenza di quanto spesso si crede, non abbiamo la capacità di lavorare su più cose che richiedano la nostra attenzione contemporaneamente. – ha spiegato a Fanpage.it il professor Giuseppe Iannoccari, neuropsicologoI processi cognitivi possono essere svolti in maniera seriale, ovvero uno dopo l'altro, ma non nello stesso momento. Al massimo possiamo fare due tre cose insieme soltanto se una delle attività richiede attenzione e le altre no, e questo fenomeno si chiama attenzione divisa". Un tipico esempio che si utilizza per spiegare questo fenomeno è il cocktail party. "Se siamo con due amici a una festa non riusciremo a seguire due conversazioni in contemporanea. Rivolgeremo lo sguardo e l'attenzione prima all'uno e poi all'altro, altrimenti la percezione va in conflitto, le due conversazioni sono in concorrenza. Per questo bisogna a un certo punto stabilire a chi prestare attenzione". Sforzarsi di ascoltare e partecipare a due dialoghi contemporaneamente affaticherà il nostro cervello e alla fine del party non saremo riusciti ad ascoltarne neanche uno davvero. Ma un altro caso tipico attraverso cui ci possiamo rendere conto di come può essere difficile prestare attenzione a due cose nello stesso momento è quando ci presentiamo a uno sconosciuto. "Non ricordare il nome di una persona a volte può essere una semplice dimenticanza, ma in altri casi è una vera e propria disattenzione. Se siamo focalizzati su di noi, se siamo concentrati su come dare la mano, se ci chiediamo come è il nostro aspetto, se i capelli sono a posto, la persona a cui ci stiamo presentando resterà sullo sfondo, non sarà per niente focalizzata. E per questo il nome non sarà registrato dalla nostra memoria".

Quanto "consuma" la nostra attenzione

Il motivo per cui non siamo veramente multitasking è perché la nostra attenzione ha dei limiti quantitativi. "Uno studio che arriva dagli Stati Uniti ha rivelato che il nostro cervello ha la possibilità di assorbire e elaborare 110 bit di informazioni al secondo. Possono sembrare tantissimi ma in realtà per una semplice conversazione ne consuma circa 90-100 e per questo se stiamo parlando con qualcuno quello che accade intorno a noi può non essere neanche percepito". Se stiamo parlando con una persona per strada e siamo particolarmente concentrati sulla conversazione potremmo non accorgerci di quello che ci succede intorno, potremmo non essere in grado di cogliere gli stimoli esterni e neanche quelli interni. "Potremmo non accorgerci che abbiamo voglia di bere o di sgranchirci le gambe. Questo perché la maggior parte di quei 110 bit può essere destinata a una sola attività". 

La nostra capacità? Il multishifting

È vero però che per alcuni mestieri sembra indispensabile possedere la capacità del multitasking. Pensiamo ai musicisti, ai direttori d'orchestra oppure agli chef, che hanno sotto controllo tante preparazioni contemporaneamente. "Non si tratta di multitasking, ma di multishifting – spiega Iannoccari – Pensiamo agli chef: non fanno contemporaneamente cose diverse, ma le fanno in sequenza, una dopo l'altra. Controllano la cottura della pasta, il dolce nel forno e il contorno in padella. Fanno queste attività una dopo l'altra, mettendo in atto quella che si chiama attenzione alternata". Chi possiede questa capacità è in grado di spostare il focus dell'attenzione velocemente. "Il multishifting è un meccanismo della mente (che può essere anche allenato) grazie al quale riusciamo a spostare più o meno velocemente l'attenzione. Gli chef ad esempio sono particolarmente efficienti in questo, sanno essere rapidi e precisi perché è necessario per il loro mestiere. Chi fa altri lavori magari è meno abituato e potrà essere più lento". 

Allenare il cervello all'attenzione alternata

Un modo per allenare il cervello al multishifting esiste. "Possiamo provare a disporre lo smartphone, una rivista e il pc e provare a leggere, cercando di mantenere alta la soglia di attenzione (e comprendendo quindi quello che leggiamo), tre notizie diverse, passando dal telefono al pc alla rivista, a ogni paragrafo" suggerisce Iannoccari. Un allenamento forse un po' faticoso ma che consentirà al nostro cervello di reagire a tre stimoli diversi uno dopo l'altro. "In realtà però è meno faticoso di quello che sembra: pensiamo per un attimo alla velocità di analisi che abbiamo quando scrolliamo i social sul nostro smartphone. Con una semplice occhiata siamo in grado di capire se una notizia, un post, una foto ci interessa o meno. E si tratta di un'abilità tipica del nostro tempo". Siamo già tutti un po' multishifting.

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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