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Disturbo ossessivo compulsivo: come riconoscerlo e come affrontarlo lo spiega lo psicologo

Quando la mente inizia ad avvitarsi dietro un pensiero in maniera ripetuta ed è impossibile dominarlo se non mettendo in atto dei bizzarri rituali, siamo in presenza di un disturbo ossessivo compulsivo. Cosa è, come riconoscerlo e soprattutto come trattarlo lo abbiamo chiesto allo psicologo Gabriele Melli.
Intervista a Dott. Gabriele Melli
Psicologo, psicoterapeuta e direttore del Centro di Eccellenza per il Disturbo Ossessivo-Compulsivo (CEDOC) di Firenze
A cura di Francesca Parlato
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C'è chi si lava le mani ogni quindici minuti per paura del contagio da Covid (e non solo), chi prima di uscire di casa controlla di aver chiuso il gas un numero indefinito di volte, chi smette di prendere l'auto per paura di fare incidenti, chi conta fino a 3 prima di compiere ogni gesto. Tutti questi comportamenti possono essere sintomo del disturbo ossessivo compulsivo. Questo tipo di disturbo è caratterizzato dalla presenza di due elementi: le ossessioni e le compulsioni. "Le ossessioni sono dei pensieri, delle immagini, intrusive e ricorrenti che disturbano la persona, che creano disagio – spiega a Fanpage.it il dottor Gabriele Melli, psicologo, psicoterapeuta e direttore del Centro di Eccellenza per il Disturbo Ossessivo-Compulsivo (CEDOC) di Firenze – Si tratta di pensieri che entrano nella testa contro la volontà e hanno un contenuto specifico molto sgradito alla persona, che può sentirsi in colpa o esserne spaventata". E poi ci sono le compulsioni: "Il più delle volte le persone per gestire il disagio che si attiva a causa di questi pensieri, mettono in atto dei comportamenti, appunto compulsivi, per cercare di tranquillizzarsi". Eseguono dei rituali, ripetono delle azioni o dei gesti, funzionali proprio a contenere il disagio. "Facciamo un esempio: chi ha il dubbio di non aver chiuso il gas torna e ritorna finché non si sentirà tranquillo. Si tratta di rituali di controllo che servono per assicurarsi di aver fatto bene le cose". 

Le ossessioni più comuni

Una delle ossessioni più comuni nell'ultimo anno è sicuramente stata quella da Covid-19. "La paura di contrarre o trasmettere un virus è un classico del disturbo ossessivo compulsivo". Ma accanto a questo ci sono altri pensieri che possono dominare la nostra mente: "Ad esempio la paura di una catastrofe: incendio, allagamento, scoppio. Di arrecare dei danni per una propria responsabilità e che la casa ad esempio possa scoppiare perché si è dimenticato il gas acceso. Oppure la paura che possano entrare dei ladri in casa perché non ho chiuso la porta,". In questi casi vediamo che nel pensiero si annida un elemento di responsabilità. "È tipico del disturbo ossessivo compulsivo preoccuparsi di non cagionare un danno agli altri per una propria responsabilità". In altri casi invece le ossessioni riguardano credenze o superstizioni. "Eseguo dei riti scaramantici, seguo regole magiche perché così sono sicuro che non accadrà niente di male per causa mia". Infine ci sono le ossessioni che hanno un contenuto moralmente o socialmente inaccettabile. "In questo caso si tratta di immagini aggressive, violente, come il pensiero di far del male a qualcuno, in particolare le persone deboli o indifese, o di procurarsi del male da soli, succede a chi si affaccia a una finestra e comincia a avvitarsi dietro un pensiero come la volontà di buttarsi di sotto". Ci sono anche pensieri di tipo sessuale o ossessioni blasfeme. "La caratteristica di tutte queste ossessioni è proprio la ripetizione. Non si presentano una volta, ma dieci, cento, mille volte al giorno. Fino a spaventare la persona che ne soffre che proverà poi a dominarli mettendo in atto dei comportamenti compulsivi o evitando le situazioni che le attivano"".

