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La morte di una donna riaccende le proteste in Polonia: nel 2021 non siamo ancora libere di abortire

Una donna di trent’anni è morta in ospedale in Polonia mentre aspettava un’interruzione di gravidanza: secondo il suo avvocato, i medici hanno voluto aspettare la morte naturale del feto. Un’attesa che si è rivelata fatale: secondo le attiviste Izabela è la prima vittima della legge anti-choice. Ma la Polonia non è l’unico Paese al mondo a non rispettare la volontà delle donne.
A cura di Beatrice Manca
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foto di archivio delle manifestanti polacche
foto di archivio delle manifestanti polacche

In Polonia, uno dei Paesi europei in cui è più difficile abortire dopo un'ulteriore stretta di legge, le donne sono tornate in piazza. Chiedono, anzi, rivendicano il diritto di decidere liberamente se diventare madri oppure no. A riaccendere le proteste in difesa del diritto all'aborto è stata la notizia della morte di una donna incinta in ospedale: secondo il suo avvocato, nonostante la donna fosse in evidente stato di sofferenza, i medici hanno voluto aspettare che il feto morisse prima di praticarle l'interruzione di gravidanza. Un'attesa che però è stata fatale per la madre. Le manifestanti puntano il dito contro le severissime leggi sull'aborto in vigore in Polonia: se la vittima avesse potuto abortire prima sarebbe ancora viva.

Il caso della donna morta in ospedale in Polonia

La nuova ondata di proteste nasce dal caso di una donna morta in ospedale: i suoi legali collegano direttamente la sua morte alla restrittiva legge sull'interruzione volontaria di gravidanza polacca. Secondo quanto riportano la Bbc e il britannico Guardian, la donna, identificata come "Izabela" è morta a settembre ma il suo caso è stato reso pubblico solo venerdì dall'avvocato che rappresenta la sua famiglia, Jolanta Budzowska. La vittima aveva 30 anni ed era incinta di 22 settimane: è stata portata in ospedale a Pszczyna, un piccolo borgo vicino al confine ceco, dove i medici hanno diagnosticato che il feto era in sofferenza e c'erano perdite di liquido amniotico. Secondo l'avvocato, i medici hanno aspettato che il feto morisse: un'attesa che è costata la vita a Izabela.

Cosa prevede la legge sull'aborto in Polonia

La notizia ha scatenato proteste in diverse città polacche, da Varsavia a Cracovia: secondo gli attivisti per i diritti delle donne Izabela è una vittima annunciata della stretta di vite sull'interruzione volontaria di gravidanza. L'ospedale ha replicato alle accuse, spiegando che ogni decisione è stata presa nel miglior interesse della salute della madre e del bambino. Attualmente, in Polonia l'aborto è permesso in tre casi: stupro, incesto o se la gravidanza mette a rischio la salute della madre, un caso che includeva la situazione di Izabela.

Il diritto all'aborto è il diritto alla scelta

Al di là della verità processuale che emergerà dal caso polacco, il caso di Izabela riaccende i riflettori su un diritto troppo spesso negato. La Polonia non è l'unico Paese ad aver fatto dei passi indietro in materia di aborto: in Texas è stata approvatauna legge estremamente restrittiva e basata sulla delazione, riportando le donne indietro a tempi di stigma e vergogna. In Italia, dove l'aborto è riconosciuto dalla legge, troppo spesso le donne si ritrovano a fare i conti con strutture inaccessibili, medici obiettori e un onnipresente senso di recriminazione che circonda questa pratica medica. In pratica, rinunciare alla maternità è un diritto che si sconta con carichi di sensi di colpa non richiesti e un dolore imposto da fuori. Chi, come l'attivista Alice Merlo, prova a portare avanti una narrazione differente in difesa della libertà di scelta si ritrova bersaglio dell'odio altrui, tra ingiurie e minacce. Difendere il diritto all'aborto non significa scegliere la morte anziché la vita: significa scegliere la libertà delle donne di decidere per se stesse, per la propria salute e per il loro futuro.

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