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5 errori che tutti fanno quando puliscono le orecchie

Usate i cotton fioc e rimuovete il cerume appena compare? Sono tutte cose rischiosissime per la salute. Ecco i 5 errori che tutti fanno quando puliscono le orecchie.
A cura di Valeria Paglionico
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Pulire le orecchie è una cosa che tutti fanno regolarmente ogni giorno, ma in pochissimi sanno che questa “buona abitudine” in verità è estremamente pericolosa. Si va incontro infatti a numerosissimi rischi quando si usano i cotton fioc o quando la pulizia è troppo frequente. Ecco i 5 errori che si fanno più spesso quando si parla di orecchie.

1. Rimuovere il cerume a tutti i costi – Quando si tenta di rimuovere il cerume con ogni tipo di mezzo, si va incontro a moltissimi pericoli. Il motivo? Non solo si rischia di intaccare i timpani, ma si possono facilmente ferire le pareti interne all’orecchio poiché la pelle in quella zona del corpo è molto sottile. Il cerume protegge il canale uditivo, lubrificandolo.

2. Pulirle regolarmente – Sembrerà assurdo ma pulire regolarmente le orecchie non fa bene. Anche se tutti lo fanno per mantenere la propria igiene personale, dovrebbero sapere che mettono a rischio il proprio udito. Le orecchie sono autopulenti poiché i residui da eliminare tendono ad uscirne naturalmente.

3. Utilizzare i cotton fioc – Anche se tutti usano i cotton fioc per tenere le orecchie pulite, questi non sono nati con questo scopo e, di conseguenza, sono estremamente pericolosi. La loro punta regina può danneggiare pelle, timpani e pareti interne.

4. Usare oggetti appuntiti – Unghie, mollette, aghi da cucito, chiavi, spesso vengono ricoperti con della carta ed usati per pulire le orecchie. La cosa è assolutamente sbagliata. Le superfici taglienti e appuntite potrebbero avere gli stessi effetti negativi del cotton fioc.

5. Utilizzare le candele – Le candele per orecchie vengono spesso utilizzate per pulire le orecchie ma in pochi sanno che sono infiammabili e che possono far perdere l’udito se usate nel modo sbagliato. La pratica ha un nome ben preciso e si chiama “speratura”.

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