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Frida Giannini: «L’estetica del brutto mi fa orrore. C’è sessismo nella moda, è una lobby di uomini»

Intervistata da Fanpage.it Frida Giannini (ex direttore creativo di Gucci) ha raccontato di più sui suoi progetti, dando anche il suo giudizio sui cambiamenti che ha notato nel settore moda in questi anni in cui è stata lontana dai riflettori. Del passato non rimpiange nulla, anche se ha avuto da ridire sul modo in cui è stata mandata via dalla Maison: “Da Kering non mi è stato neppure permesso di finire una sfilata e salutare i giornalisti con cui sono cresciuta”
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A cura di Giusy Dente
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Frida Giannini, credit Fabio Lovino
Frida Giannini, credit Fabio Lovino

Anche se il suo nome richiama immediatamente il mondo della moda e del lusso, Frida Giannini ha sempre prestato grande attenzione al terzo settore. Già membro del consiglio direttivo di Save the Children, ora sta sostenendo un'associazione che opera per aiutare le persone con malattie mentali e dare un contributo alle loro famiglie. Per la stilista è stata la prima volta alle prese con questo argomento, ma come ha spiegato a Fanpage.it al riguardo c'è ancora troppa disinformazione. Questo l'ha spinta a sostenere la mostra Circuiti, con la speranza che si possa finalmente nella società non più additare al malato come al diverso, emarginandolo. "Bisogna abbattere lo stigma" ha sottolineato nel corso dell'intervista, durante la quale ha avuto modo anche di raccontare i progetti che sta portando avanti nel mondo della moda, guardando anche al passato, nello specifico ai trascorsi con il Gruppo Kering e al presente, dunque commentando l'impronta data alla Maison Gucci dal nuovo direttore creativo Alessandro Michele.

La carriera di Frida Giannini, per 13 anni direttore creativo di Gucci

Dopo gli studi presso l'Accademia di Costume e di Moda di Roma per lei è arrivata nel 1997 la prima grande esperienza di rilievo, quella con Fendi a cui ha fatto seguito quella con Gucci. Per la Maison fiorentina Frida Giannini è stata prima direttore creativo nel settore borse, poi in quello degli accessori e infine è subentrata ad Alessandra Facchinetti anche nel settore prêt-à-porter donna. Nel 2006 la svolta: è diventata direttore creativo di tutte le linee della Maison e lo è stata per 13 anni. Ha lasciato Gucci nel 2015 e da allora ha portato avanti il suo lavoro in modo più silente e lontana dai social, per scelta. In questo periodo di distacco, in cui ha dato priorità alla famiglia, ha guardato le evoluzioni della moda dall'esterno con occhio molto analitico: sui fenomeni attuali e sulla situazione del settore lusso ha un'idea ben precisa, che ha spiegato nell'intervista rilasciata a Fanpage.it.

In questo periodo in cui hai avuto modo di guardare il settore moda con più distacco hai fatto delle considerazioni nuove o rivalutato quegli aspetti che quando hai una certa carriera dall'interno non riesci a cogliere?

Ho continuato a fare collaborazioni silenti, perché avevo voglia di privacy nella mia vita. Infatti non sono presente su nessun social, non mi va che tutti sappiano i fatti miei. Io non giudico nessuno, non mi permetterei mai, ma a me è una cosa che non interessa. Ovviamente ho sempre seguito la moda, sono abbonata a una serie di riviste anche internazionali, cerco di vedere l'emergente piuttosto che l'assunzione di. Devo dire che negli ultimi 5 anni c'è stato un bel frullatore che mi disorienta un po'. Rispetto ai valori che io ho appreso con l'esperienza come la qualità, la conoscenza di tutta una serie di cose, come vengono fatte, la sartorialità, la qualità dei pellami eccetera, oggi spesso vengono dati in mano più a gente che ascolta il rap che a gente che ha una professionalità dietro di 20 anni.

Qual è il futuro della moda?

Sono scoppiati questi fenomeni di marchi e marchietti spuntati dal nulla, che hanno ovviamente una grossa efficacia e potenza solo se comunicati in una certa maniera, col DJ o la celebrity. Ma quanto durano? Una volta che uno si è stufato di avere una maglietta con la scritta rossa davanti poi è finito il brand. Poi questa smania delle collaborazioni, ogni due minuti bisogna fare una collaborazione. Io ne ho fatte mille, ma erano sempre legate a un contesto. Adesso tutti collaborano con tutti, quello collabora con quell'altro. Oppure lo stesso designer disegna per tre brand diversi con tre DNA completamente diversi e non capisci come possa essere possibile. Io ho lavorato 13 anni da Gucci, in qualche maniera ti immergi così tanto nel marchio che non puoi pensare a un marchio e il giorno dopo a un altro, che so a Jil Sander che è completamente minimalista e il giorno dopo ad altre cose ancora. Ecco, leggo a vedo degli accadimenti strani che francamente non comprendo.

«L'estetica del brutto mi fa orrore, quando compro qualcosa voglio sentirmi bella»

Discutendo dell'attuale panorama moda la stilista esprime il suo parere su quella che definisce  «l'estetica del brutto» imperante, che sta in un certo senso causando l'involuzione del settore, piuttosto che un avanzamento positivo.

