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Donne di conforto, schiave sessuali dei soldati: Seul ordina al Giappone di pagare il risarcimento

Le comfort women erano le schiave sessuali dei soldati giapponesi durante il secondo conflitto mondiale. Furono rapite e costrette a prostituirsi per i combattenti. Alcune di loro sono ancora in vita: per loro il tribunale di Seul ha disposto un risarcimento, che il governo giapponese non ha alcuna intenzione di pagare.
A cura di Giusy Dente
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Comfort women significa "donne di conforto", ma altro non è che un diverso modo di definire donne che a tutti gli effetti erano schiave sessuali. Il governo giapponese a lungo ha taciuto su questo vero e proprio dramma, poi emerso a distanza di decenni: migliaia di donne costrette a lavorare nei bordelli, messe a disposizione dei combattenti durante la Seconda Guerra Mondiale. Provenivano da Corea del Sud, Filippine, Giappone, Cina e venivano prelevate dalle loro abitazioni con la promessa di un lavoro, per poi essere inserite in questi gruppi creati dalle stesse forze militari dell’Impero Giapponese, per "portare conforto" ai loro soldati. Il simbolo di questo pezzo di storia e delle battaglie portate avanti da quelle donne in seguito, sta tutto nella Statua della Pace (completata nel 2011). Chiamata anche Comfort Woman Statue è situata davanti all'ambasciata del Giappone in centro a Seul. Raffigura una ragazza seduta che guarda appunto in direzione dell'ambasciata, fissandola. Statue simili sono poi state costruite in diverse altre città (asiatiche e non solo) per tenere vivo il ricordo di quanto accaduto, qualcosa per cui le vittime non hanno mai smesso di chiedere giustizia. Alcune sono ancora in vita e per loro potrebbe arrivare un risarcimento.

Le comfort women chiedono giustizia

Dopo le prime scuse ufficiali del 1992, una sentenza fa un ulteriore passo avanti nella questione delle comfort women. Un tribunale sudcoreano ha condannato il governo giapponese a risarcire le donne ancora in vita (circa una dozzina) coinvolte nella Seconda Guerra Mondiale in qualità di comfort women. La loro richiesta di risarcimento era stata preceduta da una vera e propria accusa nei confronti del governo nipponico, per le pratiche del suo esercito. I soldati potevano letteralmente usare quelle donne a loro piacimento, arrivare anche a ucciderle. Difatti secondo le ricostruzioni riuscirono a uscire vive da quell'esperienza solo una minima parte delle vittime, costrette poi a convivere per il resto dei loro giorni con quei ricordi traumatici.

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Una storica sentenza per le comfort women

La sentenza inasprisce ulteriormente i rapporti tra i due Paesi, che sulla questione hanno visioni contrastanti. Se da un lato c'è questa nuova sentenza del tribunale di Seul che condanna il Giappone a risarcire le vittime ancora in vita con una somma pari a 100 milioni di won (circa 75 mila euro) dall'altro Tokyo sostiene di non avere nulla in sospeso con loro. Secondo il Giappone, le antiche questioni sarebbero già state risolte definitivamente con un accordo irreversibile firmato nel 1965. Benché nessuna somma possa liberare queste donne dal dolore e dalle ferite che ancora portano sul corpo e nell'anima, questo risarcimento è un tassello importante della storia, dove per anni si è cercato di insabbiare le responsabilità dei colpevoli.

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