video suggerito
video suggerito
Giornata contro la violenza sulle donne 2020

“Mi sentivo in colpa per ogni schiaffo” uscire dal baratro si può, la storia di Diana lo dimostra

“Ho creduto di poterlo cambiare e invece ho portato me stessa in un baratro dal quale non riuscivo più a uscire”. In occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, Fanpage.it ha raccolto la storia di Diana. Dopo 7 anni trascorsi accanto a un compagno picchiatore, che l’ha mandata più volte in ospedale, è riuscita a salvarsi.
A cura di Francesca Parlato
139 CONDIVISIONI
Immagine
Attiva le notifiche per ricevere gli aggiornamenti su

"Non mi sono mai sentita una vittima, non ho mai voluto sentirmi così. Ma invece è esattamente quello che ero". Diana e Francesco (nomi di fantasia) si incontrano quando Diana ha da poco superato i 40 anni. Diana fa la vita che le piace, ha tante amiche, un lavoro, una bella casa, è una ragazza intraprendente, positiva. Ci sentiamo al telefono, il tono di voce, mentre mi racconta tutto il suo inferno, è deciso ma allo stesso tempo sereno, di chi sa quanto sia difficile risalire il baratro, ma non per questo impossibile.
L'incontro con Francesco per lei è l'inizio di una favola. Un innamoramento travolgente, una storia idilliaca. "Era amorevole, gentile, attento a ogni esigenza. Sembrava tutto bellissimo". Non ci vuole molto però perché qualcosa cambi. Nel giro di qualche mese Diana inizia ad avvertire qualcosa che si muove sotto la superficie per poi emergere sotto forma di sbalzi d'umore e scatti d'ira. "Cominciai a farci caso – spiega – anche se non erano diretti a me. Li notavo ma non ci davo peso. Pensavo fossero dovuti al lavoro, allo stress". Poco tempo dopo, a circa un anno dall'inizio della relazione, Diana scopre che Francesco fa uso di cocaina. "Mi erano arrivate delle voci da amici comuni, ma pensavo fossero soltanto dicerie. Poi scopro che invece si trattava della verità". Con lo stesso modo fermo e determinato con cui lo racconta, decide di affrontarlo, di spiegargli che era una cosa che non gli piaceva, che poteva aiutarlo a smettere: "Lo aspetto sotto il suo palazzo e iniziamo a discutere. Saliamo in casa e all'improvviso si trasforma e mi colpisce. Non lo dimenticherò mai, non dimenticherò mai quegli occhi. È stata quella la prima volta". Trauma cranico, punti di sutura alla testa e diverse lesioni sul resto del corpo. All'ospedale ci arriva proprio con Francesco: "Al medico che mi visitò gli raccontai che ero caduta mentre facevo le pulizie in cucina. E lui mi chiese: ‘Perché fa le pulizie all'una di notte?'. Probabilmente aveva intuito cosa era successo, fu molto scrupoloso nella visita, mi fece una TAC, ma non insisté".

Il senso di colpa

Ad attendere Diana fuori le porte del pronto soccorso c'era lui, il colpevole del suo trauma cranico. "Si è scusato. Mi diceva ‘Sei la mia vita', prometteva che non l'avrebbe fatto mai più. Sapeva farsi perdonare, tanto che cominciai a chiedermi se non fosse stata colpa mia. Forse ero stata io a parlare troppo, a dire qualcosa di sbagliato, a provocarlo". Il senso di colpa, la convinzione che a scatenare quella rabbia sia stata una parola di troppo o un gesto sbagliato, sono due caratteristiche comuni nella quasi totalità delle vittime di violenza. Il maltrattante è anche un manipolatore. Oltre a picchiare è capace di far credere quello che vuole alla sua vittima. Quasi sempre la violenza oltre a essere fisica è anche psicologica. "Mi diceva delle frasi terribili sulla mia famiglia, sua mia madre. Ancora oggi non so come ho potuto accettarle. E poi mi faceva sentire importante, mi aveva convinto che era lui l'unica persona a volermi veramente bene".

