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Perché è necessario che il Green Pass tuteli le persone trans che non hanno i documenti rettificati

Il Green Pass è una misura fondamentale a tutela della salute pubblica, ma è stato formulato senza tener conto di una specifica categoria: le persone trans che ancora non hanno i documenti rettificati. Per capire quali difficoltà comporti nella vita quotidiana, Fanpage.it ha intervistato la senatrice Monica Cirinnà, del Partito Democratico, e Francesco Cicconetti, influencer e attivista transgender.
A cura di Beatrice Manca
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Il Green Pass da alcuni giorni fa parte della nostra quotidianità: va esibito per entrare in musei, cinema, ristoranti al chiuso e così via. In futuro potremmo doverlo esibire ancora più spesso, come condizione indispensabile per la vita sociale. Una misura fondamentale, che va a protezione di tutta la popolazione, ma che per come è stato pensato rischia di danneggiare le persone transgender con documenti non rettificati. Le associazioni di persone trans fanno presente un problema che riguarda chi non ha ancora i documenti corrispondenti alla propria identità di genere: il nome anagrafico riportato sul certificato quindi non corrisponde più a chi si è in quel momento, costringendo le persone a dare spiegazioni e dettagli sulla propria vita privata ogni volta che esibiscono il Pass. Per capire cosa comporta nella vita quotidiana e come superare questa criticità, Fanpage.it ha intervistato la senatrice Monica Cirinnà, del Partito Democratico, e Francesco Cicconetti, influencer e attivista transgender. Entrambi concordano su un punto fondamentale: è sbagliato e fuorviante dire che la comunità trans è contraria al Green Pass. Anzi, al contrario: si tratta di mettere le persone trans in condizione di usare il Green Pass come tutti, ma nel rispetto della privacy, senza doverli costringere a un coming out forzato di fronte a sconosciuti. "La comunità trans non vuole assolutamente abolire il Green Pass – spiega Cicconetti – sta solo sottolineando alcune criticità non indifferenti, ed è giusto che se ne parli per rendere il Green Pass più inclusivo".

Cosa c'entra il Green Pass con l'identità di genere

Il Green Pass riporta un QR code e il nome anagrafico di chi lo esibisce. Chi ha già iniziato il percorso di transizione ma non ha ancora ricevuto i documenti con il nome rettificato si trova però in un limbo: i documenti non rappresentano né il nuovo aspetto né la nuova identità delle persone trans, ma possono volerci anni prima di avere patente, passaporto e carta di identità con il nome di elezione, cioé quello scelto per la nuova identità. Il percorso di transizione infatti richiede un iter burocratico lungo e molto spesso farraginoso. Questo pone da sempre un problema: per prendere un aereo o per andare a votare bisogna esibire un documento, e le persone transgender sono costrette a spiegare la loro peculiare condizione magari di fronte a personale non preparato a trattare questi casi e a una moltitudine di sconosciuti in fila. Ma ora il Green Pass ha moltiplicato le occasioni in cui serve un documento. La situazione si è poi ulteriormente complicata. Una circolare del Viminale ha specificato che i titolari dei locali debbano controllare i Green Pass ma non i documenti, con alcune eccezioni: possono farlo se sospettano un tentativo di frode, quindi se la data di nascita o il nome non corrispondono all'aspetto di chi li dichiara. In questa casistica rientrano anche le persone in transizione, che sarebbero così costrette a un coming out forzato, cioé a spiegare  perché hanno documenti che riportano un nome femminile e un aspetto inequivocabilmente maschile o viceversa. La circolare specifica che i controlli debbano tutelare la riservatezza delle persone di fronte agli altri, ma nella pratica non sempre è facile.

Monica Cirinnà: "Tutelare la dignità delle persone trans"

La senatrice Monica Cirinnà, senatrice Pd da sempre attiva per i diritti della comunità LGBTQ+, analizza alcune criticità della legge. Innanzitutto precisa che le persone trans e le associazioni che le rappresentano sono assolutamente favorevoli al vaccino e al Green Pass e in nessun modo si rispecchiano nelle posizioni estremiste di no-vax e no-Green Pass. "Noi non chiediamo nessuna esenzione al Green Pass – ribadisce – tutto il contrario, le persone trans hanno il Green Pass ma vogliono essere messe nella condizione di usarlo". Il problema che si pone semmai è un altro, spiega, e ha origine dalla discrasia tra l'aspetto delle persone e i documenti: "Serve una tutela in più, necessaria al rispetto della dignità. La parola dignità è importante. La circolare del Viminale in questo momento espone le persone trans a un coming out forzato perché dice che il documento potrà essere richiesto anche non dalle forze dell'ordine nel caso in cui sia lampante la discrasia tra documento e Green pass, e nel caso delle persone trans lo è. Nell'immediatezza chi controlla deve garantire la riservatezza di chi ha davanti". Una riservatezza che deve essere sempre garantita, per tutti, ma specialmente in questi casi, per non mettere in imbarazzo le persone e per non costringerle a fare coming out di fronte agli sconosciuti, alle persone in fila o agli avventori del locale. "La riservatezza è già prevista dalla circolare, ma va rafforzata, perché adesso è affidata al buon senso delle persone. Io credo che anche il Garante della Privacy su questo debba intervenire. Non è una questione da banalizzare".

