Ricordo perfettamente una sera d’agosto di due anni fa, sedevo intorno a un tavolo per un aperitivo all’aperto con degli amici. Si discuteva della notizia che aveva attirato l’attenzione di tutti: Asia Argento accusata di molestie da Jimmy Bennett, giovane attore allora minorenne. Mi ricordo che stavo argomentando il mio punto di vista, quando uno dei miei amici mi interruppe bruscamente: “Una donna come Asia Argento deve essersi sentita potente di fronte al bisogno di successo di Bennett. Può capitare che il potere su una situazione faccia scattare meccanismi incredibili”. Non voglio entrare nel merito dell’affermazione del mio amico, quanto piuttosto sulla sua brutale interruzione seguita da “quella donna deve essersi sentita in questo modo” (sensazione che ovviamente mi avrebbe spiegato di lì a breve, con voli pindarici sulla psiche femminile e il nuovo femminismo degli anni duemila).
Mansplaining, come zittire una donna pensando di saperne di più
Eccolo qua, signore e signori, il più classico del Mansplaining: termine anglosassone che sta a significare “un uomo che spiega qualcosa ad una donna, nonostante lei conosca perfettamente quell’argomento”. Il caso che ho citato, che mi è accaduto personalmente, ha una sua gravità particolare se pensiamo che in quel caso l’uomo in questione non si è limitato all’analisi di un fatto, ma ha cercato di spiegare a una donna come deve essersi sentita un’altra donna. Insomma, un delirio di onnipotenza intorno al tavolo di un aperitivo. Il fenomeno sta avendo un suo momento di popolarità dopo un ultimo caso andato in onda su Rai3 nella serata di giovedì. Giorgio Zanchini, conduttore del Premio Strega 2020, decide di discutere del fenomeno del #MeToo con Corrado Augias e non con la finalista Valeria Parrella, autrice di Almarina e unica donna in gara. Iconica la chiosa dell’autrice che, rivolgendosi a Zanchini esordisce: “Lei ne vuole parlare con Augias? Auguri!”
Dallo Strega a Sex and the City: quando la discussione è senza le donne
Sgomberiamo il campo da possibili fraintendimenti: non è vero che un uomo non abbia il diritto di parlare di violenza sulle donne. Da che mondo e mondo, un cambiamento vero della gerarchia di potere uomo-donna non può prescindere dal processo di consapevolezza del genere maschile. Si tratta piuttosto della totale mancanza di mettersi in posizione di ascolto. Il fenomeno mediatico del #MeToo, che ha terremotato Hollywood per il suo intreccio di ricatti e potere, non può bypassare un punto di vista totalmente femminile. È la donna che quotidianamente si scontra con un soffitto di cristallo da dover sfondare per ottenere una voce che le spetta, che deve lottare il doppio per guadagnarsi un lavoro di cui ha tutte le competenze, per ottenere un posto in una tavola rotonda tra ministri la cui totalità appartiene al sesso opposto. Ecco, parlare di violenza di genere senza conoscere la lotta quotidiana di una donna e darle voce è come pretendere di discutere di fisica quantistica dopo aver letto la definizione su Wikipedia. Puoi conoscerne la definizione, ma i calcoli non li sai fare. E mi è tornato in mente un memorabile spezzone di Sex and City, dove la rampante avvocatessa Miranda durante una riunione dove lei era l’unica donna, veniva interrotta costantemente da un collega che terminava la frase al suo posto lasciandola ammutolita. Questo è un altro esempio di atteggiamento paternalistico da mansplaning: prendere parola al posto di una donna per dare legittimità a un discorso che declinato al femminile sembrerebbe perdere la possibilità di validazione.
Quel passo indietro obbligato e il saper ascoltare
Se non è una forma di violenza questa, non so come possa essere definita altrimenti. È un po’ come quello che sta succedendo con il fenomeno Black Lives Matter, dove è d’obbligo che i bianchi prendano una posizione (d’altronde sono loro gli autori dei soprusi), ma i neri pretendono che la voce narrante sia la loro. O come discutere di pro choice (o diritto all’aborto) negli Usa in uno studio ovale tra Trump e un codazzo di soli uomini. Tutto questo acquista un che di surreale e dagli esiti piuttosto inutili. Come uscirne? Dotandosi della capacità di fare un passo indietro e mettersi all’ascolto. Discutere di violenza sulle donne con gli uomini è doveroso, ma questi ultimi non possono non mordersi la lingua e pretendere un’equa rappresentanza di genere. E noi donne, nel frattempo? Valeria Parrella ci ha mostrato che, ancora una volta, l’ironia è la chiave giusta per non soccombere. Avrebbe potuto non dire niente, ma ha scelto invece di sorridere e chiudere con un liberatorio “Auguri!” nei confronti del conduttore. Anche attraverso questi piccoli gesti di ironica denuncia passa un cambiamento che non è più il caso di rimandare a domani, non credete?