"Sono diventata brava a mentire"

Quando si leggono storie come queste ci si chiede sempre dove fosse la famiglia, dove fossero gli amici. Possibile che nessuno si accorgesse di quello che succedeva? "Sono diventata brava a mentire – rivela Diana – Una volta raccontavo di essere caduta dalle scale, un'altra volta di essermi data lo sportello sul viso, poi una scivolata nella vasca da bagno. Io non ero più me stessa, dicevo un fiume di bugie. Agli occhi degli altri intanto lui appariva un buono, aveva la capacità di fare le cose di nascosto. Le sue esplosioni non sono mai accadute in pubblico". Difficile immedesimarsi nello stato d'animo di una vittima di violenza: "Soltanto chi vive o ha vissuto queste problematiche può comprenderle a fondo. Gli altri possono solo immaginare, possono immaginare come si comporterebbero, ma non sanno che i maltrattanti sanno bene quali corde toccare sia per farti del male che per riconquistarti".

La luna di miele

Gli psicologi chiamano luna di miele il periodo che passa tra una violenza e l'altra. Il maltrattante diventa docile, affettuoso, non fa altro che dimostrare il suo amore e riempire di attenzioni la partner. Ma non ci vorrà molto perché si trasformi di nuovo. "Ho imparato a riconoscere le sue trasformazioni. Vedevo come cambiava il suo sguardo. E quando me ne accorgevo, provavo a evitare il peggio, ma non ci riuscivo quasi mai". Tra il primo e il secondo episodio per Diana passano più di sei mesi, la loro relazione durerà 7 anni e nell'ultimo periodo il tempo tra un'esplosione di botte e un'altra si accorciava sempre di più. "Bastava una risposta sbagliata, una richiesta non assecondata (capitava che mi chiedesse anche dei soldi) per scatenare la sua furia. Magari non accadeva subito, ma io sapevo che me l'avrebbe fatta pagare. Era anche molto geloso, soltanto guardare o essere guardata da un altro provocava in lui crisi di rabbia. E io sapevo che prima o poi me l'avrebbe rinfacciato, che si sarebbe vendicato non appena possibile".

Nessuno ti ama come me

Un'altra caratteristica delle relazioni tossiche è la tendenza all'isolamento. Il maltrattante convince la partner che nessuno la ami quanto lui, che non esistono amici o amiche, che non esiste un mondo fuori dalla coppia. "Se avevo del tempo libero dovevo dedicarlo soltanto a lui. Diceva che aveva bisogno di me, mi faceva sentire importante. Diceva che nessuno mi voleva bene come lui. Mi ha allontanato dalle persone a cui volevo bene, mi ha fatto credere di non valere nulla, di non avere alcuna capacità. Anche queste, pure se non lasciano lividi, sono botte". Durante questi sette anni Diana ha provato più volte a mettere fine a questa storia. Ma come tutte le relazioni di co-dipendenza non è facile. C'è un circolo vizioso che si autoalimenta. E quasi sempre la parte più debole vive la relazione come una missione da compiere. Il suo obiettivo è salvare il partner. "Ho anche provato a lasciarlo, più di una volta. Poi passavano 20 giorni, un mese. E lui si faceva sentire di nuovo. Prometteva che non mi avrebbe colpito mai più, che mi amava. Delle frasi di un retorico incredibile. Di cui però non mi accorgevo, non potevo accorgermi. Quando sei dentro una relazione così non le puoi vedere. Ma oggi vedo tutto. Ho creduto di poterlo cambiare, di poterlo salvare. Per aiutare lui ho portato me stessa in un baratro dal quale non riuscivo più a uscire".

