Che il lockdown abbia pesato in maniera incomparabile sulle famiglie con figli in età scolare era facilmente prevedibile. Tra incertezza sulla riapertura, didattica a distanza, un Paese ancora poco connesso, i tre mesi di distanziamento sociale sono stati un incubo per numerosissime famiglie. Tutto questo, però, sembra essere pesato in maniera decisamente maggiore sulle donne.
La Didattica a distanza sulle spalle delle madri
A svelarlo è una ricerca dell’Università Bicocca di Milano, in un’indagine su quella famosa didattica a distanza a cui sono stati obbligati bambini e adolescenti. I quesiti inviati a oltre settemila nuclei familiari hanno avuto risposta nel 94 per cento dei casi dalle madri, a dimostrazione del fatto che sono proprio loro ad essersi occupate della gestione scolastica dei figli. Lo scopo della ricerca, secondo quanto riportato dall’Agi attraverso le parole della professoressa Giulia Pastori, pedagogista dell’università Bicocca di Milano, era quello di capire e analizzare le ripercussioni sociali della Dad. A questo proposito, ben il 65 per cento delle madri intervistate ha ritenuto che le lezioni da casa siano state totalmente incompatibili con il loro lavoro. Da qui, alla domanda diretta se abbiano pensato di lasciare il lavoro nel caso ci fosse un secondo lockdown causato dal coronavirus (o se il Governo decidesse di proseguire con la Dad), il 30 per cento ha risposto in maniera affermativa. Si stima che le madri, da marzo a maggio scorsi, abbiano dedicato ben 4 ore al giorno ad aiutare i propri figli con i compiti: praticamente un lavoro part-time che si aggiunge a quello che una donna ha già e al tempo utilizzato per la cura della casa, ancora appannaggio femminile nella stragrande maggioranza dei casi.
Scuole chiuse e nessuna alternativa
Secondo quanto riportato nella ricerca, l’Italia sembra essere stata l’unico Paese in Europa a chiudere tutte le scuole di ogni ordine e grado senza trovare una soluzione alternativa se non quella di lasciare tutto il peso sulle spalle delle madri. È chiaro che ora, alla sola idea di un possibile ritorno alla didattica a distanza da settembre, quelle stesse mamme si sentano in preda al terrore. Da un lato c’è la consapevolezza che la scuola italiana non abbia le strutture adeguate al distanziamento sociale e una concezione della pedagogia ancora vecchio stampo. Dall’altro c’è il timore che, per sopperire a tutto questo, in caso di una nuova ondata di Covid, siano ancora le donne a dover fare i salti mortali per conciliare famiglia e lavoro. Ovvio che in una situazione di così grande stress fisico e psicologico, molte madri siano costrette a lasciare il lavoro.
Rinunciare al lavoro per sopperire ad un welfare inesistente
La ricerca dell’Università Bicocca di Milano ci mostra ancora una volta le scelte miopi di chi ci rappresenta, che predilige continuamente soluzioni familistiche e d’urgenza rispetto a quelle strutturali. Che una donna si senta obbligata a rinunciare al proprio lavoro, che spesso vuol dire anche la propria identità, per tenere in piedi l’intero assetto della propria famiglia è inconcepibile. Le soluzioni da adottare per conciliare il diritto alla salute e quello all’istruzione, devono per forza passare anche al vaglio della libertà che ogni madre deve avere di mantenere la propria vita così com’è. È in questo spazio che la politica ha il dovere di muoversi per creare soluzioni: tra l’emergenza imposta da una pandemia e il sacrosanto diritto al lavoro di una madre. Ogni altra scorciatoia è una lesione alla dignità della donna, che non può più essere il capro espiatorio di un welfare che fa acqua da tutte le parti.