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Smart working: per le donne è davvero una buona soluzione? L’opinione della psicologa Camussi

Sostenibilità, tempo guadagnato, possibilità di stare vicino ai propri cari: ma quale è l’altra faccia della medaglia dello smart working? Le donne ne hanno davvero guadagnato in termini di organizzazione lavorativa e familiare? A queste domande risponde la professoressa Elisabetta Camussi, membro del Comitato di esperti in materia economico-sociale per la task force di fase 2.
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Intervista a Prof.ssa Elisabetta Camussi
Docente di Psicologia sociale all'Università di Milano Bicocca e membro del Comitato di esperti in materia economico-sociale per la task force di fase 2
A cura di Francesca Parlato
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C'è una doverosa premessa da fare quando si parla di smart working. E cioè che quella che la maggior parte degli italiani sta svolgendo oggi a causa della pandemia, non è la modalità di lavoro agile che gli esperti olandesi avevano immaginato nei primi anni '90 o quella che un tempo era definita negli Stati Uniti telelavoro. Oggi lo smart working è diventato una necessità per preservare la salute dei cittadini e ha tutti i caratteri dell'emergenzialità. Quindi pure se nato con le migliori intenzioni, per rendere il lavoro più flessibile e dinamico, a causa delle modalità in cui si sta svolgendo forse si sta rivelando un boomerang. Soprattutto per le donne. "In questo momento stiamo facendo uno smart working che smart, ossia intelligente ed agile, non è per niente – ha spiegato la professoressa Elisabetta Camussi, docente di Psicologia sociale all'Università di Milano Bicocca e nominata dal premier Conte come membro del Comitato di esperti in materia economico-sociale per la task force di fase 2 – Il lavoro agile è tutt'altro, intanto perché prevede che una parte del lavoro si svolga in casa e un'altra nel contesto lavorativo e poi perché lo smart working prevede una serie di condizioni, come uno spazio dedicato all'interno della casa, la capacità di gestione autonoma del lavoro (che funziona per obiettivi e non per presenza o scansione temporale) e soprattutto la possibilità di un'attenzione esclusiva, senza interruzioni". Fare una riunione di lavoro online mentre intanto si deve sistemare la spesa, pulire la casa, cucinare la cena, non è certo una vita (o un lavoro) agile. "Non si può svolgere smart working se contemporaneamente, nello stesso intervallo di tempo, si è chiamate a svolgere anche altri ruoli".

Quali sono i vantaggi dello smart working per le donne?

Quando si parla di smart working i vantaggi che vengono sempre messi in risalto riguardano la maggiore sostenibilità ambientale (vista la riduzione degli spostamenti), il tempo guadagnato e il risparmio economico. Ma cosa c'è sull'altro piatto della bilancia? Cosa hanno guadagnato le donne per la loro vita personale? "In Italia le donne da sempre si fanno carico di tutta la gestione domestica e si tende a dimenticare che mandare avanti una casa è un lavoro a tutti gli effetti. Un lavoro che è talmente un lavoro che se lo affidi a qualcun altro lo devi retribuire". Allora pensiamo per esempio alla cura dei figli, scuole chiuse e dentro casa 24 ore su 24, che pesava (in termini di gestione) più sulle spalle delle madri o ai genitori anziani da accudire. "Sappiamo con certezza che lo smart working degli uomini, a differenza di quello delle donne, difficilmente subiva interruzioni". Ma oltre al problema dell'iniquo carico di fatiche a preoccupare la professoressa Camussi è anche la tipologia di contratti con cui molto spesso le donne si trovano a fare i conti: "A parte le persone che lavorano in grandi multinazionali, dove c'è molta attenzione per il welfare aziendale, e che purtroppo costituiscono la minoranza delle lavoratrici, la maggior parte delle donne che svolge un incarico di tipo impiegatizio spesso non ha buoni contratti o delle condizioni protette, talvolta svolge un part-time (quasi sempre involontario, motivato dal fatto che non riesce a conciliare lavoro e famiglia) e per giunta ha pochissime possibilità di sviluppare la propria carriera, di crescere all'interno dell'azienda".

Il lavoro come partecipazione sociale

Uno dei vantaggi che nessuno si sognerebbe di mettere in discussione dello smart working è il tempo. Ma le ore risparmiate in termini di spostamenti e traffico sono davvero così incisive sulla nostra vita? "Il lavoro ha dato la possibilità alle donne di conquistare un tempo di separatezza tra lo spazio della casa e quello della partecipazione sociale. – spiega la professoressa Camussi – Se si pensa di prorogare oltre la pandemia uno smart working con queste stesse modalità, si rischia di procurare un taglio delle donne dalla partecipazione pubblica. Per alcune la socialità coincide soltanto con il lavoro, ed è uno spazio di confronto, di crescita, di supporto. Un modo per esercitare uno sguardo, per rendersi conto di posizioni e punti di vista differenti".

Smart working e resilienza

Il rischio di isolamento, di soffrire di solitudine e di chiudersi soltanto all'interno delle dinamiche familiari è altissimo per tutte le donne che si sono trovate e che si trovano tuttora costrette a svolgere il loro lavoro da casa. "I dati attuali sul livello di benessere non ci parlano di relazioni familiari molto positive. Oggi, che la situazione pandemia è tutt'altro che risolta, bisogna che le donne facciano appello alle risorse di cui sono state già capaci nella prima ondata. Dovranno fare appello al loro capitale psicologico fatto di speranza, progettualità, la possibilità di pensare se stesse nel futuro e infine la resilienza ovvero la capacità di adattarsi positivamente nelle situazioni difficili". Ma non dobbiamo sentirci invincibili, se le condizioni si fanno insostenibili non dobbiamo temere di chiedere aiuto. "Se si avvertono troppo forti sentimenti come l'angoscia e la paura, o anche semplicemente la stanchezza, rivolgiamoci agli esperti. Ci sono i servizi psicologici a tariffe agevolate, organizzati dall'ordine professionale degli psicologi o dai servizi socio assistenziali territoriali, a cui chiedere un sostegno".

Donne e lavoro: i dati post pandemia

Lo smart working, con tutti i difetti e le difficoltà, oggi come oggi è comunque una risorsa per salvare posti di lavoro. I numeri in termini di occupazione femminile post pandemia sono tutt'altro che positivi. Se infatti già l'Italia era fanalino di coda dell'Unione Europa con una percentuale di donne lavoratrici pari a circa il 48,9%, 20 punti in meno rispetto all'occupazione maschile, ora con il Covid il gap di genere si è manifestato in tutta la sua gravità: a maggio, alla fine della prima ondata, di tutta la percentuale di persone che sono rientrate al lavoro, il 72% erano uomini. Una delle cause è anche il fatto che una buona percentuale di donne è impiegata nei servizi, nell'educazione e nella cura (non sanitaria), tutte attività che non prevedono lo smart working. "Durante il mio lavoro nel Comitato ho coordinato il gruppo ‘Individui, famiglia e società' e abbiamo proposto delle azioni per la promozione della parità di genere perché era chiaro a tutti che la pandemia avrebbe fatto esplodere le diseguaglianze. Il Family Act purtroppo è parziale e dalle linee guida per gestione del Recovery Fund è sparito completamente l'asse dedicato alla parità di genere. Per superare questo divario è necessario fare degli investimenti economici specifici, da un piano straordinario per il lavoro femminile a un aumento strategico di servizi come nidi aziendali e welfare di prossimità. E bisogna che queste spese non vengano mescolate ad altre come quelle dedicate all'inclusione sociale. Le donne sono la metà della società, si tratta di eguaglianza, non di inclusione".

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