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L’Estetista Cinica: “Ancora mi chiedono chi è il titolare. Ora voglio conquistare il mercato estero”

Cristina Fogazzi ha cominciato con un blog ed è cresciuta fino a mettere in piedi un’azienda di successo, puntando molto anche sui social, che come ha spiegato nell’intervista a Fanpage.it oggi propongono modelli di donna a volte falsati e irraggiungibili, ma sempre più spesso anche costruttivi e positivi. Anche se al momento è difficile fare progetti, l’Estetista Cinica ne ha in mente uno ambizioso: punta alla conquista dell’estero.
A cura di Giusy Dente
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Nell'universo rosa dell'Estetista Cinica e del suo marchio di cosmetica VeraLab anche il Black Friday ha assunto un nuovo colore ed è stato ribattezzato Pink Friday. L'evento di shopping online è stato un successo anche quest'anno, segno di una crescente fiducia che le clienti (la famiglia di "fagiane") hanno nei confronti del brand e della sua creatrice, Cristina Fogazzi. Si parla di 540 mila prodotti venduti, per un totale di oltre 9,9 milioni di euro. Quest'anno le vendite online sono state la svolta per molte aziende, del settore Beauty e non solo, che hanno ripiegato sull'e-commerce per salvare la crisi portata dalle misure restrittive anti Covid, con negozi chiusi per buona parte dell'anno. La storia dell'Estetista Cinica è diversa, perché con l'online lei ci è nata e cresciuta. A Fanpage.it ha raccontato il suo modello di business, fatto di esperienza online e offline e il suo rapporto coi social, dove a suo dire sempre più donne si stanno imponendo senza necessariamente mettere in primo piano l'estetica, quanto piuttosto le reali capacità e ciò che si ha da dire.

Il modello di business vincente dell'Estetista Cinica

La carriera di Cristina Fogazzi comincia nel 2009 con l’apertura del suo centro estetico BellaVera a Milano e prosegue con la creazione di un blog nel 2012, che in breve tempo diventa una startup vera e propria, oggi un'azienda di successo a tutti gli effetti con 43 dipendenti. I suoi prodotti di bellezza VeraLab sono tra i più apprezzati ed acquistati, un punto di riferimento del settore, venduti sia sulla piattaforma e-commerce che in store. Prima il Flagshipstore milanese inaugurato a dicembre 2019 e poi diversi corner shop in giro per l'Italia, senza dimenticare il progetto Beauty Truck, il furgoncino elettrico itinerante (rigorosamente rosa) che ha portato i prodotti e l'esperienza della Cinica in giro per il Paese. Cristina con spirito imprenditoriale ha sempre puntato un po' più in alto e ha ampliato il suo raggio d'azione, senza chiudersi solo nell'online ma senza nemmeno restare confinata all'interno del suo centro estetico. Il prossimo passo sarà la conquista del mercato estero, appena si tornerà alla normalità.

Il Pink Friday è stato un successo: ti aspettavi questa performance, in un clima di crisi?

Non me lo aspettavo io e non ce lo aspettavamo proprio a livello aziendale. Ovviamente si fanno delle previsioni, in base alla quale si fanno gli ordini della merce e non avevamo previsto questo successo. 

Da una community a una startup a un'azienda vera e propria: qual è il prossimo step che hai in mente?

È complicato, il 2020 ha spostato i piani di tutti. Questo doveva essere l'anno del retail e il retail è chiuso. Il 2021 doveva essere l'anno dell'estero e ancora non sappiamo se ci si potrà spostare. In questo momento è difficile fare dei piani, fino a quando non capiamo quando questa situazione si stabilizza. Il prossimo passo quest'anno sarebbe stato potenziare il retail, ma i negozi sono stati chiusi per buona parte dell'anno. Pensare all'estero, come fai tra frontiere aperte e chiuse? Però mi piacerebbe metterci il naso all'estero. 

Per quei settori che vivono di rapporto col pubblico, penso alla piccola attività di un'estetista, cosa vuol dire abbassare la serranda, come in effetti è successo in questi mesi?

Un disastro. Se questa cosa fosse capitata al mio centro estetico sei anni fa, non so cosa avrei fatto. Adesso siamo fortunate: se lo può permettere di stare chiuso tre mesi. Ma sei anni fa no.

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Tu sei stata una delle prime a puntare sulle vendite online. Come mai questa intuizione?

