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Sindrome da rientro: come affrontare tristezza e depressione quando le vacanze finiscono

Gli ultimi giorni di vacanza sono sempre accompagnati da un velo di malinconia. Ma per quasi un italiano su tre questa tristezza si trasforma nella sindrome da rientro, una condizione passeggera che provoca depressione, apatia e nervosismo all’idea di ritornare alla quotidianità e soprattutto al lavoro, ci spiega come affrontarla lo psicologo Giuseppe Iannone.
Intervista a Dott. Giuseppe Iannone
Psicologo e psicoterapeuta
A cura di Francesca Parlato
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Le temperature iniziano ad abbassarsi, il sole tramonta ogni giorno un po' più presto, le spiagge iniziano a svuotarsi e cominciano ad arrivare le prime mail dall'ufficio. Ma se da un lato ci sono persone che non vedono l'ora di rientrare a casa, al lavoro, alla loro quotidianità cittadina, dall'altro c'è chi invece inizia a deprimersi già gli ultimi giorni di vacanza alla sola idea di dover affrontare un altro anno. Secondo i dati ISTAT un italiano su tre soffre di sindrome da rientro. Abulia, nervosismo, apatia sono i sintomi tipici di questo che possiamo definire a tutti gli effetti un trauma (e da cui non scampano neanche i bambini). "In realtà però non si tratta di una vera e propria  psicopatologia – specifica lo psicologo e psicoterapeuta Giuseppe Iannone, consulente di Guidapsicologi.it – È piuttosto una risposta psicofisiologica del nostro organismo che si riorganizza quando la vacanza sta per terminare, e in vista del ritorno agli impegni lavorativi o scolastici. Si tratta di una condizione passeggera che tende a regredire spontaneamente entro massimo un mese dal rientro".

Sindrome da rientro e lavoro

Al di là della normale malinconia di cui soffriamo tutti quando qualcosa di bello finisce, la sindrome da rientro ha un legame a doppio filo con il lavoro che si svolge. "Possiamo dire che la gravità della “sindrome” è direttamente proporzionale a quanto si ama il proprio lavoro (o il contesto nel quale si lavora)". Chi ama il proprio lavoro, chi si sente a suo agio con i colleghi e in ufficio, soffre di meno per la fine delle vacanze. "Chi trova nella professione che svolge (o nello studio) una fonte di soddisfazione personale tende a patire di meno la fine dell'estate. A soffrire di più il rientro sono invece quelle persone che, per svariati motivi, vivono il lavoro (o la scuola) quasi esclusivamente in termini di fatica e/o costrizione. Non stupisce che in questi soggetti l'idea di ritornare in luoghi esistenzialmente claustrofobici possa causare sentimenti negativi". 

Apatia e letargia: i sintomi del rientro

I primi sintomi arrivano quando si è ancora in vacanza, quando si comincia a guardare il calendario e ci si rende conto che manca pochissimo al rientro. "Si inizia con la tristezza e con l'ansia (in vista della ripresa delle solite attività). Altri sintomi includono abulìa, apatìa e letargìa, senso di fatica, difficoltà nella concentrazione e memoria, agitazione motoria e nervosismo". Ci sono anche altri sintomi collaterali come il calo della libido "Non è raro che si manifesti una perdita di interesse o di piacere per il sesso. Poi molte persone iniziano a soffrire di mal di testa, dolori muscolari, disturbi della digestione e del sonno".

La vacanza dalla vacanza

Se abbiamo una tendenza a soffrire di questo tipo di sindrome l'ideale è abbinare alla fine delle vacanze un periodo di decompressione (basta anche un giorno o due), ed evitare di immergerci il giorno dopo il rientro o – peggio ancora – il giorno stesso nei ritmi lavorativi. "Ci vorrebbe una vacanza dalla vacanza: non è solo un modo di dire. La possibilità di un periodo di decompressione, che funga da ponte tra la fine della vacanza e la ripresa può rendere il rientro al lavoro o a scuola meno traumatico". Godersi l'ultimo giorno di mare o montagna può sembrare sul momento una buona idea ma per chi soffre di questa sindrome può essere anche molto deleterio. "Dalla sveglia che suona, e alla quale non si è più abituati, ai ritmi, improvvisamente accelerati, dal traffico, alle mille incombenze quotidiane che avevamo tralasciato quando eravamo in vacanza (come fare la spesa, la lavatrice, cucinare, lavare i piatti). Tutto si riversa nel giro di poche ore sulla persona e questo causa una notevole quota di stress che rischia di vanificare nel giro di poche ore i benefici della vacanza". È più saggio, invece, pianificare un rientro anticipato, anche di diversi giorni, per dare modo a noi stessi di riabituarci con più calma alla routine che ci accompagnerà durante l'anno e anche per sbrigare tutte le faccende (come disfare i bagagli o mettere in ordine la casa) e che ci ritroveremmo a fare di corsa se rientriamo dalle vacanze all'ultimo momento.

