Il caso di Guendalina Tavassi e suo marito, vittime di hackeraggio e diffusione online di video privati, fa tornare centrale il tema del cosiddetto revenge porn, ovvero la vendetta pornografica. La notizia in questione è diversa dal classico caso della rivendicazione hard, perché al centro non c'è un ex che vuole farla pagare alla partner, ma resta indicativa per misurare quanto il web sia ostile verso la sessualità femminile. La cronaca, da anni, è costellata di eventi in cui una donna viene bersagliata online, usando il suo corpo come un campo di battaglia dove si scontrano mascolinità tossica, ego ferito, sessualità da dare in pasto al pubblico ludibrio. Quello che la vicenda Tavassi ci ricorda, quindi, è che non esiste solo la diffusione di video intimi e privati come arma nelle mani di un ex che non si rassegna alla fine di una relazione. Esiste anche la diffusione di questo materiale personale per alimentare una cultura da chat del calcetto, la versione 2.0 del bar sport. Già, perché comunque si voglia girare la faccenda, il corpo della donna desta ancora scandalo, perversione, riesce ancora a essere talmente oggettivizzato che poco importa se nel video possa comparire anche un uomo. Il bersaglio è e resta la donna.
Codice Rosso, basta una legge a tutelare le donne?
Perché desta ancora scandalo un video in cui compare una coppia che fa del sesso consensuale? Perché il rapporto sessuale viene ancora usato come arma per colpevolizzare, sminuire, ricattare la protagonista di quell’atto? Perché il corpo di una donna, ancora oggi, deve pubblicamente rappresentare il campo neutro della moralità. Poco importa se nel sesso non c’è nulla di immorale o sporco, una donna che lo fa è ancora a tutti gli effetti una poco di buono. E la diffusione di un video così, ancora oggi, riesce a minare carriere, famiglie, equilibri psicologici. La sfera privata è pubblica e, pubblicamente, la femmina deve restare immacolata. Un’ipocrisia largamente condivisa, dove il sesso è ok solo se nascosto e poco chiacchierato. Il revenge porn, però, e non è mai sbagliato ricordarlo, è reato. Esiste, dall’agosto dello scorso anno, la legge Codice Rosso, che recita:
Chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro danno. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici.
La legge è buona, nonostante il perno resti la violazione della privacy e non quella della violenza sulle donne, eppure non basta. Non basta se guardiamo a quello che succede sugli smartphone ogni giorno. Esiste Telegram che, con la sua messaggistica istantanea e i suoi canali privati che rimandano a luoghi esterni di discussione, apre un mondo fatto di violenza e sopraffazione. È l’apoteosi della “chat del calcetto” dove tutto è concesso e nessuno è punibile. Violenza sulle donne, commenti misogini, video pornografici rubati, nel web senza filtri si trova di tutto. E la donna è al centro di questa reunion al maschile, dove il corpo femminile è ancora l’oggetto da passare di mano in mano con qualche commento scurrile.
La cultura da bar Sport dilaga online
La legge fa quel che può, con i grossi limiti che ha: ovvero quello dell’impossibilità di fermare il fenomeno a monte. La brutalità verso il corpo di una donna è l’unico problema, la diffusione di immagini è solo la conseguenza. La teoria del branco, che rende gli uomini incapaci di discernere il giusto dallo sbagliato, è qualcosa che non attacca più. Il revenge porn devasta intere esistenze per il semplice fatto che ancora oggi il sesso è considerato riprovevole. Il corpo di una donna è, tutt’oggi, l’oggetto con il quale orde di uomini online si divertono e sfogano i loro peggiori istinti. Tutto in una vita parallela che esiste solo online. La vendetta pornografica smetterà di esistere solo quando la sessualità verrà scardinata dalla moralità e la cultura del bar sport, fatta di mascolinità tossica e sopraffazione, verrà sostituita da quella fatta di uomini capaci di guardare il sesso non come un’arma di ricatto maschile.