Io avevo un brand microscopico che non sarebbe potuto essere venduto da nessun'altra parte, a nessuno interessavano i miei prodotti e necessariamente li vendevo online. Il mio è uno dei casi in cui la virtù viene proprio dalla necessità. Io ho creato un brand piccolo piccolo, la logica distributiva dei brand è che qualcuno debba prendere e vendere i prodotti. Io microscopica ho cominciato a venderli online, poi sono cresciuta ma quello è rimasto il mio canale distributivo preferenziale.

Tanti brand si sono accorti delle potenzialità dell'e-commerce solo in tempo di pandemia…

Perché sono nati diversamente, in un altro momento, in cui non era possibile creare un brand piccolo, promuoverlo sui social e pensare di farlo crescere. Questo non era pensabile anche solo sei anni fa, non bisogna andare indietro di millenni. Bisognava creare un brand e avere le risorse per andare in giro a dire ai retailer: ok vendete questa cosa che vi propongo. Sei anni fa non era pensabile. Potevi vendere online, ma come portavi le persone sul tuo sito? Il problema non è avere un sito, ma come farci arrivare la gente. Sicuramente i social sono un gigantesco imbuto. Il mio percorso adesso lo fanno tanti, ma dieci anni fa il percorso era completamente diverso. 

L'e-commerce potrebbe arrivare un giorno a sostituire del tutto l'esperienza fisica in negozio?

No, del tutto no, perché siamo animali sociali e questa pandemia ce lo ha insegnato bene! Non finiremo chiusi in casa a ordinare tutto da un telefonino. Sicuramente però l'esperienza di acquisto tipico va ripensata in maniera che sia un momento piacevole. Se il negozio ci darà qualcosa di più rispetto alla velocità che ormai ha l'online, se mi dai un consiglio e non è semplicemente "compro qualcosa", allora questa cosa non è sostituibile dall'online. Se voglio un vestito devo provarlo, voglio sentire il tessuto: e tutto questo l'online non me lo può restituire, l'approccio sensoriale. Ma alcuni acquisti sono assolutamente sostituibili, quindi va ripensata la modalità. Il retail va ripensato in questo senso: il negozio deve essere un posto in cui vengo e trovo qualcosa di diverso. Io ho anche un negozio a Milano che ha sempre la coda fuori. Perché fare la coda fuori al negozio di un brand che vende online? Perché lì ci sono le mie ragazze che ti consigliano. L'esperienza negozio è stato pensato come: noi vendiamo online, ti devo dare un motivo per venire in negozio da me. Su questo pensiero va riorganizzato il retail in genere.

Ma chi acquista online?

Nel lockdown abbiamo fatto un'analisi dei nostri dati: in realtà ha portato ad acquistare online la fascia dei 45-55enni, che avevano ancora qualche di resistenza. Io ho 46 anni e la maggior parte delle mie amiche non compravano online. È arrivato il lockdown e dopo il primo mese che erano chiusi in casa, tutti lo hanno fatto, anche solo una ciotola. Eravamo in quella situazione psicologica in cui solo il fatto che ci arrivasse un pacco… Stavamo chiusi in casa e ti veniva in mente che lì ci voleva un vaso, là ci voleva una lampada. E anche chi non aveva mai comprato perché preferiva i negozi, ha scoperto che su alcune cose è decisamente comodo. 

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Sui social hai scelto una linea comunicativa molto riconoscibile: la chiave della donna in posa sexy è superata o è ancora vincente sui social?

Proprio stamattina mi è arrivato un report di mercato che dice che in quello che caratterizza la mia immagine non c'è la sensualità. Secondo me quella cosa è un po' passata. 

Il modello di riferimento è ancora la velina?

Secondo me i social, che critico spessissimo perché propongono modelli irraggiungibili, in questo senso invece stanno sdoganando le ragazze che non fanno le veline. Non penso solo a me, ma pensa a Chiara Ferragni: è una bellissima ragazza, fa tutto tranne la velina. Ma anche Paola Turani, Giulia Valentina: fanno contenuti che non hanno niente a che fare col modello di 10 anni fa della velina che sta col calciatore. Sono tutte ragazze che hanno successo sicuramente perché sono anche belle ragazze, ma anche perché sono interessanti, spigliate, che ci intrattengono perché hanno qualcosa da dire. Quindi sì, in questo senso i social stanno facendo tanto, ci stanno proponendo modelli di donne assolutamente diversi da quello della velina. Le ragazze famose adesso se le ascolti parlare, hanno qualcosa da dire. Non è la classica oca imbambolata. Danno anche un bel messaggio sull'indipendenza, non è la parabola classica della velina che sposa il calciatore. Queste lavorano con le loro capacità e ben venga, perché l'Italia resta comunque  il Paese con il minor tasso di occupazione femminile. 

