L’hanno ribattezzato sofa-gate, ma a tratti sembra il più classico gioco della sedia. La presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen che, in visita ad Ankara con il presidente del Consiglio europeo Charles Michel viene ricevuta dal premier turco Erdogan che la fa accomodare su un divano laterale, anziché sulla sedia accanto a sé, come è stato fatto con Michel.
Erdogan e il machismo al potere
Si è discusso tanto dell’accaduto, si sono levate voci da più parti che hanno additato Erdogan come misogino, irrispettoso dei valori europei, spavaldo machista. Tutte cose reali e ben note, nulla di nuovo sotto il cielo turco insomma. Considerando poi che solo qualche settimana Erdogan ha ritirato il suo Paese dal Convenzione di Istanbul, utile per contrastare la violenza di genere, la dice lunga sulla considerazione che il sultano ha delle donne. In queste ore si è analizzato il protocollo ufficiale, da Ankara hanno rigettato le accuse di maschilismo appellandosi proprio alla regola seconda la quale nelle missioni all’estero il presidente del Consiglio UE ha maggiore rilevanza rispetto alla Commissaria. È evidente che ci si stia arrampicando sugli specchi, considerando che è prassi consolidata il considerare Michel e von der Leyen alla pari in ogni missione internazionale che si sia svolta dall’inizio del loro mandato.
Il cuore della faccenda è il silenzio di Charles Michel
Quello di cui si è discusso poco è il ruolo di Charles Michel nella vicenda. Ancora una volta abbiamo disquisito sui social di quanto fosse stato inopportuno accettare di sedersi sul divano da parte di von der Leyen, molto meno di quanto fosse invece necessario che Michel rimanesse in piedi. Sì, perché la prima cosa a cui bisognerebbe pensare quando accadono episodi come questi è che la passività vuol dire complicità. Quante volte abbiamo sentito ripetere “non tutti gli uomini sono violenti”, “non tutti gli uomini sono maschilisti”? Migliaia. Ma quante volte abbiamo invece sentito raccontare che un uomo si sia alzato mentre sentiva fare una battuta sessista, abbia risposto a tono quando il suo capo molestava una collega, ribellarsi quando il salario della vicina di scrivania era più basso del suo? E quando gli uomini hanno protestato in piazza quando la propria compagna veniva licenziata per una gravidanza o perché non aveva accettato le avance del suo superiore? Poche. Sempre troppo poche da non essere diventate neanche notizia.
Non esprimere il dissenso ad alta voce vuol dire perpetrare il maschilismo
Ecco perché il punto di osservazione, il soggetto su cui la nostra attenzione dovrebbe focalizzarsi è proprio quello del presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Lui che guarda von der Leyen sedersi in disparte mentre è comodamente sistemato in poltrona senza battere ciglio. È importante riflettere su questo perché dà la chiara misura del perché non basta che tutti gli uomini non siano maschilisti, bisogna che chi lo è esprima a gran voce il proprio dissenso quando c’è un atteggiamento discriminatorio nei confronti delle donne. Devono interrompere queste pratiche tanto quanto è richiesto di farlo a una donna. Bisogna indignarsi, essere parte attiva in questo processo di cambiamento che riguarda ognuno di noi. Michel era visibilmente in imbarazzo eppure, come da prassi, si è reso parte attiva di questo machismo istituzionale. Non basta più professarsi non maschilisti se alle parole non seguono i fatti. Mettere in discussione privilegi e status quo che gli uomini hanno ricevuto in dono è l’unica vera forma di egualitarismo attivo. La viltà è parte del problema, come la responsabilità di Charles Michel di non aver rifiutato quell’unica sedia.