"Sull'identità di genere c'è un vuoto culturale"

Non tutte le persone che sono preposte al controllo però hanno gli strumenti culturali per capire e gestire la situazione. Sul tema dell'identità di genere c'è ancora troppa ignoranza e il paradosso sarebbe arrivare a sospettare una frode da chi invece è semplicemente in un percorso di transizione. "Sulle tematiche di genere questo Paese vive un vuoto culturale, di conoscenza perfino della semplice terminologia – conferma la senatrice – Purtroppo io questo lo vedo anche tra i colleghi parlamentari, con cui ho avuto difficoltà ad affrontare la distinzione tra orientamento sessuale e identità di genere. Questo vuoto culturale è legato a una sessuofobia, a un machismo dilagante e a una cultura patriarcale per cui ogni diversità è qualcosa da escludere e da stigmatizzare". Se fosse entrata in vigore la legge Zan, aggiunge, che parla esplicitamente di identità di genere, la situazione sarebbe molto diversa. La senatrice Cirinnà parla di un "Parlamento benaltrista", per cui c'è sempre ben altro da fare rispetto a una legge a tutela dei diritti. "Non ci può essere ben altro da fare quando si parla di diritti delle persone: i diritti sono la vita quotidiana delle persone". Sulla questione Green Pass poi bisognerà poi pensare a soluzioni a lungo termine, più definitive. Un'ipotesi, suggerisce, può essere il "Green Pass Alias" proposto dalle associazioni trans, simile al libretto Alias in vigore nelle università: un documento che cita il nome di elezione al posto di quello anagrafico, che le persone trans possono richiedere con autocertificazione o presentando l'apposita documentazione. In questo modo si possono sostenere gli esami – o, in questo caso, fare il vaccino – con un documento valido e al tempo stesso aderente all'identità di genere. "Si può considerare anche l'introduzione di un'identità Alias – chiarisce Monica Cirinnà – ma deve essere adottata già dalla vaccinazione: si prenota il vaccino con il nome alias e si ottiene il Green Pass con il nome alias". Un procedimeneto sicuramente non immediato, visto che i vaccini vengono erogati su base regionale, ma possibile. "Bisognerà adeguare i sistemi informatici regionali e poi quelli centrali, del Ministero". 

"La vita sociale non può essere un privilegio"

Per capire cosa significhi uscire con un documento in tasca che non rispecchia più chi sei, Fanpage.it ha parlato con Francesco Cicconetti, in arte Mehths, influencer trans e attivista LGBTQ+ che ha recentemente ottenuto il Diversity Award come miglior creator, un premio per chi si impegna a tutela della diversità. Cicconetti spiega che la comunità trans è assolutamente favorevole al Green Pass, pur evidenziandone le criticità: questa misura, pensata per la popolazione nel suo insieme, non tiene conto di alcune esigenze particolari. "Nel momento in cui viene mostrato il Green pass viene mostrato il nome anagrafico – spiega – nel quale le persone trans non si rispecchiano più, causando non pochi disagi. Le persone sono costrette a fare un coming out del tutto forzato per spiegare ad esempio come mai il loro aspetto è diverso dal nome riportato sui documenti. Sono informazioni private, che non sono obbligati a divulgare al primo che passa per strada". Forse è difficile per chi non vive questa condizione sulla propria pelle capire cosa significhi, ma non per questo sono richieste meno valide, spiega Cicconetti. "Io sono un uomo e mi chiamo Francesco: quando venivo chiamato al femminile, prima che i miei documenti venissero rettificati, per me era un forte disagio ed era doloroso. Perciò facevo di tutto per evitare le situazioni nelle quali sapevo mi sarei trovato in questa condizione".

Certo, non è la prima volta in cui si manifesta questa difficoltà per le persone trans con documenti non ancora rettificati: ma mentre prima le occasioni di mostrare la carta d'identità o il passaporto erano più rare, con il Green Pass può succedere quasi ogni giorno, quando si vuole cenare al ristorante al chiuso o guardare un film al cinema. C'è poi un altro fattore, aggiunge Cicconetti: "Sarebbe utopico pensare che chi controlli usi sempre la riservatezza. Magari deve gestire cento persone in fila che premono per entrare e l'ultima delle sue preoccupazioni è la privacy di chi ha davanti. Poi non sai mai se di fronte hai una persona transfobica, che magari reagisce in malo modo". Il rischio, spiega Cicconetti, è che le persone trans evitino di prendere parte alla vita sociale. "o stesso ho evitato di andare in palestra per molto tempo prima di ricevere i documenti rettificati. Se io sapessi di dover mostrare i documenti che non mi rappresentano e spiegare la mia storia ogni giorno, anche per bermi un calice di vino, so che piano piano rinuncerei a uscire. Ma la vita sociale non può essere un privilegio".

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