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Ansia e paura del contatto sociale: perché il rientro a scuola per gli adolescenti è così faticoso

Il rientro a scuola per i ragazzi, per quanto desiderato, è stato tutt’altro che semplice. Ansia da prestazione, timore per il contatto sociale e impossibilità di immaginare il futuro stanno caratterizzando le vite degli adolescenti. Lo psicologo Lavenia ci spiega come possiamo stare loro vicino e perché la DAD secondo il suo parere non è una valida alternativa alla scuola.
Intervista a Dott. Giuseppe Lavenia
Psicologo, psicoterapeuta, docente universitario, e presidente dell’Associazione Nazionale Di.Te. (Dipendenze Tecnologiche)
A cura di Francesca Parlato
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Per gli adolescenti il rientro a scuola per quanto agognato è stato tutt'altro che sereno. Dopo mesi passati chiusi in casa a guardare compagni e docenti attraverso uno schermo, il ritorno tra i banchi (con o senza rotelle) non è stato affatto facile. "Secondo gli ultimi dati rilevati il 38% degli adolescenti ha vissuto con molta ansia il rientro a scuola" ha spiegato a Fanpage.it il dottor Giuseppe Lavenia, psicoterapeuta, docente universitario, e presidente dell’Associazione Nazionale Di.Te. (Dipendenze Tecnologiche). Ma in questo caso il contagio e la paura del Coronavirus non c'entrano nulla. Quella che vivono i ragazzi è un'ansia da prestazione: "Dopo tanti mesi chiusi in casa stanno iniziando ad avere paura di non essere all'altezza delle lezioni, delle amicizie. Pensano di non essere più pronti".

Il contatto sociale che spaventa

Nel corso di quest'ultimo anno abbiamo perso l'abitudine a essere circondati da altre persone, non è strano quindi che i più giovani oggi abbiano delle grandi difficoltà nel ritornare a condividere le aule con i loro compagni. "Il contatto sociale ormai spaventa i ragazzi. In alcuni sono scattati dei veri e propri meccanismi depressivi, in altri ansia e irritabilità, in altri ancora è arrivato l'autolesionismo". Con la pandemia abbiamo perso di vista l'altra funzione primaria della scuola, sostiene il dottor Lavenia: "Ci siamo dimenticati che la scuola non è esclusivamente il luogo della formazione, ma anche quello dell'educazione. È qui che si imparano tutti gli aspetti della relazionalità e della socialità". E ai presidenti delle regioni che hanno stentato a riaprire le scuole per un senso di responsabilità, lo psicologo risponde dicendo che è proprio a scuola che si acquisisce il senso della responsabilità. "Noi adulti che esempio stiamo dando? Comportandoci in questo modo li abbiamo colpevolizzati, abbiamo fatto credere loro che fossero colpevoli dei contagi. Un atteggiamento ingiusto".

Emozioni e sentimenti

Tutti i dispositivi tecnologici sono fondati sulle emozioni, sulla capacità di suscitare reazioni in chi li usa, ma emozione non vuol dire sentimento. "Il legame che si può sviluppare in una relazione face-to-face, ha tutto un altro valore". La tecnologia è un filtro, che impedisce e limita lo sviluppo di relazioni d'amore e di amicizia. "Abbiamo tolto loro anche la possibilità di costruire le prime relazioni intime e amorose". E se la Didattica a Distanza può essere utile per la prosecuzione del normale programma scolastico, è ben lontana dal fornire un adeguato supporto alla socializzazione. "Fare squadra è fondamentale per i ragazzi. Purtroppo la DAD ha fallito, non bisogna avere paura di dirlo. Non possiamo dire che la DAD è come la scuola, potrà essere un'alternativa valida in futuro se ben strutturata e ragionata. Ma oggi come oggi non lo è".

I giovani senza futuro

L'altro dato più allarmante riguarda le prospettive dei giovani: "Durante il primo lockdown il 35% dei ragazzi intervistati in un sondaggio ha dichiarato di non riuscire a immaginare il proprio futuro – ha spiegato il dottor Lavenia – Oggi la percentuale è salita al 40%. Non immaginare il futuro, significa non desiderare, non avere una visione. E togliere questo a un ragazzo vuol dire togliergli tutto". E accanto all'impossibilità di vedere il proprio futuro sono aumentate le forme di depressione e di isolamento sociale. "Casi di questo genere sono in costante aumento. Molti ragazzi si isolano, altri fanno atti di autolesionismo, si procurano del male da soli, altri ancora sono vittime di cyberbullismo".

Come aiutare gli adolescenti

 Per un genitore può non essere facile accorgersi del disagio di un figlio, ma se i segnali sono chiari il primo modo per aiutarli non è chiedergli cosa provano o perché appaiono più stanchi o tristi del solito: "Meglio andare diritti sul ‘Come ti posso aiutare'. Una domanda del genere costituisce un ottimo traguardo. Poi è importante, con tutte le dovute cautele, riattivare la presenza degli amici in casa, per far capire loro che scuola vuol dire anche questo". E altrettanto necessario è dimostrare loro empatia, comprensione. "Bisogna dire ai figli che comprendiamo il loro disagio. La loro autonomia è stata completamente invasa, durante questi mesi hanno perso la loro intimità, anche un semplice sfogo è diventato impossibile". Infine prendiamoci il tempo per ringraziarli. "Dire grazie per il sacrificio che hanno affrontato e stanno affrontando. I ragazzi sono stati incolpati di essere incoscienti, di non aver avuto cura delle regole, ma sono proprio loro che hanno patito il disagio più grande, rinunciando a una parte fondamentale della loro vita. Per questi motivi dobbiamo dire loro grazie".

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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