Lavoro tossico: cinque consigli dello psicologo per affrontare lo stress in ufficio
Una cattiva giornata al lavoro capita a tutti prima o poi. Ma quando le giornate diventano settimane e poi mesi e a volte addirittura anni, il rischio non è soltanto il malumore, ma che il nostro corpo ne risenta. Molto spesso infatti il lavoro si rivela tossico per l'organismo, iniziamo a soffrire di insonnia, attacchi di panico o di ansia, vuoti di memoria e di problemi gastrointestinali. "Il lavoro può essere tossico sia se soffriamo di workaholism, ovvero di dipendenza dal mestiere che svolgiamo, sia quando non ci piace, quando lo facciamo perché ci sentiamo obbligati a farlo, magari dovendo sottostare a comportamenti scorretti da parte dei responsabili o a contratti da fame" ha spiegato a Fanpage.it il dottor Davide Algeri, psicologo e psicoterapeuta.
Workaholism: quando il lavoro genera dipendenza
Quando il lavoro arriva a invadere come una piovra ogni ambito della nostra esistenza, senza lasciare spazio ad altri interessi, vuol dire che siamo workaholic. "La persona che soffre di questa che è a tutti gli effetti una dipendenza, arriva ad annullarsi per il lavoro. L'aggravante in questo caso è il piacere che ne deriva". Il lavoro, esattamente come le sigarette per chi è un dipendente dal fumo, diventa infatti una irrinunciabile fonte di piacere. "A differenza di chi va in ufficio con l'obiettivo di portare al termine i propri compiti per la giornata e tornare a casa – spiega lo psicologo – Chi soffre di workaholism prova un eccessivo piacere e come in tutte le dipendenze avviene anche il rilascio di dopamina". Nonostante il piacere però, il corpo e la mente si ritrovano a essere comunque sotto pressione e i segnali non tardano ad arrivare: "I sintomi possono essere l'insonnia, una forte ansia, dei vuoti di memoria (visto che si prova a fare lo sforzo di tenere sotto controllo più dati possibile), problematiche alimentari, fino ad arrivare a problemi cardiaci, gastrointestinali e emicranie che sono la diretta conseguenza dello stress lavorativo. Il segnale più grave è lo svenimento". Si tratta di segnali che spesso è difficile percepire proprio per il godimento che il lavoro procura: "Il piacere non fa sentire la sofferenza: il lavoro diventa un modo per accrescere la propria autostima e per costruire la propria identità. E diventa anche un capro espiatorio per non pensare ai problemi più profondi che sono sempre presenti dietro ogni tipo di dipendenza".
Se il lavoro non mi piace
Ma il lavoro oggi è anche un tabù. È un tabù perché siamo in un momento storico dove la maggior parte delle persone, di qualsiasi età non soltanto giovani, pur di lavorare è disposta ad accettare regole rigide, contratti che rasentano l'illegalità e stipendi spesso da fame. "Le persone sentono di non potersi tirare indietro, a fronte ad esempio di un monte ore altissimo, perché temono di essere malvisti, di essere giudicati degli scansafatiche. E questo genera stress". E anche in questi casi lo stress può causare dei sintomi piuttosto gravi: "I sintomi possono essere simili a chi soffre di workaholism. Ma in questo caso accanto ai picchi di ansia si aggiungono gli attacchi di panico: quando il lavoro non piace e si è obbligati a farlo, si percepisce la mancanza di controllo, ci si sente sommersi di compiti da svolgere e di responsabilità che non si vorrebbero avere e tutto questo può generare un vero e proprio panico". E in alcuni casi anche il contesto non aiuta: "Un ambiente di lavoro disfunzionale può aumentare i livelli di stress e di disagio".
Cinque consigli per liberarsi dal lavoro tossico
In entrambi i casi, che il lavoro sia diventato una dipendenza o che sia una fonte di disagio, la domanda da porsi è una, secondo lo psicologo Algeri: "Lavoriamo per vivere o viviamo per lavorare? Dobbiamo sempre tenere presente che oltre il lavoro c'è anche altro, dobbiamo educarci a mettere un punto, a pensare al presente e a noi stessi e quelli che sono i nostri interessi. Molte persone si fissano con il lavoro, si concentrano solo su quello. E invece dobbiamo sempre ricordarci che ci siamo noi, con quello che ci piace fare". Per provare a migliorare il nostro rapporto con il lavoro e per non subire le conseguenze fisiche di un eccesso di stress possiamo provare a mettere in pratica i cinque consigli che lo psicologo Davide Algeri ha messo a punto per Fanpage.it.
- Imparare a ritagliarsi degli spazi personali: il primo consiglio è quello più semplice. Prendiamoci del tempo per noi, per leggere un libro, vedere una serie tv, rispolverare vecchie passioni e hobby, che distolgano per qualche ora il pensiero dal lavoro, dalle scadenze e dalle responsabilità.
- Mettere dei limiti: abbandoniamo i sensi di colpa se si tratta di lavoro. "Non possiamo sempre fare tutto quello che ci viene richiesto. Dobbiamo imparare a dire di no e a piantare dei paletti". Costruiamo un argine, sia se ci rendiamo conto che il lavoro ci procura piacere, sia perché a volte non ci sembra possibile dire di no, impariamo qualche volta a essere egoisti e a porre un freno a tutte le richieste che ci piovono sulla scrivania.
- Impariamo a riconoscere le nostre emozioni: lavoriamo sull'ascolto del nostro corpo e della nostra mente. "Impariamo a capire come stiamo, quello che viviamo, se stiamo male cerchiamo di capire da cosa deriva. Spesso proviamo un'ansia generalizzata e non riusciamo a individuarne la fonte. Capiamo allora se viene ad esempio da un rimprovero sul lavoro oppure, nel caso della dipendenza, se può essere un segnale d'allarme che ci sta lanciando il nostro corpo per farci capire che dobbiamo fermarci".
- Festeggiamo gli obiettivi raggiunti: chi soffre di workaholism non si ferma mai: "Non c'è tempo di festeggiare perché già si punta al prossimo obiettivo. In questi casi guardare troppo al futuro, un ipercontrollo del futuro, può aumentare gli stati di ansia e i disagi che ne conseguono".
- Rivolgiamoci a uno specialista: "Se ci rendiamo conto che non riusciamo a risolvere queste dinamiche, rivolgiamoci a un esperto, senza indugi".