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Opinioni

Governo Draghi: solo meno di un terzo del nuovo esecutivo è donna. Ma non dovevamo cambiare passo?

Il nuovo Presidente del Consiglio incaricato, Mario Draghi, ha sciolto ieri la riserva e ha annunciato la nuova squadra di Governo. Dei 23 ministri dell’esecutivo, solo otto sono donne e la maggior parte a capo di dicasteri senza portafoglio. Se le uniche figure di spicco, tra cui Marta Cartabia e Cristina Messa, sono di provenienza tecnica vuol dire una sola cosa: la politica continua ad avere un problema con le donne.
A cura di Giulia Torlone
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L’occasione era delle più ghiotte, un reset della compagine di Governo e la possibilità di dare alle donne un’equa rappresentanza. Invece ieri sera, dopo l’annuncio di Mario Draghi della nuova squadra dei Ministri, resta un’amara constatazione: siamo più della metà del Paese, ma meno di un terzo chiamato a governarlo.

La squadra: otto donne su 23 ministri

Sono bastati pochi minuti di dichiarazione del nuovo Presidente del Consiglio incaricato per fare due conti: nel nuovo esecutivo ci sono otto donne su 23 ministri. Le ipotesi e le aspettative di un cambio di passo, diciamoci la verità, sono state disattese quasi completamente. Quel “quasi” sottolinea solo un ulteriore elemento di cui, però, gioire poco. Perché di otto ministeri al femminile, cinque sono senza portafoglio. E tra di loro non possiamo certo dire di non conoscerne i profili e un operato politico pregresso. Maria Stella Gelmini, capogruppo alla Camera di Forza Italia e già discusso ministro dell’Istruzione, sarà agli Affari generali e autonomie; Mara Carfagna presiederà il Sud; Elena Bonetti, renziana di ferro, tornerà a sedere dietro la scrivania lasciata solo qualche settimana fa, ovvero quella del ministero per le Pari opportunità e la famiglia. E ancora Fabiana Dadone e Erika Stefani rispettivamente alle Politiche giovanili e alla Disabilità. Va ricordato che i ministri senza portafoglio, pur facendo parte dell’Esecutivo, non sono titolari di un vero e proprio dicastero. Figure minori, non certo di primo piano, non ce ne vogliano le nuove (o forse vecchie?) Ministre.

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I ministeri di peso sono figure tecniche

La linea di demarcazione si fa ancora più netta se pensiamo, invece, a quelle tre donne che hanno dei ministeri di peso: Marta Cartabia, Luciana Lamorgese e Cristina Messa. Un elemento in comune? Hanno tutte dei profili tecnici, non sono politiche. Marta Cartabia, nuova Guardasigilli e stimata prima donna al vertice della Corte Costituzionale, ha già fatto parlare di sé in passato per le sue posizioni conservatrici sui diritti civili. Luciana Lamorgese la conosciamo, ex prefetto di Venezia e Milano, è stata riconfermata agli Interni. Un volto nuovo è Cristina Messa, laureata in Medicina e chirurgia e prima donna a guidare un’università milanese (la Bicocca). Più volte si è espressa a favore dei diritti delle donne e non ha fatto mistero della difficoltà che ha avuto nel farsi strada nel mondo accademico, sovrappopolato da uomini. Oltre ad un problema di quantità, è preoccupante constatare che le tre nomine femminili più importanti non provengano dalla politica. Il motivo è chiaro: nonostante le difficoltà di genere nel mondo manageriale e tecnico, siamo ancora costretti ad ammettere che sia comunque meno impossibile fare strada rispetto all’universo dei partiti. Questa non può che essere una sconfitta, se diamo per buona e assodata la regola che chi ci governa ha l’onere e l’onore di rappresentarci. E ieri, di nuovo, abbiamo avuto la conferma che siamo rappresentati in maniera distorta, non completa.

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Il Partito Democratico lascia le donne in panchina

L’enorme elemento che va sottolineato, poi, è che il Partito Democratico non ha espresso alcuna rappresentante politica nella nuova compagine dei ministri, nessuna. Che siano senza portafoglio o meno, le donne presenti sono di area opposta: tra le figure politiche due sono di Forza Italia e le altre tre provengono da Lega, Movimento Cinquestelle e Italia Viva. Non è un bel segnale da dare al Paese, soprattutto se parliamo di un partito progressista e attento ai diritti civili. Persino Nicola Zingaretti, che deve essersene accorto tardi di quello che succedeva, si espresso così sui social:

Nella selezione della componente del Pd nel governo questo nostro impegno (di rispettare un’equità di genere, ndr) non ha trovato rappresentanza. Pur rispettando i criteri di autonomia dei ruoli farò di tutto perché questo si realizzi nel completamento della squadra di governo.

Fa sorridere che l’errore sia stato notato soltanto dopo l’annuncio, tanto che anche una rappresentante Pd, Valeria Fedeli, ha espresso il suo stupore su Twitter:

Resta l’amaro in bocca, inutile negarlo. Le aspettative erano molte e probabilmente, in fondo, ingiustificate. Perché se il cambiamento vero non avviene nel tempo, con una larga partecipazione femminile al processo politico e alle conseguenti carriere, è impossibile vedere un giusto numero di donne sedere sui principali dicasteri del nostro Paese. È altrettanto impossibile, però, non avere la sensazione che tutto, ancora una volta, resti retorica. Le quote rosa, il progressismo a sinistra, quel soffitto di cristallo da sfondare solo quando si è dietro a un microfono o a un comizio di piazza, restano lettera morta quando si fanno i conti reali con le spartizioni del potere. E noi, ancora una volta, dobbiamo sederci e aspettare il prossimo giro.

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Trent’anni, giornalista professionista, si occupa di politica e questioni di genere tra web, carta stampata e tv. Aquilana di nascita, ha studiato Italianistica a Firenze con una tesi sul rapporto tra gli intellettuali e il potere negli anni duemila. Da tre anni è a Roma, dedicando anima e cuore al giornalismo. Naturalmente polemica e amante delle cose complicate, osserva e scrive per capirci di più, o per porsi ancora più domande. Profondamente convinta che le donne cambieranno il mondo. 
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