L'ultimo appuntamento

È stata la paura di morire a far scattare la molla definitiva in Diana, a riuscire a salvarla dalle statistiche dei femminicidi. "L'ultima discussione è stata così violenta e pericolosa che ho pensato che non sarei sopravvissuta. Ho pensato che non sarei arrivata a vedere il giorno dopo – racconta Diana – A un certo punto mi ha detto ‘Se mi vuoi lasciare, moriamo insieme‘. A quel punto non so cosa mi è successo, ho visto la morte in faccia. Allora l'ho tranquillizzato, gli ho fatto credere che sarebbe andato tutto bene, gli ho detto che aveva ragione, che avevo sbagliato tutto e che non ci saremmo lasciati. Siamo andati verso casa sua e appena è sceso dalla macchina, mi sono infilata al posto di guida e sono scappata. Arrivata a casa mia fortunatamente, forse per l'adrenalina, forse per la paura o per il sollievo di essere riuscita a scappare, sono crollata addormentata. Ha provato a chiamarmi tutta la notte ma non ho mai risposto ed è stato meglio così. Se avessi risposto, se avessi accettato di nuovo le sue scuse, forse non potrei essere qui a raccontarlo". È stata questa l'ultima volta in cui Diana ha incontrato Francesco. Dopo 7 anni, un trauma cranico, un dito rotto e innumerevoli percosse, Diana ha raccontato tutto alla famiglia. "Ho scoperchiato il vaso di Pandora, anche se all'inizio la tentazione di difenderlo ancora è stata forte. Poi l'ho denunciato. E questo mi è servito perché ho dovuto innalzare un muro: non ho risposto più ai messaggi e alle telefonate". 

L'importanza di parlare e di denunciare

Raccontare a qualcun altro quello che succede è forse il passo più difficile da compiere. Ma è anche quello fondamentale per cominciare a risalire la china. "Parlare è importantissimo ma anche difficilissimo. Subentra la vergogna. Ti chiedi come sia possibile che sia accaduta a te, proprio a te, una cosa del genere. Ma è l'unico modo per affrontarla". Uscire da una relazione tossica è complicato. Ma non è impossibile. "Francesco ha continuato a telefonarmi, poi le sue telefonate e i suoi messaggi sono diventate minacce. E la paura è sempre tanta. Perché anche a distanza di anni sai cosa potrebbe succedere se provi a negargli qualcosa". Ammettere di essere stata una vittima è la parte più difficile per Diana: "Io odio il fatto di sentirmi così, sono sempre stata una persona forte, che si batteva per gli altri. Sono sempre stata io ad aiutare, non potevo essere aiutata. Invece mi rendo conto che sono stata una vittima di questa relazione".

Come si ricomincia

Oggi Diana sta bene. Ha ripreso in mano la sua vita, trovato un nuovo amore. "Ho ricominciato a vivere. Piano piano ho guadagnato di nuovo la fiducia in me stessa e negli altri. Devo ringraziare tutte le persone che mi hanno aiutato e i centri antiviolenza, dove ci sono persone sensibili, accoglienti e in grado di sostenere le persone che hanno storie come la mia. La mia psicologa è la persona che mi ha ridato la vita". 1522 è il numero anti violenza attivo 24 ore su 24, al quale bisogna rivolgersi ogni volta che ci sia bisogno. "A un certo punto ti chiedi se sei malata, se hai qualche problema. Quando arrivi in questi centri e vedi l'immagine della "spirale della violenza" capisci che è esattamente quello che ti è successo. La tensione, le botte, la luna di miele. Io non sapevo niente, appena ho messo un punto alla relazione ho iniziato a leggere e ad informarmi". Ogni tanto Diana prova ancora rabbia per non essersi fidata del suo istinto e per aver dato credito a quello che si è rivelato essere un criminale. "Mi sento in colpa verso me stessa per quello che ho subito. Sto portando avanti una causa che per ora non è andata come speravo. Ma il mio obiettivo è evitare che lui faccia a qualcun'altra quello che ha fatto a me. Ho scoperto che in passato aveva picchiato anche altre donne. Se l'avessero fatto prima di me, se avessero denunciato, tutto questo forse non sarebbe successo. Sto combattendo una guerra e la vincerò". 

139 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views