Credo che quella di quest'anno possa essere definita la festa del papà più discussa di sempre. Sembrerebbe infatti che in alcune scuole italiane le maestre abbiano deciso di non celebrare la figura maschile per rispettare tutti coloro che non ce l'hanno, vuoi per lutti, vuoi perché figli di divorziati o vuoi perché (e questo è il vero scoglio del 2016) figli di coppie gay. In pratica, secondo alcuni insegnanti, le molteplici forme di famiglia confonderebbero i bambini al punto da sostenere la necessità di non festeggiare i papà. E così, niente letterine, niente regali, niente pensierini e via dicendo. Ma siamo sicuri che sarà davvero così?
Dopo i prevedibili allarmismi dei difensori dell'utero e della famiglia del Mulino Bianco, ovviamente è venuto fuori che le informazioni veicolate erano state gonfiate e quindi nessun papà avrebbe perso l'occasione di essere celebrato dai propri figli. La festa del papà di quest'anno però, a mio avviso, non è diversa dal solito ‘solo' a causa di queste tristi motivazioni, ma anche, e soprattutto, per il nuovo volto dei papà. Si dice che in passato quella del papà fosse una presenza/assenza, l'uomo di casa che usciva presto la mattina e tornava tardi la sera e che si perdeva i momenti più importanti della vita dei figli a causa del lavoro necessario per “portare avanti la baracca”.
Oggi invece i papà sembrerebbero essere più partecipativi, come se avessero trovato un senso di paternità soffocato in passato dai ruoli imposti dalla (guarda caso) famiglia tradizionale. Se questa visione attuale della figura del papà mi piace, resto dell'idea che non sia corretto accusare i padri del passato che, volentieri, avrebbero trascorso più tempo con i figli se la società fosse stata quella attuale. La precarietà, la cassa integrazione, la disoccupazione, i nuovi lavori che offrono nuove tipologie di orari e di turni, il desiderio delle donne di voler affermarsi come individui (anche lavoratori) e non solo come madri, la lontananza dai nonni in seguito a ‘emigrazioni' per lavoro, sono tutti elementi che hanno, a mio avviso, permesso ai padri di esprimersi non solo come bancomat, ma anche come affettuosi insegnanti e intrattenitori.
Il 2016 è l'anno dei Papà 3.0, come li definiscono i ragazzi di un gruppo Facebook all'interno del quale i ‘nuovi papà' si confrontano e si aiutano a risolvere dubbi e perplessità legati alla paternità, un po' come accadeva qualche anno fa tra le mamme e i vari forum ‘femminili', per non parlare della marea di blog creati ad hoc per affrontare la maternità.
Il 2016 è l'anno in cui noi, che abbiamo avuto molto da criticare ai nostri padri, dovremmo chiederci quanta dell'assenza che hanno prodotto sia stata frutto di una loro volontà o di una nostra necessità. Insomma, il ruolo della madre è stato quel che è stato perché la società era diversa, perché la donna ‘doveva' stare a casa ad occuparsi dei figli e l'uomo a recuperare i soldi necessari per darci un futuro.
A vedere Facebook e Instagram sembrerebbe che questa nuova ed equiparata società abbia reso la paternità più semplice, più divertente e più apprezzata, sembrerebbe che i papà riescano ad avere più tempo per i loro figli: ma non dimentichiamoci che i social network non rappresentano la realtà, una foto pubblicata non racconta una vita condivisa. Sono convinta che se mio padre ne avesse avuto l'opportunità, avrebbe scelto di trascorrere più ore con me e mio fratello e non per farsi selfie da postare su Facebook o Instagram, ma semplicemente per il gusto di "fare qualcosa insieme". È vero, ci sono padri che sia oggi, che ieri o che domani, assenti sono e assenti rimangono, che della paternità non gli importa nulla, così come non hanno interesse a partecipare alla vita dei figli, ma in questa discussa festa del papà vorrei che noi figli cercassimo di metterci nei panni dei nostri papà per provare a comprenderli di più e osservarli come persone, con i loro difetti e i loro errori, ma anche con i loro pregi e le piccole azioni quotidiane che li rendono unici.
[Foto copertina di PublicDomainPictures]