La giornalista sportiva Giulia Mizzoni: voglio essere giudicata per le competenze non per l’estetica
Recentemente la giornalista Giovanna Botteri è stata presa di mira dai commenti offensivi di alcuni haters. Qualcuno ha messo in discussione una grande professionista del suo calibro soffermandosi sui capelli, sull'assenza di trucco, sull'abbigliamento essenziale. La giornalista ha risposto invitando alla riflessione, a una discussione costruttiva sul rapporto tra giornalismo televisivo ed estetica, per liberare il settore da una serie di concezioni piuttosto futili, che allontanano dall'unico vero focus: quello della competenza. Il fatto che ancora ci si soffermi su questi aspetti nel giudicare l'operato di una donna dimostra una certa arretratezza dal punto di vista culturale, che ci riporta indietro a un'idea di donna che si sta cercando di superare. Le donne non vogliono essere giudicate per la loro bellezza, ma per le loro competenze, anche se la carriera che scelgono è in un ambiente a maggioranza maschile. Ne abbiamo parlato con la giornalista sportiva Giulia Mizzoni, che si trova appunto a lavorare nel mondo del calcio, uno di quelli maggiormente associati ai soli uomini. Proprio lei ha citato la Botteri nell'intervista a Fanpage.it, ammettendo un'innegabile importanza dell'aspetto fisico in chi fa una professione come la sua, ma raccogliendo in pieno l'invito della collega a scardinare finalmente certi stereotipi antichi che non fanno bene a nessuno.
«Gavetta? Fondamentale. Si vede la differenza di chi ha mangiato la terra delle categorie inferiori»
Ai microfoni di Fanpage.it Giulia Mizzoni ha raccontato col sorriso quando da ragazzina guardava le partite con gli amici (tutti rigorosamente maschi), per non trascorrere i pomeriggi da sola. Un evento in particolare però le ha scatenato una tale emozione da farle capire che doveva essere lo sport il cardine della sua vita professionale: il rigore sbagliato di Di Biagio ai mondiali del 1998! Già orientata agli studi di giornalismo, ha dunque deciso di focalizzarsi sul giornalismo sportivo e ha fatto tanta gavetta, prima di arrivare a DAZN. Ha raccontato delle tante partite di categorie inferiori seguite per fare pratica: «Io ancora oggi ho dei ricordi meravigliosi legati a quel periodo. Quella è la palestra che ti fa capire che se riesci a fare bene lì paradossalmente un ambito nazionale, con dei mezzi stratosferici rispetto alla telecamerina che hai per fare riprese o montarti i servizi da sola sul computer, non ti possono spaventare. Credo che sia veramente fondamentale la gavetta. Si vede la differenza di chi ha mangiato la terra delle categorie inferiori rispetto a chi magari, perché i tempi cambiano diciamo così, si ritrova catapultato in un mondo più grande».
«L'aspetto fisico conta, ma…»
Lavorare in televisione significa, inevitabilmente, esporsi dal punto di vista estetico, metterci la faccia letteralmente. In una precedente intervista la giornalista Federica Zille, collega di Giulia Mizzoni a DAZN, aveva spiegato a Fanpage.it l'importanza di essere preparati al 100% per essere inattaccabili, per dimostrare inequivocabilmente di essere lì per un motivo, che non è certo quello del "essere carina". Sono le competenze a fare la differenza e di questo è convinta anche Giulia, che ammette: «Saremmo ipocriti a dire che l'aspetto fisico conti poco o non conti nulla nel lavoro che facciamo, perché è ovvio che arriviamo nelle case, sugli smartphone, nel nostro caso su tanti dispositivi delle persone, quindi è inutile dire che non serva anche arrivare dal punto di vista estetico». La giornalista però è certa anche che ci sia un problema di cultura da superare: «Noi facciamo arrivare prima quali messaggi? Evidentemente ancora quelli sbagliati che ripeto, non sono aspetti che non devono esistere, sono aspetti che esistono e sarebbe ipocrita dire il contrario, ma bisogna un pochino scavalcare quella roba lì, perché se no basta apparire e non essere nulla e non sapere nulla».
«Per essere inattaccabili bisogna essere sicuri, certi e pronti»
Complice anche la forte esposizione social e la contaminazione mediatica, è molto facile vedere personaggi pubblici cimentarsi in carriere parallele anche molto diverse tra loro. Se da un lato la preparazione adeguata e lo studio possono consentire a chiunque di migliorarsi e ampliare i propri orizzonti, è pur vedo come spiega Giulia Mizzoni a Fanpage.it che esistono delle specificità che è bello preservare, conservare e valorizzare. Lei stessa non si immagina in un lavoro diverso da quello che fa ora: «Non mi vedo a ballare da qualche parte o a fare la showgirl perché non ho proprio le qualità. Ognuno secondo me deve fare quello che sa fare e che sente suo. Certo non significa che non si possano ampliare i propri interessi e le proprie capacità. Se uno impara e studia può arrivare anche in altri campi diciamo così. Però io credo che delle specificità ci siano e ci debbano essere perché se no passa il messaggio che tutti possono fare tutto. E per chi, a differenza mia che ho 36 anni, si sta approcciando a una professione, non per forza la mia ma una professione, far passare il messaggio che basta l'estetica piuttosto che altro per poterla fare è fuorviante ed è un peccato perché si perde la specificità della professionalità delle persone». La professionalità è un punto fondamentale, infatti ha voluto dare un consiglio alle aspiranti giornaliste sportive: «Sicuramente non scoraggiarsi di fronte al commento negativo, fregarsene veramente e soprattutto cercare di prepararsi, di essere inattaccabili e per farlo bisogna essere sicuri, certi e pronti di quello che si fa».
«Io sono qui perché so fare quello che faccio»
Vedere una donna che lavora in un settore a predominanza maschile, come è quello dello sport e soprattutto del calcio, può esporre a facili commenti sessisti e battutine maschiliste. Giulia Mizzoni ha ammesso di non essere mai stata giudicata in questo senso: di aver certo ricevuto commenti negativi, ma nulla che andasse oltre il modo di condurre o di commentare una partita, dunque quello che è chiamata a fare. «Nessuno mi è mai arrivato dicendo: "questa chissà che ha fatto per arrivare lì" dico per dire. Quindi un po' ripeto secondo me è una questione di cultura che va scardinata con il tempo. La nostra responsabilità è mandare un messaggio che va in controtendenza totalmente con questa idea e cioè: io sono qui perché so fare quello che faccio. E come lo dimostri? Sapendolo fare! Solo così».