Sindrome da rientro: come affrontare tristezza e depressione quando le vacanze finiscono
Le temperature iniziano ad abbassarsi, il sole tramonta ogni giorno un po' più presto, le spiagge iniziano a svuotarsi e cominciano ad arrivare le prime mail dall'ufficio. Ma se da un lato ci sono persone che non vedono l'ora di rientrare a casa, al lavoro, alla loro quotidianità cittadina, dall'altro c'è chi invece inizia a deprimersi già gli ultimi giorni di vacanza alla sola idea di dover affrontare un altro anno. Secondo i dati ISTAT un italiano su tre soffre di sindrome da rientro. Abulia, nervosismo, apatia sono i sintomi tipici di questo che possiamo definire a tutti gli effetti un trauma (e da cui non scampano neanche i bambini). "In realtà però non si tratta di una vera e propria psicopatologia – specifica lo psicologo e psicoterapeuta Giuseppe Iannone, consulente di Guidapsicologi.it – È piuttosto una risposta psicofisiologica del nostro organismo che si riorganizza quando la vacanza sta per terminare, e in vista del ritorno agli impegni lavorativi o scolastici. Si tratta di una condizione passeggera che tende a regredire spontaneamente entro massimo un mese dal rientro".
Sindrome da rientro e lavoro
Al di là della normale malinconia di cui soffriamo tutti quando qualcosa di bello finisce, la sindrome da rientro ha un legame a doppio filo con il lavoro che si svolge. "Possiamo dire che la gravità della “sindrome” è direttamente proporzionale a quanto si ama il proprio lavoro (o il contesto nel quale si lavora)". Chi ama il proprio lavoro, chi si sente a suo agio con i colleghi e in ufficio, soffre di meno per la fine delle vacanze. "Chi trova nella professione che svolge (o nello studio) una fonte di soddisfazione personale tende a patire di meno la fine dell'estate. A soffrire di più il rientro sono invece quelle persone che, per svariati motivi, vivono il lavoro (o la scuola) quasi esclusivamente in termini di fatica e/o costrizione. Non stupisce che in questi soggetti l'idea di ritornare in luoghi esistenzialmente claustrofobici possa causare sentimenti negativi".
Apatia e letargia: i sintomi del rientro
I primi sintomi arrivano quando si è ancora in vacanza, quando si comincia a guardare il calendario e ci si rende conto che manca pochissimo al rientro. "Si inizia con la tristezza e con l'ansia (in vista della ripresa delle solite attività). Altri sintomi includono abulìa, apatìa e letargìa, senso di fatica, difficoltà nella concentrazione e memoria, agitazione motoria e nervosismo". Ci sono anche altri sintomi collaterali come il calo della libido "Non è raro che si manifesti una perdita di interesse o di piacere per il sesso. Poi molte persone iniziano a soffrire di mal di testa, dolori muscolari, disturbi della digestione e del sonno".
La vacanza dalla vacanza
Se abbiamo una tendenza a soffrire di questo tipo di sindrome l'ideale è abbinare alla fine delle vacanze un periodo di decompressione (basta anche un giorno o due), ed evitare di immergerci il giorno dopo il rientro o – peggio ancora – il giorno stesso nei ritmi lavorativi. "Ci vorrebbe una vacanza dalla vacanza: non è solo un modo di dire. La possibilità di un periodo di decompressione, che funga da ponte tra la fine della vacanza e la ripresa può rendere il rientro al lavoro o a scuola meno traumatico". Godersi l'ultimo giorno di mare o montagna può sembrare sul momento una buona idea ma per chi soffre di questa sindrome può essere anche molto deleterio. "Dalla sveglia che suona, e alla quale non si è più abituati, ai ritmi, improvvisamente accelerati, dal traffico, alle mille incombenze quotidiane che avevamo tralasciato quando eravamo in vacanza (come fare la spesa, la lavatrice, cucinare, lavare i piatti). Tutto si riversa nel giro di poche ore sulla persona e questo causa una notevole quota di stress che rischia di vanificare nel giro di poche ore i benefici della vacanza". È più saggio, invece, pianificare un rientro anticipato, anche di diversi giorni, per dare modo a noi stessi di riabituarci con più calma alla routine che ci accompagnerà durante l'anno e anche per sbrigare tutte le faccende (come disfare i bagagli o mettere in ordine la casa) e che ci ritroveremmo a fare di corsa se rientriamo dalle vacanze all'ultimo momento.
