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La provocazione della ministra tedesca: una legge scritta al femminile è incostituzionale?

In Germania la ministra socialdemocratica della Giustizia Christine Lambrecht ha presentato un testo di legge scritto e declinato esclusivamente “al femminile”. La sua provocazione ha generato reazioni contrastanti, tra cui una minaccia di incostituzionalità che l’ha costretta a fare un passo indietro.
A cura di Giusy Dente
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Siamo abituati a declinare al maschile la maggior parte delle parole della nostra quotidianità, mestieri compresi, con periodiche battaglie e ribellioni da parte di chi non si sente rappresentata a essere chiamata “ministro” o "avvocato" per esempio. La declinazione di genere al maschile nasconde un sessismo di fondo? Sono in tanti a sostenere di sì. Fatto sta che per i linguisti il pensiero è unanime: oggi il maschile si può adoperare per riferirsi a entrambi i sessi, mentre il femminile no. Ecco perché la ministra della Giustizia tedesca ha dovuto fare dietro front, dopo aver presentato un disegno di legge tutto scritto al femminile, accusato dunque di escludere formalmente la popolazione maschile.

Il linguaggio nasconde discriminazioni di genere?

La minaccia di incostituzionalità è giunta forte e chiara quando Christine Lambrecht, la ministra socialdemocratica della Giustizia tedesca, ha avanzato una proposta di legge tutta scritta al femminile. Lei, che si è sempre battuta molto per i diritti delle donne puntando il dito contro le disparità, il sessismo e le discriminazioni di genere, con questo gesto ha senza dubbio voluto lanciare un segnale incisivo. E infatti benché in tanti lo abbiano apprezzato, altrettanti si sono immediatamente attivati per remarle contro. In questo clima spaccato hanno prevalso i secondi, che hanno subito chiamato in causa la Costituzione. La legge in questione riguarda il diritto fallimentare e si pone l’obiettivo di agevolare le fasce sociali più colpite dalle conseguenze della pandemia. Ebbene, tutte le professioni del gergo sono state declinate, nel testo di legge, al femminile. La ministra ha optato per “debitrice” e non “debitore”, per “lavoratrice” e non “lavoratore” e così via. La provocazione vuole sottolineare quanto ancora non siamo abituati a sentire parole di questo tipo, incrementando in qualche modo la disparità di genere. La chiarezza della legge è stata minata alla base, sostituendo le declinazioni delle parole? No, ma gli oppositori si sono appigliati a un elemento formale in effetti non trascurabile: il femminile non è, linguisticamente parlando, un generico riconosciuto. Ecco perché il ministro dell’Interno, Horst Seehofer, ha fatto notare che potrebbe esserci addirittura un principio di incostituzionalità. Per evitare di intralciare il percorso legislativo del testo, la Lambrecht ha adeguato il testo al maschile.

Qual è la regola?

Solo questione di forma o implicito sessismo nascosto dietro la facciata della grammatica? Le posizioni ovviamente sono diverse e le stesse donne abbracciano l'una o l'altra idea, sentendosi o più o meno offese da un termine declinato al maschile. Ne ha abbondantemente scritto la sociolinguista Vera Gheno. In Femminili singolari, per esempio, si schiera contro i tentativi di mantenere la lingua italiana fissa e immobile, nonostante siano inevitabili degli adeguamenti anche in base ai cambiamenti sociali. Professioni un tempo off limits per le donne, oggi le includono molto di più, dunque non c'è alcun bisogno di fossilizzarsi sulla presunta cacofonia di certe parole. Ci siamo fossilizzati sull'idea che alcuni sostantivi declinati al femminile "suonano male", ma accettarne l'uso significa legittimare anche le nuove posizioni sociali acquisite dalle donne nella società e nel mondo del lavoro.

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