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Comfort zone: siamo sicuri che abbandonarla sia una buona idea?

“Lascia la tua comfort zone!” Quante volte ce lo siamo sentiti dire? Abbiamo chiesto alla psicologa Romanazzi se abbandonare la nostra base sicura può essere davvero utile.
Intervista a Dott.ssa Alessia Romanazzi
Psicologa e psicoterapeuta
A cura di Francesca Parlato
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E se ci fossimo sbagliati sulla comfort zone? Sentiamo in continuazione dire che dobbiamo abbandonarla, che lasciarla è un atto di coraggio per cambiare vita a lanciarci in nuove avventure. Ma in fondo cosa c'è di male ad avere una zona cuscinetto, un porto sicuro dove stare bene e dove sentirsi a proprio agio? "In psicologia la comfort zone si chiama base sicura. – spiega a Fanpage.it la psicologa e psicoterapeuta Alessia Romanazzi È quell'area in cui ci sentiamo al sicuro, in cui abbiamo dei punti di riferimento solidi a cui aggrapparci in caso di bisogno, ma è soprattutto quel ‘luogo' in cui custodiamo una consapevolezza delle nostre risorse, delle nostre capacità". 

Cosa vuol dire lasciare la comfort zone?

A differenza di quella che è la narrazione comune, la comfort zone è tutt'altro che un'ancora che ci impedisce di cambiare la nostra vita. "In realtà in terapia molto spesso ci troviamo a lavorare con persone che non ce l'hanno e che devono costruirla. In gergo tecnico si dice che queste persone non hanno avuto un ambiente medio-prevedibile. Non hanno avuto una routine, non hanno avuto persone su cui contare". Per capire cosa è la comfort zone immaginiamo un bambino che sta imparando a camminare: a un certo punto trova il coraggio di lanciarsi perché sa che dietro di lui c'è qualcuno, madre, padre o in generale una persona che si prende cura di lui, che interverrà nel momento del bisogno. "La comfort zone è quella sicurezza che ci consente di poterci staccare perché sappiamo che c'è qualcuno dietro di noi. E se non si tratta di una persona sono le nostre stesse sicurezze a infonderci il coraggio". Le persone prive di una zona di comfort non sono più coraggiose di altre. "Si tratta di persone che non hanno punti di riferimento e rischiano a un certo punto di sentirsi perse. Per questo in terapia si lavora per costruire la loro base sicura". La zona da abbandonare non è quella dove ci sentiamo al sicuro. "Quella è il nostro riparo in caso di bufera. La "zona" da lasciare è quella dove abitano le nostre insicurezze, sono quelle che ci bloccano che non ci consentono di crescere o di andare avanti, che ci fanno pensare che il mondo sia un posto pericoloso, la vera base sicura è quella che ci dice che abbiamo tutto quello che ci serve, tutte le risorse necessarie per poter andare in esplorazione".

La comfort zone non è una zavorra

Avere un porto sicuro, una base a cui tornare, un luogo dove sentirsi al riparo, al contrario di quello che oggi siamo abituati a pensare non ci frena affatto nella possibilità di compiere nuove scelte. "Quel comfort, quella ‘morbidezza', ce la portiamo dentro, è interiorizzata e soprattutto è necessaria per sviluppare sicurezze. E proprio perché abbiamo una zona di comfort possiamo avere il coraggio di buttarci in un lavoro nuovo ad esempio". Ma avere delle sicurezze serve anche a sviluppare una maggior consapevolezza dei propri limiti. "Si tratta di un elemento indispensabile per lanciarsi nelle novità. Avere dimestichezza con sé stessi, con i propri punti di forza, con le proprie debolezze, serve per fare delle scelte in maniera consapevole e non avventata. In caso contrario il rischio è davvero restare arenati o andare a sbattere". Per capire la necessità di sicurezze Romanazzi chiama in causa la piramide dei bisogni di Maslow: "Al secondo posto, dopo i bisogni fisiologici come mangiare, dormire o la sessualità, troviamo il bisogno di sicurezza che comprende protezione, sicurezza morale e fisica e affetti familiari".

Come costruirsi la propria comfort zone

La parola chiave per costruirsi la propria base sicura è fiducia. "Di solito è sempre necessario l'intervento di un terapeuta, ma alcune relazioni come quelle sul posto di lavoro possono contribuire a costruire la nostra comfort zone, ad esempio se ci sentiamo apprezzati dai nostri colleghi e se le persone intorno a noi riconoscono il nostro valore. Anche lo sport può essere utile, se abbiamo un allenatore che crede in noi che ci stimola a lavorare, riusciremo a migliorare le nostre performance". Le relazioni che ci danno fiducia sono necessarie per la costruzione della comfort zone. "Pensiamo a quello sguardo che ci accompagna mentre impariamo ad andare in bicicletta. Le relazioni devono avere una funzione materna e paterna (a prescindere dal genere, si definiscono in questo modo ma prescindono dal genere): la prima è quella che ti coccola, che ti consola, quella paterna invece ti sprona a risalire sulla bicicletta. Sono entrambe relazioni necessarie per la nostra crescita personale".

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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