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Cooking therapy: perché cucinare fa bene alla mente e al nostro benessere psicofisico

Cucinare fa bene alla mente. Per questo motivo da qualche anno si sente sempre più spesso parlare di Cooking therapy. Il ricercatore Antonio Cerasa ci spiega come funziona il protocollo messo a punto per i pazienti affetti da deficit cognitivi mentre la psicologa Roccaro ci parla della cucinoterapia per vincere stress e ansie.
Intervista a Dott. Antonio Cerasa
Neuroscienziato e ricercatore di IRIB-CNR di Cosenza
A cura di Francesca Parlato
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Durante il lockdown ci siamo tutti improvvisati chef. Abbiamo sperimentato ricette, panificato, preparato pizze e lievito madre e provato a riprodurre piatti da grandi ristoranti. Cucinare per quasi tutti noi è stata una vera e propria valvola di sfogo. Ma sapevate che cucinare oltre a riuscire a placare le nostre ansie e angosce (molti psicologici hanno allestito nei loro studi delle vere e proprie cucine dove poter praticare delle ‘terapie alternative' con i loro pazienti) è anche in grado di migliorare la nostra attività neuronale? "La cucina è una palestra per la mente – ha spiegato a Fanpage.it il dottor Antonio Cerasa, neuroscienziato e ricercatore di IRIB-CNR di Cosenza, esperto di intelligenza artificiale e neuroriabilitazione e autore di studi e ricerche sulla Cooking TherapyE in particolare cucinare è in grado di riabilitare le persone dal punto di vista motorio, cognitivo, emotivo e sociale"

Come funziona la mente degli chef

Ormai siamo abituati a vedere in televisione gli chef in azione: li vediamo dirigere la brigata di cucina, controllare ogni pentola, verificare la temperatura del forno e poi impiattare in maniera esemplare ogni pietanza. Vista la quantità di informazioni che riescono a processare contemporaneamente non dobbiamo stupirci se il loro cervello è sviluppato quanto quello dei campioni di scacchi o dei musicisti. "Gli chef di ristoranti di alto livello, hanno un super cervello, esattamente come gli alpinisti o i giocatori di basket". In cucina non c'è tempo di concentrarsi sul momento presente, bisogna pensare a quello che bisognerà fare dopo cinque, dieci e quindici minuti: "Gli chef devono verificare i tempi del forno, della tavola e le ordinazioni. Hanno in mente dieci timer diversi e tutto è zippato e concentrato in una zona precisa: il cervelletto. È questa l'area del cervello deputata alla creazione di nuovi apprendimenti procedurali". Di professioni così multitaksing e multicentriche non ce ne sono poi tante spiega il ricercatore: "Ci sono i chirurghi o i direttori d'orchestra, lavori che ti permettono di coordinare più persone contemporaneamente eseguendo un solo atto".

La cooking therapy

Dallo studio sul cervello degli chef nasce la volontà di applicare questa conoscenza a un modello riabilitativo. "Ci sono persone che hanno difficoltà di coordinamento mentale e motorio. Hanno pensieri disordinati e che si accavallano e movimenti dismetrici (un'esecuzione alterata di movimenti volontari). E per queste persone non esiste una forma di riabilitazione cognitivaspiega il ricercatore. Da qui l'idea di creare un protocollo di Cooking therapy. "Una sorta di allenamento in cucina. All'Istituto Sant'Anna di Crotone grazie alla collaborazione di terapisti e chef abbiamo proposto ai pazienti uno speciale training di due mesi: ogni giorno preparavano ricette sempre più complesse, aggiungendo piatti e preparazioni da seguire contemporaneamente". I risultati sono stati sorprendenti: "Al termine dei due mesi le capacità cognitive dei pazienti sono nettamente aumentate". Ma le applicazioni di questo protocollo sono molteplici: "Lo abbiamo sperimentato con successo anche per gli ospiti di San Patrignano: cucinare è in grado di riabilitare le persone non solo dal punto di vista motorio e cognitivo ma anche emotivo e sociale".

La Cucinoterapia per tutti

Cucinare infatti serve non soltanto per le persone che hanno delle difficoltà cognitive ma può essere utile anche per chi soffre di ansia e burnout: "Cucinare vuol dire riuscire ad ottenere benefici a più livelli – ha spiegato a Fanpage.it la dottoressa Sebastiana Roccaro, psicologa e psicoterapeuta esperta di Cooking Therapy – Fisico, cognitivo, sociale, intra-personale. E significa rievocare attraverso odori e sapori le tradizioni, i legami familiari, dar forma alla creatività, rinforzare l'autostima, aver cura del proprio corpo". Abbracciare la cucinoterapia vuol dire anche ribaltare il classico assunto "Sto male quindi mangio" in "Sto male quindi cucino". "Cucinare può essere d’aiuto in quanto consente di attivare vecchi e nuovi processi comunicativi, gestire ansie e paure, evocare ricordi. Cucinare con e per sé stessi o per l'altro rappresenta uno strumento per riappropriarsi della propria quotidianità dopo periodi di sofferenza oppure semplicemente acquisire consapevolezza del benessere psico-fisico come stile di vita". Nello studio dello psicologo non troviamo più lettino e poltrona ma un piano di cottura e un frigorifero pieno di ingredienti per esercitarsi ai fornelli. "Per i miei pazienti ho iniziato cercando di dare ad ogni pietanza una lettura psicologica, questo processo mi ha consentito di individuare in alcune preparazioni delle azioni, o "fasi”, che dessero la possibilità di “lavorare” su alcune caratteristiche e tratti di personalità". I laboratori di Cooking therapy prevedono sessioni in piccoli gruppi, in coppia o anche per singoli utenti. "L’idea maturata negli anni era riuscire ad utilizzare l’atto di cucinare, come strumento per ritrovare il benessere psico-fisico e far si che preparare da mangiare oltre ad essere un azione quotidiana assumesse un valore terapeutico". D'altra parte il valore terapeutico del cucinare l'abbiamo sperimentato quasi tutti lo scorso marzo: "Possiamo considerarla una forma spontanea e non strutturata di Cooking Therapy e una conferma di quanto possa essere utile la cucinoterapia". La Cooking Therapy è uno strumento nuovo che utilizza un atto antico e quotidiano: "Cucinare – sottolinea la psicologa – equivale alla cura della mente, del corpo e dell'anima".

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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