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La crisi da Covid colpisce le donne: la parità di genere si otterrà tra un secolo e mezzo

Il World Economic Forum lo mette nero su bianco: se fino allo scorso anno per colmare il gender gap ci sarebbero voluti 99 anni, a causa del Covid e della crisi che sta pesando di più sulle spalle delle donne, si ha bisogno di 135 anni. Se guardiamo invece solamente il divario economico la situazione è ancora peggiore: la parità arriverà nel 2.300. E l’Italia? Su 159 Paesi è al 63esimo posto, pessimo risultato rispetto alle altre nazioni europee.
A cura di Giulia Torlone
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L’abbiamo sempre saputo e il Covid ci ha dato la conferma: il gap tra uomo e donna non è un problema solo italiano, ma è una questione che va affrontata in ogni parte del mondo. La pandemia, che ha scaricato peso e responsabilità sulle spalle delle donne, non ha fatto altro che aumentare una disparità che è sempre esistita e con la crisi ha acuito la sua gravità.

La crisi da Covid e quel divario di genere incolmabile

La fotografia perfetta di quello che sta accadendo ce la restituisce il nuovo rapporto del World Economic Forum: se il gender gap avrebbe potuto risolversi, secondo i calcoli, tra 99,5 anni ora le donne potranno godere a pieno dei loro diritti di autodeterminazione solo tra 135,6 anni. È una cifra enorme, che rende l’idea di quanto squilibrio ci sia tra i generi in ogni ambito della vita sociale. Se fino al 2020 si poteva rintracciare un lento processo di miglioramento, la crisi pandemica ha fatto saltare tutto, in maniera maggiore nei grandi Paesi. Le ragioni principali di questo arretramento sono due: il Covid ha fatto sì che siano soprattutto le donne quelle ad essere state colpite dalla perdita di lavoro perché impiegate in settori che hanno risentito in maniera maggiore di chiusure e crisi. Dal turismo ai servizi, dalla ristorazione alla pulizia domestica, la maggior parte della forza lavoro era ed è al femminile. In secondo luogo, tra dad dei figli e cura degli anziani, il peso della gestione familiare grave sulle loro spalle a tal punto da non permettere di mantenere un lavoro al di fuori delle mura domestiche. Questi due fattori, trasversali a tutti i Paesi, hanno fatto sì che la forbice del divario di genere si allargasse ancor di più a causa del Coronavirus.

Il lavoro del futuro è senza le donne

Dal report del Wef appare chiaro un altro elemento importante: sono pochissime le donne che si occupano di mestieri che guardano al futuro. Parliamo di robotica, intelligenza artificiale, cloud computing. Solo il 14 per cento delle persone impiegate in questi settori, che diventeranno sempre più indispensabili nel post pandemia, sono donne. Il rapporto analizza la parità in quattro aree: partecipazione economica, istruzione, salute e potere politico. Nell'istruzione e nella sanità il divario si è quasi colmato, ma nell'ultimo anno i progressi verso la piena parità si sono arrestati. Saadia Zahidi, amministratore delegato del World Economic Forum in una nota ha commentato:

“La pandemia ha colpito l'uguaglianza di genere sia sul posto di lavoro che a casa, invertendo anni di progressi. Se vogliamo un'economia futura dinamica, è fondamentale che le donne siano rappresentate nei lavori di domani. Ora più che mai è fondamentale concentrarsi sulla leadership femminile, impegnarsi per obiettivi e mobilitare risorse per raggiungerli. Ora è il momento di includere la parità di genere nel progetto di recupero”

Il gender gap politico è un’altra nota dolente: nonostante oltre la metà dei 156 Paesi analizzati abbiano mostrato dei miglioramenti, le donne siedono ancora solo al 26,1 per cento dei seggi parlamentari e nel 22,6 per cento delle posizioni ministeriali al mondo. In poche parole, se non dovessimo invertire la rotta, la disuguaglianza di genere in ambito politico ci metterebbe quasi un secolo e mezzo a chiudersi, invece dei 95 anni previsti prima dell’arrivo della pandemia.

L'Italia è tra gli ultimi Paesi d'Europa

L’Italia, andando a guardare la situazione specifica dei Paesi, è al 63posto su 156. Una posizione che di certo non fa onore alle donne del nostro Paese. Soprattutto se messa a confronto con quella di altre nazioni europee: l’Islanda è al primo posto per minore divario di genere, seguita da Finlandia e Norvegia. La Germania è undicesima, la Spagna quattordicesima e la Francia sedicesima. Un posto così basso occupato dal nostro Paese è il sintomo che il divario di genere è un enorme problema sociale e politico che va risolto in ogni ambito. Conciliare famiglia e lavoro, avere la possibilità di carriera al pari dei colleghi uomini, usufruire di tutele e sgravi per le lavoratrici autonome, sono passi necessari che trasformerebbero la teoria in pratica. Perché sono capaci tutti a dirsi dalla parte delle donne, è diverso invece fare un passo di lato per fare loro spazio.

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Trent’anni, giornalista professionista, si occupa di politica e questioni di genere tra web, carta stampata e tv. Aquilana di nascita, ha studiato Italianistica a Firenze con una tesi sul rapporto tra gli intellettuali e il potere negli anni duemila. Da tre anni è a Roma, dedicando anima e cuore al giornalismo. Naturalmente polemica e amante delle cose complicate, osserva e scrive per capirci di più, o per porsi ancora più domande. Profondamente convinta che le donne cambieranno il mondo. 
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