Questa generazione di donne è diversa dalla precedente?

La generazione delle 30enni è più "cazzuta" della generazione mia, delle 46enni, da quel punto di vista: si fanno sentire di più. Noi eravamo quelle che se ti esponi troppo non sta bene. Io ho un carattere un po' turbolento, sono stata single tanto tempo, mi sono fidanzata con mio marito a 36 anni e prima ho avuto una vita sentimentale abbastanza disastrosa e il leit motiv era: eh, ma sei troppo intelligente! Non dovevi spaventarli, essendo troppo intelligente. Una volta un amico disse: ok, troviamo qualcuno all'altezza, non è che deve far finta di essere scema per uscire con qualcuno! Adesso non più: non far vedere che sei intelligente sennò gli uomini si spaventano. Ci sono in giro un sacco di uomini spaventati, ma le donne se ne fregano. 

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Il fatto che la Rai mandi in onda un tutorial su come fare la spesa sexy, va letto come espressione di una cultura maschilista? 

Conosco Detto Fatto, conosco il programma e gli autori, ci sono andata per anni ed è un programma pulito. Probabilmente è stata una cosa pensata con un intento comico e che è riuscita male. Gli scivoloni capitano, in questo periodo di iper suscettibilità è facile farlo. Quel programma tutto è tranne sessista, ci lavorano tutte donne. Conosco Bianca, che è una donna indipendente, separata con una figlia, che lavora e si mantiene. So abbastanza per certo che è un momento in cui negli studi televisivi non si è mai presenti in tanti, perché è la stessa cosa che succede nella mia azienda: sentendoci per telefono ci sono passaggi di comunicazione che si perdono. Gli autori sono presenti e non presenti, a e volte vai in onda e non hai fatto prove. Bianca non è un personaggio che fa pensare al sessismo. Era una roba che voleva far ridere: faccio la sexy al supermercato. Mi sento di difendere il lavoro di tutti perché è una realtà che conosco, poi gli è venuta male e si sono scusati. 

Ci sono ambienti dove esiste questa cultura maschilista dominante?

Nell'ambiente del lavoro non è ancora facile farsi prendere sul serio in quanto donna. Succedono ancora scene del tipo: mi passi il titolare, no il titolare sono io. Si fatica a pensare a una donna al vertice. E spesso quando ti trovi al vertice e sei donna, a me è capitato più di una volta, devi andare in Camera di Commercio e dici: come mi vesto? Viene sempre da mettere il tailleur pantalone da uomo, ma poi mi son fermata e ho pensato: ma perché? Ma se voglio mettere una gonna di paillettes sono comunque il CEO di un'azienda che fattura qualche milione di euro! Non è che la gonna di paillettes mi toglie credibilità come persona! Su di me ogni tanto lo faccio questo lavoro. Se devi fare una roba seria allora ti viene da mimare il mondo maschile: ma perché? Se vado con le piume sono meno CEO? Come se il mondo maschile aggiungesse credibilità. Ce l'abbiamo dentro questa cosa, ce l'hanno indotto. Ora, è chiaro che non vado con gli stivali alti e il mini abito, ma perché mi devo vestire da uomo? Sono una donna, sono il CEO di un'azienda, se voglio andare con un abito rosa non toglie niente a nessuno. Invece ancora cerchiamo di mimare modelli maschili. Ci penso e mi sgrido da sola e dico: perché devi aderire a questo modello? Perché devi comprare il gessato di Armani per andare alla Borsa di Milano? Vai con un abito adatto, ma con un abito da donna: va bene così. 

Paillettes rosa per l'empowerment femminile

L'Estetista Cinica è un modello di donna che rispecchia molto la direzione verso cui si sta muovendo la società moderna, dove l'empowerment femminile è una conquista cruciale. Sicuramente ancora tanto c'è da fare affinché le donne possano realmente dire di vivere in un mondo di pari opportunità e pari considerazione. Lei stessa, che vanta un'azienda costruita con le sue sole forze, che guida un team di successo, che ha una reputazione nel settore e un considerevole fatturato, ha ammesso di scontrarsi ancora con quella cultura maschilista che vuole un capo in giacca e cravatta al vertice. Ci hanno imposto quello, come unico modello vincente possibile, e invece no: si può vincere anche senza mimare i comportamenti maschili, ma indossando un vestito rosa di paillettes.

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