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Benedetta, modella disabile che sfida i pregiudizi: «Ero con un uomo e mi hanno detto: è il badante?»

Nata con una disabilità motoria che l’ha costretta a ben 18 interventi, Benedetta De Luca non si è fatta fermare da chi le diceva che non avrebbe potuto fare le stesse cose degli altri. Ha fatto della sua passione per la moda un lavoro, come modella e organizzatrice di sfilate inclusive. Sui social ironizza sulla carrozzina e cerca di far capire che una donna può essere femminile e sensuale anche con le stampelle.
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A cura di Giusy Dente
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Sul suo profilo Instagram Benedetta De Luca si descrive influencer, disability  model, founder di un marchio di abbigliamento e praticante avvocato: la 32enne non è certo una persona che rifugge le sfide della vita, ma anzi non sta mai ferma e con determinazione porta avanti le sue passioni e i suoi impegni con grande autonomia e spirito propositivo. Per lei c'è una difficoltà oggettiva maggiore, rispetto a chiunque altro: dalla nascita convive con una disabilità motoria che l'ha portata 18 volte in sala operatoria e la obbliga a usare stampelle e sedia a rotelle. Non è stato facile accettare la malattia, ma crescendo Benedetta ha imparato a trarre dalla sua situazione quanto più positivo possibile: la chiave per riuscirci è stata eliminare i limiti. Questa parola non fa parte del suo vocabolario e infatti è riuscita a portare a compimento tutti i suoi progetti, ponendosi sempre nuovi obiettivi davanti. Li ha raccontati tutti a Fanpage.it, svelando anche il nuovo viaggio intrapreso: la stesura di un'autobiografia che, come spiega lei stessa: «Infrangerà ogni tipo di imbarazzo spazzando via la disabilità con una risata e trasmettendo una maggiore consapevolezza del valore della diversità».

Benedetta De Luca, dall'ospedale alla passerella

Nata a Salerno il 21 dicembre 1987, Benedetta De Luca convive da quel giorno con una malformazione congenita rara, l'agenesia del sacro. Gli ospedali, i ricoveri, le terapie, le operazioni chirurgiche, le cicatrici: ha dovuto fare i conti con esperienze difficili, che quotidianamente le facevano pensare di non essere come le sue coetanee. Ma a dispetto di chi le ricordava che nella sua vita non avrebbe potuto fare le stesse cose degli altri e a dispetto degli sguardi di chi si focalizzava solo sulla sua carrozzina, lei ha scelto di spostare l'attenzione su altro. E quando è cambiato il suo modo di guardarsi è cambiato anche quello della società. Oggi, dopo la Laurea in Giurisprudenza, lavora anche nel mondo della moda e organizza sfilate con modelle disabili provenienti da tutta Italia.

Convivi dalla nascita con una disabilità motoria, di cui sei riuscita a fare un punto di forza: è sempre stato così il rapporto col tuo corpo?

Ci sono arrivata col tempo. Ho cercato di raggiungere un equilibrio dentro di me, ma non è stato facile accettare il mio corpo, le mie cicatrici, il mio vedermi diversa dalle coetanee. Ma ho deciso di amarmi e ho capito che così facendo anche gli altri iniziavano a vedere oltre alla mia disabilità. Se io non proiettavo tutta la mia persona sulla mia disabilità, se io iniziavo a non vergognarmene ma a valorizzare altro del mio corpo e della mia persona, anche gli altri lo facevano. Poi la bellezza è anche nell'intelligenza, nello charme: un corpo perfetto o un viso perfetto non sono tutto. Ovviamente quando si ha un limite oggettivo come una disabilità è inevitabile fare i conti con questi limiti e queste barriere mentali, ma il mondo si può cambiare senza aspettare che lo facciano gli altri. Bisogna crederci e amarsi.

Qual è stata la molla che ti ha spinto a diventare disability model?

Quando sono stata scelta per sfilare ero emozionatissima, la moda mi è sempre piaciuta, sfogliavo le riviste sin da bambina, le divoravo. Sognavo di poter essere una modella per questo è scattata poi la molla di dire: oltre a fare la modella voglio proprio farmi portavoce di questo messaggio, far capire al mondo che l'inclusione deve essere una parola d'ordine della moda; far capire a donne e uomini di amarsi e non vergognarsi di caratteristiche fisiche come una disabilità, cellulite, un chilo in più o un chilo in meno, una ruga in più o in meno.

