Comfort zone: siamo sicuri che abbandonarla sia una buona idea?
E se ci fossimo sbagliati sulla comfort zone? Sentiamo in continuazione dire che dobbiamo abbandonarla, che lasciarla è un atto di coraggio per cambiare vita a lanciarci in nuove avventure. Ma in fondo cosa c'è di male ad avere una zona cuscinetto, un porto sicuro dove stare bene e dove sentirsi a proprio agio? "In psicologia la comfort zone si chiama base sicura. – spiega a Fanpage.it la psicologa e psicoterapeuta Alessia Romanazzi – È quell'area in cui ci sentiamo al sicuro, in cui abbiamo dei punti di riferimento solidi a cui aggrapparci in caso di bisogno, ma è soprattutto quel ‘luogo' in cui custodiamo una consapevolezza delle nostre risorse, delle nostre capacità".
Cosa vuol dire lasciare la comfort zone?
A differenza di quella che è la narrazione comune, la comfort zone è tutt'altro che un'ancora che ci impedisce di cambiare la nostra vita. "In realtà in terapia molto spesso ci troviamo a lavorare con persone che non ce l'hanno e che devono costruirla. In gergo tecnico si dice che queste persone non hanno avuto un ambiente medio-prevedibile. Non hanno avuto una routine, non hanno avuto persone su cui contare". Per capire cosa è la comfort zone immaginiamo un bambino che sta imparando a camminare: a un certo punto trova il coraggio di lanciarsi perché sa che dietro di lui c'è qualcuno, madre, padre o in generale una persona che si prende cura di lui, che interverrà nel momento del bisogno. "La comfort zone è quella sicurezza che ci consente di poterci staccare perché sappiamo che c'è qualcuno dietro di noi. E se non si tratta di una persona sono le nostre stesse sicurezze a infonderci il coraggio". Le persone prive di una zona di comfort non sono più coraggiose di altre. "Si tratta di persone che non hanno punti di riferimento e rischiano a un certo punto di sentirsi perse. Per questo in terapia si lavora per costruire la loro base sicura". La zona da abbandonare non è quella dove ci sentiamo al sicuro. "Quella è il nostro riparo in caso di bufera. La "zona" da lasciare è quella dove abitano le nostre insicurezze, sono quelle che ci bloccano che non ci consentono di crescere o di andare avanti, che ci fanno pensare che il mondo sia un posto pericoloso, la vera base sicura è quella che ci dice che abbiamo tutto quello che ci serve, tutte le risorse necessarie per poter andare in esplorazione".
La comfort zone non è una zavorra
Avere un porto sicuro, una base a cui tornare, un luogo dove sentirsi al riparo, al contrario di quello che oggi siamo abituati a pensare non ci frena affatto nella possibilità di compiere nuove scelte. "Quel comfort, quella ‘morbidezza', ce la portiamo dentro, è interiorizzata e soprattutto è necessaria per sviluppare sicurezze. E proprio perché abbiamo una zona di comfort possiamo avere il coraggio di buttarci in un lavoro nuovo ad esempio". Ma avere delle sicurezze serve anche a sviluppare una maggior consapevolezza dei propri limiti. "Si tratta di un elemento indispensabile per lanciarsi nelle novità. Avere dimestichezza con sé stessi, con i propri punti di forza, con le proprie debolezze, serve per fare delle scelte in maniera consapevole e non avventata. In caso contrario il rischio è davvero restare arenati o andare a sbattere". Per capire la necessità di sicurezze Romanazzi chiama in causa la piramide dei bisogni di Maslow: "Al secondo posto, dopo i bisogni fisiologici come mangiare, dormire o la sessualità, troviamo il bisogno di sicurezza che comprende protezione, sicurezza morale e fisica e affetti familiari".
Come costruirsi la propria comfort zone
La parola chiave per costruirsi la propria base sicura è fiducia. "Di solito è sempre necessario l'intervento di un terapeuta, ma alcune relazioni come quelle sul posto di lavoro possono contribuire a costruire la nostra comfort zone, ad esempio se ci sentiamo apprezzati dai nostri colleghi e se le persone intorno a noi riconoscono il nostro valore. Anche lo sport può essere utile, se abbiamo un allenatore che crede in noi che ci stimola a lavorare, riusciremo a migliorare le nostre performance". Le relazioni che ci danno fiducia sono necessarie per la costruzione della comfort zone. "Pensiamo a quello sguardo che ci accompagna mentre impariamo ad andare in bicicletta. Le relazioni devono avere una funzione materna e paterna (a prescindere dal genere, si definiscono in questo modo ma prescindono dal genere): la prima è quella che ti coccola, che ti consola, quella paterna invece ti sprona a risalire sulla bicicletta. Sono entrambe relazioni necessarie per la nostra crescita personale".