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Artemisia Gentileschi, quattro secoli fa nasceva una vera femminista

Nell’Italia della Controriforma, la pittrice Artemisia Gentileschi è un unicum. Artista donna in un mondo di uomini, subisce uno stupro che darà vita a uno dei processi più celebri della Storia. Rifiuta il cognome del padre e dipinge corpi di donne sinuose e potenti, che destano scandalo in un Paese intriso di censura. Un’icona moderna, che ha subìto per secoli un ingiusto oblio.
A cura di Giulia Torlone
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Una donna decisamente oltre il suo tempo. È Artemisia Gentileschi, pittrice romana a cui è dedicato il Doodle di oggi, per festeggiare l’anniversario della sua nascita, 427 anni fa. Per molto tempo è stata tenuta nel totale oblio, per poi diventare una vera e propria icona di estrema intelligenza e ribellione. Aveva solo diciassette anni quando Artemisia dipinge Susanna e i vecchioni, diventato poi un suo celebre capolavoro: un nudo di donna che nel periodo di Controriforma appare immediatamente come un gesto provocatorio e rivoluzionario.

Il coraggio di denunciare la violenza nonostante la tortura

Essere una pittrice donna nel Seicento non era un affare facile, tantomeno conveniente. Figlia di un già celebre artista, Orazio Gentileschi, viene avviata allo studio della pittura proprio dal padre, che la manda a bottega dall’amico Agostino Tassi. L’incontro con quest’uomo lascerà una traccia tristemente indelebile nella vita di Artemisia Gentileschi. Soprannominato “Lo Smargiasso”, Tassi non si rassegna ai costanti rifiuti che Artemisia oppone alle sue continue avance, tanto che nella casa di lei, approfittando dell’assenza del padre, la stupra.

“Serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise un ginocchio fra le cosce ch’io non potessi serrarle et alzatomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l’altra mano mi le lasciò, havendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntendomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro. E li sgraffignai il viso e li strappai li capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne”

Queste parole verranno pronunciate da Artemisia alla corte di giustizia del Papa, quando sarà costretta a raccontare ciò che aveva subito, in seguito alla sua denuncia. Il concetto di “stupro” nel Seicento era molto diverso rispetto a ciò che è nella realtà. In una società totalmente maschile, dove la donna si trova costantemente in una posizione subalterna, la violenza sessuale si ripara con un matrimonio con lo stupratore. È solamente questione di onore violato e nulla più. Questo duro racconto di Artemisia viene fatto davanti a un gruppo di giudici, in quello che è stato uno dei processi più discussi della Storia. La pittrice viene dipinta come una donna facile, che osava provocare gli uomini. Viene sottoposta addirittura a una brutale tortura, prevista dallo Stato Pontificio: le vengono legati i polsi, le viene imposto di congiungere le dita (legate con delle corde) su cui veniva azionato un randello che stritolava le falangi. È una tortura che la donna subisce affinché confessi chissà quale colpa. Il matrimonio riparatore con Tassi non fu possibile, perché l’uomo aveva già contratto matrimonio e ne uscì pagando semplicemente una somma di denaro.

Artemisia e il Femminismo: un binomio naturale

La caparbietà di Artemisia Gentileschi è davvero da manuale. Essere una pittrice del suo calibro in un’Italia intrisa di Controriforma, dipingere corpi femminili e donne di potere in un momento storico in cui la censura era il pane quotidiano. Sfidare la legge denunciando la violenza sessuale subita davanti a una corte di soli uomini. Cambiare cognome (diventerà Artemisia Lomi) dopo un matrimonio forzato dal padre proprio per non avere più legami con lui. È indubbiamente un’icona di modernità strabiliante. Se a questo aggiungiamo i volti che ha dipinto, da Giuditta a Maddalena, passando per Cleopatra e Sibilla è chiaro che il femminismo (pensiero sconosciuto all’epoca) è un’esigenza di espressione totalizzante per Artemisia Gentileschi. Ciò che per noi può essere scontato, quattrocento anni fa era quasi impossibile. La sua vita e le sue opere sono state tenute nel buio per secoli, solo nel Novecento ha avuto il riconoscimento che le spetta. In piena Controriforma, ma non solo, alle donne non era permesso dipingere e avere una soggettività così intensa da avere quell’urgenza di esprimerla attraverso la tela. Artemisia però ha dipinto, ha denunciato, ha viaggiato, ha rifiutato un padre padrone: insomma, Artemisia ha vinto.

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Trent’anni, giornalista professionista, si occupa di politica e questioni di genere tra web, carta stampata e tv. Aquilana di nascita, ha studiato Italianistica a Firenze con una tesi sul rapporto tra gli intellettuali e il potere negli anni duemila. Da tre anni è a Roma, dedicando anima e cuore al giornalismo. Naturalmente polemica e amante delle cose complicate, osserva e scrive per capirci di più, o per porsi ancora più domande. Profondamente convinta che le donne cambieranno il mondo. 
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