Se la sindrome da rientro non passa
La sindrome da rientro per fortuna è passeggera, si risolve nel giro di qualche settimana. Ma essendo una condizione estremamente legata anche alla soddisfazione personale e al lavoro che si svolge bisogna stare attenti a cogliere tutti i segnali. "Se i sintomi non regrediscono spontaneamente entro qualche settimana forse non si tratta di una semplice “sindrome da rientro” ma di qualcosa di più serio". In questo caso potrebbe essere necessario rivolgersi a un esperto. "La psicoterapia può rappresentare il giusto setting in cui affrontare tematiche legate all'insoddisfazione o alle difficoltà che si esperiscono sul posto di lavoro (o a scuola). È davvero comune, infatti, che, persone che vivevano il lavoro come una condanna, abbiano ritrovato sé stesse e si siano sentite rinascere in un nuovo ambiente lavorativo, maggiormente sano e adatto alla loro personalità. Chiedere un sostegno a un professionista della salute mentale (come uno psicoterapeuta) può aiutare la persona a riposizionarsi e a riorientare la propria esistenza verso una forma maggiormente abitabile e più comoda".
Quando la sindrome da rientro colpisce i bambini
Neanche i bambini sono immuni a questa sindrome. "Ahimè no. La fine delle vacanze è anzi per loro spesso più traumatica rispetto agli adulti. Infatti i bambini possono godere di un periodo di vacanza più lungo. Questo significa che ritornare alle vecchie abitudini può risultare più faticoso. Anche in questo caso, non sono rari deficit (temporanei e assolutamente non patologici) di memoria, di attenzione, difficoltà a stare seduti, alterazioni del ritmo sonno-veglia e tutta una serie di sintomi somatici (il famoso mal di pancia del “mamma, non voglio andare a scuola”). Esattamente come per gli adulti anche nei bambini questa condizione nel giro di un mese tende a regredire spontaneamente. "Soprattutto in quei bambini che vivono la scuola non solo come impegno ma anche come occasione di socialità e di aggregazione e che hanno un buon rapporto con compagni e insegnanti". Diverso è il caso dei bambini che soffrono di ansia da separazione. "In quel caso si tratta di un vero e proprio disturbo di ansia che si manifesta con sintomi fisici (quali mal di testa, sudorazione, battito cardiaco accelerato, palpitazioni, sensazioni di mancanza d'aria, vomito e dolori addominali) e psicologici (quali agitazione e preoccupazione estreme, allorché il bambino deve separarsi da un genitore o da un componente della famiglia a cui è profondamente legato). In questi casi è buona prassi lasciarsi aiutare da uno psicoterapeuta, meglio se esperto in disturbi d'ansia".
Come prevenire la sindrome da rientro
Il miglior modo per combattere la sindrome da rientro è programmare subito una nuova vacanza. "Fissare in calendario una nuova data in cui si staccherà dal lavoro e ci si concederà un momento di stacco o di svago è un'ottima strategia sia di prevenzione che di gestione della sindrome da rientro". Quello che spesso spaventa o provoca maggiore ansia è l'idea di non vedere a breve termine nuovi momenti per sé stessi, nuove opportunità di relax e di fuga dalla vita quotidiana. "Bastano anche dei weekend di svago durante l'anno per affrontare gli impegni con maggiore entusiasmo. Offrire a sé stessi delle piccole ricompense nel corso dell'anno, premiarsi per il duro lavoro di ogni giorno. L'organismo ringrazierà".