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Elisa D’Ospina: «Siamo stufi di vedere ragazze con le ossa di fuori che non ci rappresentano»

Ha lanciato una petizione per dire basta alla taglia 34 in passerella, chiamando in causa la Camera Nazionale della Moda Italiana. Ma la modella curvy Elisa D’Ospina non si accontenta della risposta ricevuta dal presidente dell’associazione Carlo Capasa e in un’intervista rilasciata a Fanpage.it dice la sua.
A cura di Beatrice Barbato
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«Forse la Camera della Moda, seduta nel fronte row in tutte le sfilate, questa volta era in decima fila», Elisa D’Ospina non si accontenta di quanto comunicato dal presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana, Carlo Capasa, in risposta alla petizione da lei lanciata per dire basta alla taglia 34 in passerella, e che ha raggiunto oltre 24.000 firme. La modella curvy, da anni impegnata contro l’anoressia, si era appellata proprio all’associazione che disciplina, coordina e promuove lo sviluppo della moda italiana, affinché intervenisse in merito. «È questa la rappresentazione umana che vogliamo? È questo il messaggio del #fashionsystem? Dove è Camera Moda che dovrebbe vigilare?», aveva scritto su Instagram, pubblicando le foto di alcune delle ragazze che hanno sfilato per presentare la collezione Autunno/Inverno 20-21. In un’intervista rilasciata a Fanpage.it ne ha spiegato i motivi.

Come è nata l’idea della petizione?

Guardando la sfilata di Gucci ho notato che è tornato di nuovo in passerella un trend contro cui stiamo combattendo da anni, quello di una magrezza eccessiva, non naturale. Ho fatto degli screenshot e li ho mandati al dott. Leonardo Mendolicchio, che si occupa proprio di disturbi alimentarie, per capire se quel tipo di fisicità fosse strana. E anche lui, come me, ha nutrito dei dubbi. Allora ho cercato di capire di più su quella ragazza e tramite l’agenzia che l’ha rappresentata ho trovato le sue misure: 79 cm di bacino mi sembrano davvero eccessivi. La donna media non ha queste misure.

Cosa speri di ottenere una volta raggiunte le 25.000 firme?

Non voglio più sensibilizzare. Io voglio che venga firmata una carta dei diritti e che abbia possibilmente anche il mio nome, poiché sono stanca di appoggiarmi a tutti quei partiti che promettono ma poi non fanno. Mi sono presa la briga di scriverla da sola, sto tirando le firme in autonomia e pretendo che a livello mediatico la donna non sia più rappresentata a queste condizioni. In questi anni ho visto molte ragazze, che credevano di stare bene, morire a causa dell’anoressia. Nel 2020 preferirei che fosse dato un messaggio positivo, anche perché le consumatrici finali non portano la taglia 34.

L’anoressia è tra i disturbi più diffusi. C’è anche chi è magro per costituzione e chi, invece, soffre di obesità. Dove bisogna porre un limite affinché non si cada poi nell’esatto opposto?

Qui dovrebbe intervenire un medico, io parlo semplicemente di un modo osceno con cui la donna viene rappresentata. Facciamo campagne annuali su questi temi delicati e sappiamo quanto questi modelli rafforzino un’idea che queste ragazze già hanno. Non è perché la moda porta in passerella taglie 34, che tutte automaticamente diventiamo così. Ma se soffro già di un disturbo alimentare e vedo un esempio del genere, rafforzo la mia idea e sono convinta di quello che sto facendo. Ovviamente sappiamo riconoscere una magrezza in salute da una sofferente.

Qualcuno potrebbe accusarla di parlare così perché curvy.

Lo fanno già e non me ne frega niente. Il mercato delle taglie comode, dati alla mano, è quello che fa vendere di più. È una questione di fatturati e se uno è sveglio lo capisce, basti pensare a Dolce&Gabbana che l’anno scorso ha portato in passerella Ashley Graham. Nonostante già da prima producessero taglie comode, in quel modo e con quel tipo di comunicazione, hanno conquistato una fetta molto più ampia di clienti. Vestire una 34 o una 36 può solo far comodo per una questione di tessuti ma non è quella la rappresentazione della realtà. Mi stupisco solo che nel 2020 non se ne renda conto chi poi se ne occupa. Sarebbe tanto bello poter parlare solo di vestiti.

Questa edizione della Fashion Week è stata però all’insegna anche del body positive. Fendi a Milano e Alexander McQueen a Parigi hanno portato in passerella donne curvy e donne vere. È una riposta importante da parte del mondo della moda?

Una rosa non fa primavera, non è il contentino o il riscattino a cambiare le cose. La moda ha le sue regole, per cui se uno sceglie in passerella donne magre può farlo tranquillamente, purché non siano ragazze che per fare quel lavoro lì debbano soffrire. Come può una donna con delle misure di una bambina di 12 anni andare a rappresentare il corpo femminile? Del resto si chiamano modelli perché dovrebbero rappresentare un qualcosa di ideologico. Non mi sembra che una Gigi Hadid o una Irina Shayk siano curvy o grasse.

La Camera della Moda ha risposto al tuo appello, assicurando la sua attenzione nel monitorare quei casi che possono risultare critici. Pensi che ad oggi l’associazione non abbia agito correttamente?

Ogni tanto bisogna smetterla di essere politically correct. Avrei preferito dicessero di aver preso una svista, cosa che non è un’ammissione di colpa ma un rendersi conto di ciò che abbiamo fatto. Del resto 25 mila persone chiedono la stessa cosa, non siamo una mandria di stupidi. È inutile che dicono di essere in prima linea, se poi nella agenzie di moda non c’è una modella i cui fianchi superino i 90 cm. E parliamo di ragazze alte 1,80 m. Per tornare all’esempio fatto prima, Irina non sembra affatto una donna deperita, ma incarna un’idea di bellezza a cui tutti dovrebbero guardare. Il problema, poi, è che basta una sola persona per far crollare la nostra immagine nel mondo, dato che la petizione è stata abbracciata anche al di fuori del nostro Paese. Siamo abbastanza stufi di vedere ragazze con le ossa di fuori, che non ci rappresentano e ci fanno tenerezza. Una passerelle dovrebbe farmi sognare.

Qualcuno potrebbe accusarti di aver agito solo per avere maggiore visibilità. In che modo una lotta come quella che stai portando avanti tu può evitare di incorrere nella strumentalizzazione?

Io ho una visibilità da dieci anni in tv, non ho bisogno di attaccarmi a una ragazza. Si parla di coerenza, piuttosto. E io sono coerente nel momento in cui se, dopo aver fatto una campagna sui disturbi alimentari, non chiudo gli occhi perché c’è una modella di Gucci in passerella. Non mi cambia la vita, né mi cambierebbe se dovessi sfilare per il marchio tra dieci anni. Mi sono anche chiesta come mai Elena Mirò abbia fatto sfilare delle ragazze molto molto magre su una passerella dedicata alle taglie comode. Ripeto, per me è una questione di coerenza, del resto se pubblicassi una foto delle mie tutte su Instagram avrei maggiore visibilità di quella ricevuta per l’immagine di una modella deperita.

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