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Che cos’è il greenwashing: non tutto ciò che è ‘verde’ è amico dell’ambiente

La sostenibilità ambientale è il nuovo mantra di molti settori: ma spesso si tratta solo di una strategia di marketing. Si chiama greenwashing ed è un fenomeno insidioso, perché ci spinge a comprare senza sensi di colpa, pensando di aver aiutato l’ambiente con un nuovo paio di jeans o una crema per il viso.
A cura di Beatrice Manca
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Nelle corsie del supermercato, nei negozi di cosmetici e perfino nelle linee di abbigliamento: basta guardarsi intorno per capire che la nuova parola d'ordine del marketing è "green". Dai prodotti beauty fatti "con materie prime di origine naturale" fino ai jeans con cotone bio o fibre riciclate, la sostenibilità ambientale è diventata un mantra di ogni settore. L'intenzione è più che nobile: la salvaguardia del pianeta dovrebbe essere la priorità per tutti. Ma siamo sicuri che le etichette verdi dicano la verità sulla sostenibilità dei prodotti? Attenzione al greenwashing, cioé l'arte di far passare per "sostenibile" qualcosa che non lo è. Il fenomeno è così diffuso che nel Regno Unito l’Autorità per la concorrenza e i mercati ha stilato un "Green Claims Code" per regolare le dichiarazioni fatte dalle aziende.

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Cosa significa greenwashing

Il termine greenwashing deriva dall'unione tra "green", verde, e whitewashing, cioé "imbiancare", nel senso di nascondere, dissimulare. Si tratta quindi di una tecnica di marketing che sfrutta il tema della sostenibilità ambientale solo perché caro ai clienti, nascondendo però il reale impatto dei prodotti sul pianeta oppure continuando a produrre in modo inquinante e pericoloso. Esistono varie sfaccettature del fenomeno del whitewashing: una è il pinkwashing, cioé sfruttare il femminismo solo a scopo commerciale, senza poi impegnarsi concretamente per la causa, e un'altra è il rainbow washing, che fa lo stesso ma con la comunità Lgbtq+. Un settore particolarmente sotto accusa è quello della moda: dall'haute couture ai brand low cost, la maggior parte dei brand ha creato linee "sostenibili" o "rigenerate". Anche se l'etichetta del singolo capo fosse veritiera, il problema è a monte: la produzione di massa dell'industria tessile ha costi enormi sull'ambiente. L'attivista climatica Greta Thunberg si è scagliata molto duramente contro la moda: in un'intervista a Vogue Scandinavia ha lanciato un duro j'accuse contro il settore moda, dicendo che non è possibile continuare a produrre a questo ritmo e parlare di sostenibilità ambientale. Nella maggior parte dei casi, ha detto senza mezzi termini, si tratta proprio di greenwashing. La sostenibilità inoltre è un concetto ampio: non si parla solo di inquinamento, ma an che del benessere e della sicurezza dei lavoratori coinvolti nella filiera.

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Per essere veramente sostenibili bisogna cambiare abitudini

Greta Thunberg sostiene che non può esistere alcun capo "verde" se il settore continuerà a produrre questi ritmi. Pensiamo soprattutto alle catene di fast-fashion, che ci hanno abituato a una moda "usa e getta": i prezzi bassi permettono di indossarli poche volte e gettarli via. Questo però comporta un grande uso di risorse, per non parlare degli agenti inquinanti usati nella filiera. Per questo il greenwashing è un fenomeno particolarmente pericoloso: ci spinge a comprare un capo di cui magari non abbiamo bisogno liberandoci dal "senso di colpa" del consumismo. L'etichetta "verde" ci assolve e ci fa pensare che con il nostro acquisto abbiamo aiutato l'ambiente. Ma in generale, la scelta più "eco" che possiamo fare è quella di sfruttare pienamente ciò che abbiamo già, riparandolo e riutilizzandolo il più a lungo possibile. Un jeans in fibre riciclate può essere un'ottima alternativa a un jeans "normale", ma solo se l'acquisto è veramente necessario. Altrimenti, è solo consumismo "green".

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