“Non mi sono mai piaciuti i piccoli e non ho mai sentito l’esigenza di metter su famiglia, anche quando ho iniziato ad avere l’età giusta per iniziare a farci un pensierino”. Giorgia ha 33 anni, vive a Roma e ora è una donna felice. A vent’anni si iscrive all’università fuori dalla sua città Natale, mentre nel frattempo lavora in un negozio di abbigliamento. La specialistica, un master in Economia europea. “Mentre terminavo gli studi ho realizzato che per avere una carriera avrei dovuto lasciare Roma, dove le prospettive in questo campo scarseggiano. E più ci pensavo, più quest’idea mi faceva stare male”. Già, perché mentre le aspettative sociali pesavano sulle sue spalle, Giorgia si rendeva conto di essere serena così. Un compagno, l’idea di adottare un cane un giorno, il suo lavoro in un negozio in cui le colleghe erano ormai amiche.
"Nessun figlio, ma non voglio una carriera", il peso delle aspettative sociali
Diventare madri non è più un destino ineluttabile. Il tasso di natalità che si abbassa vertiginosamente, le bambine che imparano a credere nei loro sogni spostando l’asticella delle proprie ambizioni sempre un po’ più in là. È innegabile che in questi ultimi anni la narrazione stia cambiando. I movimenti femminili passano al setaccio la cronaca misogina, denunciano una legislazione ingiusta, organizzano sit-in, si prendono le piazze. Le donne sono le protagoniste del nostro tempo e della loro vita. E, spesso, non c’è spazio al desiderio di avere un figlio. E scegliere di non avere figli non ha bisogno di alcuna motivazione. Questo spesso viene dimenticato, rischiando così di passare da un modello sbagliato e fuori dal tempo a un altro più smart, ma ugualmente erroneo. La rinuncia alla maternità non deve essere rimpiazzata da una corsa alla carriera a tutti i costi. Sarebbe, così, passare da un’aspettativa sociale a un’altra. Per moltissime donne la scelta di non avere figli è radicata all’interno del proprio io fin da bambine, proprio come nel caso di Giorgia.
Il nuovo femminismo sul modello della donna di successo
Quella che in molti chiamano “la seconda ondata del femminismo”, che si propaga attraverso i social e raggiunge nuove generazioni di donne, ha il merito indiscusso di aver portato alla ribalta temi che erano il pilastro degli anni Settanta. Proteggere il diritto all’aborto, mettere in piedi un nuovo modello di famiglia dove il nostro ruolo non sia subordinato a quello del proprio compagno, distruggere il soffitto di cristallo che ci tiene ancora agli ultimi scalini del successo professionale. È proprio questo successo personale, però, che rischia di ingabbiare ancora una volta le donne. Quante volte una ragazza si è sentita in colpa per non avere ambizioni? In questo periodo dove i media ci bombardano con le immagini di donne forti, donne di successo che ce l’hanno fatta in un mondo a trazione maschile, il rischio di sentirsi intrappolate in una spirale di frustrazione è dietro l’angolo.
Il diritto di essere felici fuori dal recinto
Non tutte le donne restano fedeli all’ambizione. E il ricatto “figli o carriera” è una trappola che mina alle fondamenta il concetto stesso di libertà. Perché molte di noi, come Giorgia, hanno la sacrosanta possibilità di dire: nessuno dei due. Una donna può liberamente scegliere di non avere tutto, ma di avere solo un po’. Ed essere felice così. Il bisogno di rimpiazzare la famiglia con l’ambizione di un lavoro ingombrante, tanto da farlo diventare il centro della propria esistenza, è ancora una volta il dover dimostrare al mondo che non saremo madri, ma sicuramente possiamo diventare qualcuno che conta. Invece abbiamo il diritto di essere pigre, di accontentarci di essere mediocri. Dobbiamo rivendicare la libertà di non volere figli, ma anche quella di non essere workaholic. Dobbiamo urlare a voce alta che la felicità è personale, e non sta ad altri decidere quale sia la nostra.