Quali sono le cause del disturbo ossessivo compulsivo

Trattandosi di un disturbo psicologico è difficile stabilire in maniera netta o delineata un rapporto di causa effetto, c'è sempre una componente legata al proprio vissuto e alle proprie vulnerabilità. "Tuttavia esiste un elemento comune a tutte le persone che soffrono di questo disturbo. Ed è l'alta sensibilità morale. Una forte tendenza a sperimentare senso di colpa e alla necessità di mantenere la percezione di essere una persona perbene, attenta e responsabile. Un esempio: una persona che si lava in maniera compulsiva le mani quasi mai ha paura di essere contagiato, ma è terrorizzato dall'idea di essere veicolo del virus". Si tratta di un fattore che ha le sue radici nell'educazione ricevuta sin da bambini. "Poi ci possono essere degli eventi nel corso della vita che fanno precipitare la situazione fino a causare l'insorgere del disturbo. Spesso si tratta di situazioni di vita che hanno fatto sentire la persona manchevole dal punto di vista morale"". 

Quando ci sono più ossessioni

Il disturbo ossessivo compulsivo non riguarda quasi mai una sola ossessione. "Quasi tutte le persone hanno una preoccupazione prevalente, ma le ossessioni sono sempre più di una". L'ossessione cambia, ma il meccanismo resta sempre lo stesso. "La persona che ne soffre oggi si preoccupa perché si è rotto un bicchiere e ha il terrore dei vetri rotti e che qualcuno si faccia male. Domani toccherà qualcosa che ritiene sporco e inizierà a sterilizzare tutto, dopodomani deciderà di smettere di guidare per paura di provocare involontariamente un incidente". La presenza di più ossessioni purtroppo è la regola e non l'eccezione.

Un disturbo invalidante

Tutti quelli che ne soffrono lo definiscono un disturbo subdolo. Inizia in maniera sotterranea, la persona che ne soffre quasi non se ne accorge, poi piano piano emerge fino a travolgere la persona che ne soffre. "Ha un andamento particolare. È un crescendo. Le persone all'inizio non credono di avere qualcosa di patologico. La consapevolezza arriva quando capiscono che i comportamenti che mettono in atto sono sproporzionati rispetto all'entità di quello che fanno". Ed è proprio l'invalidazione che fa capire che si è di fronte a un problema. "I rituali portano via tantissimo tempo e devono essere assolutamente svolti sono inderogabili. Ma possono occupare anche ore nel corso della giornata e vanno portati avanti a qualunque costo. Non c'è più possibilità di scelta. Fino a che la persona si accorge di essere schiava di questo meccanismo". Il disturbo ossessivo compulsivo oltre a provocare la messa a punto di rituali può causare anche l'evitamento di alcune situazioni. "Chi soffre di questo problema inizierà a non fare più le cose che lo preoccupano. Chi ha paura di causare incidenti non prenderà più l'auto ad esempio. Le ripercussioni sulla vita possono essere davvero molto pesanti".

La risposta è la terapia cognitiva

In alcuni casi questo disturbo si manifesta anche nei bambini: "Durante l'età evolutiva è più frequente nei maschi, ma si tratta di fasi transitorie relativamente normali che recedono spontaneamente per cui non serve alcun tipo di terapia". Diverso è il caso del disturbo che insorge in adolescenza o in età adulta. "In questi casi il disturbo si è strutturato e ha preso possesso della vita della persona. E purtroppo è impossibile che passi in maniera spontanea. Un intervento con un esperto è sempre necessario". La cura d'elezione è la psicoterapia cognitivo comportamentale. "Può essere anche relativamente breve, ma la durata è difficilmente inferiore agli 8-12 mesi". La terapia è sempre mirata al sintomo. "È molto centrata sul disturbo in sé e si ottengono ottimi risultati. Pensiamo alle persone che devono lavarsi le mani ogni qualvolta tocchino qualcosa. In casi come questo l'intervento è finalizzato alla riduzione graduale di questo comportamento. Quando la psicoterapia non basta si valuterà anche l'utilizzo di farmaci". Nel caso invece di disturbi in cui la ritualità non sia visibile dall'esterno (ad esempio le ossessioni che riguardano gli impulsi sessuali) il lavoro con lo psicoterapeuta avrà un'altra impostazione. "Anche se dal punto di vista del funzionamento del disturbo, non ci sono differenze, in quel caso ci sarà un lavoro più profondo di tipo cognitivo".

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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