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Opinioni

Da oggi le donne lavoreranno senza guadagnare. È il gender pay gap, ed è un enorme problema

Il 4 novembre è stato l’Equal Pay Day: la giornata simbolo dopo la quale una donna lavorerà senza percepire più uno stipendio. Quella che sembra una provocazione è realtà: a parità di mansione, una donna guadagna il 16 per cento in meno di un uomo. Come due mesi di retribuzione. Costanza Hermanin, con la campagna #StessaPaga e #GiustoMezzo, porta sui social (e in Parlamento) lo squilibrio economico di genere.
A cura di Giulia Torlone
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Immaginate se da oggi, fino alla fine dell’anno, una donna non percepisse più alcuno stipendio, pur lavorando nell’esatta misura di ieri. Sembra fantascienza? Eppure è la realtà. Questa è la forbice perfetta del divario tra il salario maschile e femminile a parità di mansione: una donna guadagna in meno una percentuale che equivale a due interi mesi di lavoro.

Continuare a lavorare gratis: le donne chiedono #StessaPaga

Il 4 novembre ha segnato la data in cui una donna smette di guadagnare: è l’Equal Pay Day, un giorno indicativo per l’Europa. Per questo si può dire che da oggi, ogni donna lavorerà gratis mentre il suo collega uomo continuerà a percepire lo stipendio di sempre. A questo proposito Prime Donne, la scuola di politica al femminile di +Europa, ha lanciato sui social la campagna #StessaPaga, con cui denuncia apertamente la discriminazione salariale chiedendo misure per la trasparenza di remunerazioni e contratti. Costanza Hermanin, docente universitaria, europeista e membro della Direzione di +Europa, commenta con Fanpage.it la situazione italiana della discriminazione di genere a livello economico.

Nel panorama mondiale, l’Italia è al 125 posto su 153 per parità salariale, un dato allarmante. Questo riguarda il fatto che la Banca Mondiale tiene in considerazione non solo la differenza salariale per i contratti a tempo indeterminato, ma anche la differenza media tra i salari del part-time e full time (che viene pagato meno l’ora) il quale viene preso per lo più dalle donne. 1 donna su 3 lavora part-time, tra gli uomini solo l’8 per cento. Tutta questa differenza si nota ancor di più sulle pensioni: le donne italiane guadagnano il 40 per cento in meno degli uomini. La pensione media è di 8000 euro l’anno contro gli 11.400.

La questione salariale deriva dalla gestione dei ruoli familiari ancora totalmente tradizionali. Il peso della famiglia sulle spalle delle donne è amplificato ancor di più con il Covid, dove sono fioccate numerosissime richieste di dimissioni femminili triplicando la disoccupazione femminile in pochi mesi.

Questo è perché mancano supporti e servizi per bambini e anziani, che sono minimi in Italia. Non ci sono neanche congedi di paternità veri e propri, come nel resto d’Europa. Alla nascita di un figlio, un uomo ha diritto a un congedo di paternità di 5 giorni, ma se si sposasse avrebbe diritto a 15 giorni retribuiti. È una concezione della famiglia medievale.

La necessità di riforme strutturali per l'occupazione femminile

Per colmare questa disparità, l’iniziativa più concreta che si sta portando avanti è quella de "Il Giusto Mezzo", il cui proposito è fare pressione al Governo per utilizzare il 50 per cento dei fondi del Recovery Fund per le donne.

La maggior parte del Recovery Fund, secondo le direttive Ue, deve essere speso per la transizione ecologica e per quella digitale: due settori a fortissimo impiego maschile. Rischiamo, quindi, che se tutti i fondi venissero impiegati lì, le differenze di genere si acuiscano ancor di più. La proposta del Giusto Mezzo è quindi che la metà dei fondi del Recovery sia impiegata per il sostegno all’attività femminile, solo così si compenserebbero i fondi che andranno solo sulla transizione ambientale. Soldi per finanziamenti agevolati per le imprese femminili, per il piano speciale per la costruzione degli asili, tutti i servizi che liberino le donne dal peso familiare e che le riportino a lavoro.

Al di là della giustizia sociale, c’è un aspetto meramente economico: secondo le maggiori istituzioni politico-finanziarie mondiali e secondo i rapporti di Banca d’Italia, se aumentassimo il tasso di impiego delle donne il Pil aumenterebbe più che con qualsiasi altra misura di politica economica. In Italia c’è un 20 per cento di differenza tra tasso d’impiego delle donne e quello degli uomini (il 50 contro il 70). In Europa sembra che si stiano muovendo sulla strada più giusta, in Italia chissà. Continueremo a tenere alta l'attenzione.

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Trent’anni, giornalista professionista, si occupa di politica e questioni di genere tra web, carta stampata e tv. Aquilana di nascita, ha studiato Italianistica a Firenze con una tesi sul rapporto tra gli intellettuali e il potere negli anni duemila. Da tre anni è a Roma, dedicando anima e cuore al giornalismo. Naturalmente polemica e amante delle cose complicate, osserva e scrive per capirci di più, o per porsi ancora più domande. Profondamente convinta che le donne cambieranno il mondo. 
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