Atterrata all’aeroporto di Milwaukee in un completo blu e un paio di converse basse e nere: è Kamala D. Harris, la senatrice democratica che dallo scorso 12 agosto si candida ad essere la prossima vicepresidente al fianco del candidato Joe Biden. Un gesto apparentemente semplice, quello di indossare un paio di sneakers, ma che invece ha letteralmente infuocato i social network.
La corsa alla Casa Bianca in Converse nere
In poche ore, infatti, il video di Kamala Harris che scende le scalette dell’aereo in jeans e converse è stato condiviso da oltre otto milioni di utenti. Tra loro anche il marito, Doug Emhoff, che scrive: “La Kamala Harris che conosco indossa Chucks e jeans …e ora lo sapete anche voi!”. Il gesto è stato apprezzato dal popolo dei social network, che considera la sua semplicità nell’indossare un paio di popolarissime scarpe da ginnastica un modo concreto per renderla più umana, vicina, accessibile. E l’hashtag #ChuckTaylors è diventato in un batter d’occhio un trend topic.
Abituati tutti a ben altro stile, come quello di Melania Trump che, anche in viaggio in aereo presidenziale, non ha mai rinunciato al suo decolté con tacco dodici, la semplicità di quella che potrebbe essere la prossima vicepresidente degli Stati Uniti colpisce nel segno. Sembra normale avere il diritto di viaggiare comodi e puntare su tutt’altri contenuti rispetto a un dress code (che poi code non è) che non ci si addice, eppure questo gesto quotidiano ha una portata enorme. Ci porta a interrogarci ancora una volta: sotto quante lenti d’ingrandimento una donna in carriera deve passare prima di essere giudicata sul suo saper fare? E Kamala Harris ha deciso di mostrarsi com’è, di vestirsi com’è abituata a fare nella vita di sempre, di avere la libertà di indossare quello che voleva in quel preciso momento. Senza essere ingabbiata da cliché e guardaroba impersonali. E tutto questo ha colpito nel segno, rendendola ancora più popolare.
Chi è la prossima possibile Vicepresidente degli Stati Uniti
Ma non servono un paio di sneakers a far parlare della senatrice della California, il suo curriculum e la sua storia hanno tutta la legittimità di avere una narrazione a sé. Cinquantasei anni da compiere a ottobre, in caso di vittoria alle elezioni di Joe Biden sarebbe la prima donna afroamericana e di origini asiatiche alla Casa Bianca. Suo padre, giamaicano, incontrò sua madre a Berkeley durante un seminario. Lei, Shyamala Gopalan, era ricercatrice oncologica e figlia di un diplomatico indiano che di lì a breve sarebbe dovuta tornare in India per il suo matrimonio combinato. Eppure dopo quell’incontro con Donald Harris non fece più ritorno e i due si sposarono. Kamala Harris è cresciuta in una famiglia in cui la politica e la partecipazione alle manifestazioni di piazza erano pane quotidiano. Si è laureata in scienze politiche ed economia a Harvard, poi giurisprudenza all’Hastings College. La passione per la legge e la grande determinazione l’hanno portata a lavorare come avvocato prima e poi nella pubblica accusa. Nel 2010 è stata eletta ‘attorney general’ della California, la massima autorità giudiziaria dello Stato, una posizione elettiva dove è rimasta sei anni. Proprio da quella poltrona ha preso decisioni importanti per il futuro degli Stati Uniti: si è rifiutata di sostenere la legge che avrebbe vietato il matrimonio tra persone omosessuali in California, ma anche il diritto Usa a continuare a usare la pena di morte. La sua politica è spesso votata al compromesso, motivo per cui molti elettori dell’altro candidato più a sinistra di Biden, Bernie Sanders, l’hanno spesso criticata. La sua campagna elettorale, parola di Kamala Harris, è improntata sull’ascolto del Paese. Un’America che negli ultimi mesi continua a collezionare episodi di violenza e razzismo quotidiani. Una donna di origini afroamericane e indiane è senza alcun dubbio un segnale forte per contrastare una xenofobia che appare endemica nel Paese. Se a farlo, poi, è una donna caparbia, che ha sempre lavorato pancia a terra senza mai rinunciare al suo filo di perle intorno al collo, non può che essere una buona notizia.