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Cinquant’anni dalla contraccezione legale: una rivoluzione femminile rimasta incompiuta

Il 10 marzo 1971 veniva abrogato l’art. 553 che puniva con un anno di reclusione chiunque ricorresse alla contraccezione. A cinquant’anni da questo importante traguardo per la libertà sessuale e genitoriale della donna, l’Italia deve ancora fare i conti con la mancanza di un’educazione sessuale e la difficoltà nell’accesso ai metodi contraccettivi ormonali. Una strada ancora in salita che deve essere necessariamente percorsa.
A cura di Giulia Torlone
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Cinquant’anni fa la maternità diventò una scelta. È passato mezzo secolo da quando è stata varata la contraccezione legale e da quel giorno, finalmente, ogni donna ha avuto il diritto di utilizzare la pillola anticoncezionale e decidere del suo corpo. Fino al 10 marzo 1971 l’art. 553 vietava e puniva con un anno di reclusione chiunque si fosse reso responsabile del reato di “propaganda dei mezzi atti a impedire la procreazione”, dunque questo diventa un anniversario memorabile, perché è l’inizio della strada verso la libertà di scelta femminile, l’autodeterminazione sessuale e genitoriale. Come molti dei diritti acquisiti negli anni Settanta, decade fondamentale per le lotte civili e sociali, è obbligatorio controllarne il funzionamento e guardare ai passi avanti fatti. E come molti diritti acquisiti che riguardano le donne, spesso il presente non è all’altezza del suo passato.

La contraccezione, l'Italia è lontana dallo standard europeo

Se guardiamo l’Atlas europeo del 2019, l’Italia si colloca al 26esimo posto sui 45 Stati dell’Europa geografica per accesso alla contraccezione, con un tasso di utilizzo del 58 per cento. Una persona su quattro scegli il coito interrotto invece di affidarsi alla scienza per evitare una gravidanza indesiderata. Ma non è solo questione di costumi, pensiamo anche a quanto sia difficile per una donna in Italia ricorrere alla pillola del giorno dopo o all’aborto. Obiezione di coscienza dilagante, che da inalienabile diritto diventa un sostituirsi alle leggi dello Stato.

Nessuna educazione sessuale e pochi fondi ai consultori

Il vero problema tutto italiano è la mancata conoscenza della sessualità e, di conseguenza, la sua regolamentazione. Lo stesso Atlas ci dice che l’89 per cento dei ragazzi e l’84 per cento delle ragazze ricorrere a internet per avere informazioni riguardanti il sesso e la salute riproduttiva. C’è un enorme tabù nel nostro Paese che continua a esistere e resistere nonostante i diritti acquisiti negli anni. Il sesso è uno di questi, forse il primo della lista. Così lasciamo che i ragazzi soddisfino le loro curiosità tramite le ricerche su Google o su siti pornografici, invece che permettere loro di seguire un’accurata educazione sessuale. Su questo tema, infatti, siamo il fanalino di coda europeo. In Svezia l’educazione sessuale è parte degli insegnamenti scolastici sin dal 1955, in Austria dal 1970, dal 1995 in Germania, dal 2001 in Francia, dal 2017 nel Regno Unito. In Europa l’Italia è in compagnia della Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Cipro e Lituania per totale assenza di informazione, nei programmi scolastici, sulla sfera della sessualità. Insomma, siamo del tutto inadempienti rispetto agli standard europei. Questa mancanza di informazione sulla sessualità e sulla riproduzione si somma al costo spesso proibitivo dei contraccettivi ormonali come la pillola. Il costo, sommato al tabù tutto italiano rispetto a questi temi, rende difficoltoso per una ragazza adolescente ricorrere alla pillola. Un altro elemento da tenere in considerazione è che i consultori, da sempre utilissimi per garantire assistenza medica gratuita per le giovani donne, da anni sopravvivono con grande difficoltà. Sul territorio sono sempre meno a causa della mancanza di fondi pubblici e di una corretta campagna di informazione. Insomma, lo Stato non investe sulla salute riproduttiva della donna.

Una strada tracciata, percorsa solo a metà

L’importanza dell’anniversario, dei 50 anni dalla rivoluzione contraccettiva che ha investito l’Italia, diventa quindi ancora più marcata se pensiamo a quanto sia rimasto incompiuto quella che doveva essere il primo e fondamentale passo verso l’autodeterminazione della donna. Siamo ancora un Paese dove i diritti restano a metà, dove se una legge esiste ci scontriamo con la mancanza di educazione e libero accesso alla pillola. Lo stesso che capita con l'aborto, sancito dalla legge ma praticamente impossibile in numerossise regioni per la quasi totalità di medici obiettori di coscienza. La strada è stata tracciata ormai cinquant’anni fa, ma siamo ancora a metà della marcia. Dobbiamo necessariamente continuare a camminare.

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Trent’anni, giornalista professionista, si occupa di politica e questioni di genere tra web, carta stampata e tv. Aquilana di nascita, ha studiato Italianistica a Firenze con una tesi sul rapporto tra gli intellettuali e il potere negli anni duemila. Da tre anni è a Roma, dedicando anima e cuore al giornalismo. Naturalmente polemica e amante delle cose complicate, osserva e scrive per capirci di più, o per porsi ancora più domande. Profondamente convinta che le donne cambieranno il mondo. 
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