E infatti questa parola è anche nel tuo marchio di moda, Italian Inclusive Fashion…

Quel marchio nasce per realizzare abiti eleganti, ma pratici per chi ha una disabilità. Organizzando diverse sfilate mi sono accorta della difficoltà di indossare un abito, da parte di modelle in carrozzina o con problemi di coordinazione motoria. Questo mi ha spinto ad andare oltre: anche una donna in carrozzina ha diritto di indossare un bell'abito lungo con uno strascico bellissimo e sentirsi elegante. Sono abiti adattabili, per chiunque, non destinati a persone con disabilità ma con piccole modifiche che li rendono adattabili. L'idea è lasciare intatta l'eleganza dell'abito, rendendolo alla portata di tutti, senza limiti.

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Cosa provi quando sei davanti all'obiettivo fotografico?

Inizialmente tendevo a coprire le cicatrici (ne ho più di 18) e lo facevo anche sui social: nascondevo la sedia a rotelle e la mia disabilità. Poi ho deciso di renderlo da "punto debole" a caratteristica di unicità, di non vergognarmi di nulla. Non le mostro come "fenomeno di baraccone" ma fiera.

Ti esponi molto sui social, ironizzando sui cosiddetti difetti, sulle tue gambe e sulle stampelle: ricevi critiche?

Il percorso social l'ho iniziato da poco, anche se l'autoironia mi ha sempre contraddistinto: penso sia un condimento essenziale nella vita, non solo nella disabilità. Usata nella disabilità sfidiamo i tabù, se usata con intelligenza e rispetto, che sono fondamentali. In questo modo ben venga per eliminare barriere mentali e far capire questo mondo col sorriso. Sui social ci sto riuscendo: su 100 mila commenti positivi magari due mi dicono di non fare ironia sulla disabilità. E la cosa che mi fa sorridere è che lo scrivono persone con disabilità. Non mi ferisce, però vuol dire che c'è ancora qualcosa da fare.

Sei stata vittima di bullismo? 

Sono stata vittima di bullismo nel periodo scolastico, anche una professoressa ricordo che mi disse: tu non puoi fare determinate cose. Quella frase mi ha invece spinto a fare sempre di più. Oggi c'è molta derisione del corpo, si parla tanto di body shaming, quindi si prende di mira una parte del corpo: nel mio caso la disabilità. È una piaga: un corpo troppo grasso, troppo magro, che non corrisponde ai parametri della società. C'è da fare ancora tanto ed è un argomento da trattare, perché chi viene preso di mira può avere ripercussioni. Chiara Ferragni, Emma Marrone, Vanessa Incontrada: loro fanno tanta sensibilizzazione. Comunque poi chi offende si nasconde dietro un profilo falso: il vero debole è chi deride, sono persone piene di odio, sono fragili.

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Quali sono i cliché più comuni, quando si pensa a una ragazza disabile?

Che non si può essere femminile, che non si può essere sensuali, che una donna disabile non può essere mamma; quando ti vedono con un uomo pensano sia un fratello. Una volta mi è stato detto: è il tuo badante? Come se una donna con disabilità non potesse avere una relazione amorosa e sessuale come chiunque altro. Ricordo bene gli sguardi degli uomini: finché stavo seduta andavo bene, poi mi vedevano in piedi con stampelle o carrozzina e gli sguardi inevitabilmente cambiavano. 

La moda è inclusiva o ancora legata a stereotipi di perfezione?

La moda sta cambiando, fortunatamente sulle passarelle vediamo ogni tipo di donna. Forse quello che prima ci sembrava diverso oggi non lo è più. Sta cambiando anche grazie ai social, prima era irraggiungibile, oggi è entrata un po' di più nelle case. Tendenzialmente la moda è alla ricerca della perfezione, ma qualcosa sta cambiando e i brand si stanno adeguando. 

Cosa sono per te bellezza e femminilità?

La bellezza non è nella perfezione, sta nell'autostima che va allenata come in palestra: guardarsi allo specchio e amarsi. Non è retorica, io da quando ho cambiato il mio approccio alla mia esteriorità è tutto più facile. Vorrei che tutti lo facessero. La perfezione non esiste, nemmeno le modelle lo sono, è irraggiungibile. Se ti fa star bene truccarti, fallo. Se ti va di stare i pigiama, fallo. L'importante è stare bene con se stessi senza cercare qualcosa che non esiste, che non ti appartiene.

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