Se la sindrome da rientro non passa

La sindrome da rientro per fortuna è passeggera, si risolve nel giro di qualche settimana. Ma essendo una condizione estremamente legata anche alla soddisfazione personale e al lavoro che si svolge bisogna stare attenti a cogliere tutti i segnali. "Se i sintomi non regrediscono spontaneamente entro qualche settimana forse non si tratta di una semplice “sindrome da rientro” ma di qualcosa di più serio". In questo caso potrebbe essere necessario rivolgersi a un esperto. "La psicoterapia può rappresentare il giusto setting in cui affrontare tematiche legate all'insoddisfazione o alle difficoltà che si esperiscono sul posto di lavoro (o a scuola). È davvero comune, infatti, che, persone che vivevano il lavoro come una condanna, abbiano ritrovato sé stesse e si siano sentite rinascere in un nuovo ambiente lavorativo, maggiormente sano e adatto alla loro personalità. Chiedere un sostegno a un professionista della salute mentale (come uno psicoterapeuta) può aiutare la persona a riposizionarsi e a riorientare la propria esistenza verso una forma maggiormente abitabile e più comoda".

Quando la sindrome da rientro colpisce i bambini

Neanche i bambini sono immuni a questa sindrome. "Ahimè no. La fine delle vacanze è anzi per loro spesso più traumatica rispetto agli adulti. Infatti i bambini possono godere di un periodo di vacanza più lungo. Questo significa che ritornare alle vecchie abitudini può risultare più faticoso. Anche in questo caso, non sono rari deficit (temporanei e assolutamente non patologici) di memoria, di attenzione, difficoltà a stare seduti, alterazioni del ritmo sonno-veglia e tutta una serie di sintomi somatici (il famoso mal di pancia del “mamma, non voglio andare a scuola”). Esattamente come per gli adulti anche nei bambini questa condizione nel giro di un mese tende a regredire spontaneamente. "Soprattutto in quei bambini che vivono la scuola non solo come impegno ma anche come occasione di socialità e di aggregazione e che hanno un buon rapporto con compagni e insegnanti". Diverso è il caso dei bambini che soffrono di ansia da separazione. "In quel caso si tratta di un vero e proprio disturbo di ansia che si manifesta con sintomi fisici (quali mal di testa, sudorazione, battito cardiaco accelerato, palpitazioni, sensazioni di mancanza d'aria, vomito e dolori addominali) e psicologici (quali agitazione e preoccupazione estreme, allorché il bambino deve separarsi da un genitore o da un componente della famiglia a cui è profondamente legato). In questi casi è buona prassi lasciarsi aiutare da uno psicoterapeuta, meglio se esperto in disturbi d'ansia".

Come prevenire la sindrome da rientro

Il miglior modo per combattere la sindrome da rientro è programmare subito una nuova vacanza. "Fissare in calendario una nuova data in cui si staccherà dal lavoro e ci si concederà un momento di stacco o di svago è un'ottima strategia sia di prevenzione che di gestione della sindrome da rientro". Quello che spesso spaventa o provoca maggiore ansia è l'idea di non vedere a breve termine nuovi momenti per sé stessi, nuove opportunità di relax e di fuga dalla vita quotidiana. "Bastano anche dei weekend di svago durante l'anno per affrontare gli impegni con maggiore entusiasmo. Offrire a sé stessi delle piccole ricompense nel corso dell'anno, premiarsi per il duro lavoro di ogni giorno. L'organismo ringrazierà".

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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