Quello che non comprendo è sicuramente questa "estetica del brutto" che è nata e si è sviluppata negli scorsi anni che, mi dispiace dirlo, mi fa orrore. Essendo una donna io quando mi compro qualcosa voglio qualcosa che mi faccia sentire più cool, più magra, più bella, più giovane. Sinceramente non capisco questa estetica del "famolo strano e più brutto possibile" perché così sei avanti. Per me non sei avanti sei indietro.

«Sono stata molto impegnata con la malattia di mia figlia»

Dopo la fine della sua avventura da Gucci e nella lunga pausa dal mondo della moda la stilista ha avuto modo di dedicarsi alla famiglia. Sua figlia, che oggi ha 7 anni, è stata la sua priorità.

Sono stata molto impegnata negli anni passati perché ho avuto problemi con la malattia di mia figlia, abbiamo dovuto fare molta riabilitazione. Non mi potevo permettere di muovermi nemmeno un giorno per la fisioterapia. Quindi il primo anno [dopo la fine del rapporto di lavoro con Gucci n.d.r.] c'è stato lo stop per la non concorrenza, secondo e terzo anno non mi sono potuta muovere per questo problema di mia figlia. Ora ho ricominciato a fare delle cose perché amo la moda e le cose belle quindi never say never. Non ho progetti per il futuro.

«Da Golden Goose non ho un ruolo specifico e non mi interessa averlo»

Attualmente la stilista predilige lavorare con brand che sceglie perché vi si riconosce, perché ne abbraccia la filosofia e i valori.

Sto facendo un po' di collaborazioni però scegliendomi i marchi che mi piacciono, dove trovo delle emozioni, dove proprio mi innamoro, dove sento anche l'amicizia del brand. Per esempio lavoro con il brand Golden Goose. Del marchio sono stata una delle prime clienti 20 anni fa. Ho l'armadio pieno di cose fatte dai fondatori i primi anni. E poi con loro è nata un'amicizia profonda, anche se non ho un ruolo specifico speciale e non mi interessa averlo. Per quello abbiamo cercato di non comunicarlo: non c'era niente da comunicare!

«Il mondo della moda è una lobby di uomini, per la maggior parte gay»

Parlando del panorama moda attuale Frida Giannini parla anche del sessismo presente nell'ambiente e rivela di apprezzare il lavoro di una donna Maria Grazia Chiuri, una collega e amica, Art Director di Dior.

Maria Grazia Chiuri da Dior sta facendo le scintille, ma ogni due minuti la massacrano perché è una donna e quindi c'è sicuramente un problema di sessismo nel mondo della moda, è proprio una lobby di uomini, per la maggior parte gay. E poi devo dire che [Dior n.d.r.] in questo momento è uno dei pochi brand che vedi in giro. Una cosa bella, fatta bene, che costa pure tanto per carità, però che è bella e te la vuoi mettere e soprattutto che la vedi in giro. Io ho sempre detto che non mi piace disegnare cose che poi restano lì come un soprammobile attaccato alla parete. Mi piace fare dei progetti che abbiano una finalità, non commerciale, ma mi piace proprio che la gente li indossi, mi piace vedere che le persone abbiano cose su cui io ho lavorato. Altrimenti che senso ha il nostro lavoro?

«Da Kering non mi hanno permesso di finire una sfilata»

Guardando al passato la stilista non rinnega assolutamente nulla, ma ha qualcosa da dire in merito al trattamento ricevuto dal Gruppo Kering, al momento della sua uscita dall'azienda.

Ritengo che il Gruppo Kering si sia comportato malissimo quasi con la maggior parte dei designer che ha mandato via: a partire da Nicolas Ghesquière, con cui ci fu una causa, Hedi Slimane altra causa, fino a Tomas Maier che stava lì da 20 anni e ha creato quell'azienda [ex direttori creativi rispettivamente di Balenciaga, Saint Laurent e Bottega Veneta, n.d.r.]. A me non è stato neppure permesso di finire una sfilata e salutare i giornalisti con cui sono cresciuta. Tutte queste cose sono avvenute in quel gruppo.

Cosa pensi del nuovo corso di Gucci?

Non amo quello che fa ed è un parere personale e condiviso con molti tra l'altro e non perché sono amici miei e mi vogliono far contenta.  Io ho un problema con il brutto, a me la modella cessa mi fa schifo, il modello brutto e anoressico mi fa schifo. Oltretutto le storie inventate appiccicate alle sfilate, manco scritte e pensate da lui, mi fanno schifo. Perché o tu parti veramente e racconti una storia, che è la partenza dell'ispirazione della collezione, o se l'appiccichi alla fine perché vuoi fare il filosofo e manco sapevi scrivere in italiano, giù grandi risate. Quindi per carità… Ripeto, ci sono alcune eccezioni, non sono tutti così, ma c'è un Carnevale che fa paura. A me sembra tutto Carnevale, non mi sembrano le collezioni di un marchio di lusso. A me piacciono le cose belle, non solo uomini e donne belle, ma anche i tessuti belli, il pellame bello. Sono cresciuta con questi valori dal primo lavoro che ho fatto all'ultimo. Poi certo, è bello sperimentare anche altro, ma se si parla di lusso allora deve essere lusso dalla A alla Z. Se poi il lusso ha risultati incredibili solo per vendere T-shirt vintage piuttosto che delle sneakers o una cintura con un brand davanti, quello per me non è lusso.

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